Legge di Bilancio, l’assalto alla diligenza tra ostriche e preservativi

Circa seimila emendamenti alla legge di Bilancio. I partiti si scatenano con le richieste più assurde, ma Draghi avvisa: margini d’intervento limitati.
Passano gli anni, cambiano i governi ma la musica è la stessa. C’è la legge di bilancio, l’unica che sicuramente andrà in porto, e allora tutti cercano di inserire le richieste più diverse nella speranza che trovino accoglienza. Così sono circa 6.000 gli emendamenti presentati. La maggior parte di questi dai partiti che sostengono il governo Draghi. C’è di tutto, dagli aiuti ai produttori di ostriche, alla pappa reale, agi sconti sugli anticoncezionali. Una volta, Giuliano Amato definì la legge finanziaria, che ora ha solo cambiato nome, il carro di Tespi (teatri mobili per gli attori di strada che contenevano tutto ciò che serviva per le rappresentazioni). Nulla è cambiato, nella legge di bilancio deputati e senatori vogliono inserire di tutto, sperando di portare a casa qualcosa, piccole mancette.
Seimila emendamenti da esaminare vuol dire giorni e settimane di discussioni e votazioni. Un lusso che questo governo non può permettersi. Così Draghi ha convocato i partiti che lo sostengono, ha ascoltato le proposte, ma nella sostanza ha confermato che la legge di bilancio dovrà essere approvata entro la fine di dicembre e che i margini di intervento sono limitati. I partiti hanno presentato la lista di richieste, più soldi per frenare il caro bollette, riduzione dell’Irpef. Draghi ha preso atto delle richieste, avvertendo che i margini per interventi correttivi sono limitati a poche centinaia di milioni di euro e che comunque gli emendamenti vanno sfoltiti. Resta aperta la questione con i sindacati che chiedono l’utilizzo degli otto miliardi per la riduzione delle tasse esclusivamente in favore dei lavoratori. Gli imprenditori invece sostengono cose diverse. Così viene minacciato uno sciopero generale. In realtà forse non succederà nulla. Ma la presenza di Draghi comincia forse ad essere ingombrante perché il presidente del Consiglio non ama mediare, non cerca di assecondare le richieste dei partiti per garantirsi il consenso, va invece per la sua strada.

Le forze politiche schiacciate da questa presenza cercano di manifestare l’esistenza in vita cercando di intestarsi battaglie identitarie, ma sempre con cautela. Nessuno ha la voglia e forse la forza di sfidare il presidente del Consiglio, che, come suo costume, ascolta tutti, prende appunti, poi va per la sua strada.. I partiti è vero che presentano 6 mila emendamenti, ma poi non fanno che lodare il governo. Così adesso la maggioranza, praticamente tutto il Parlamento meno Giorgia Meloni, pensa che non sia il caso di spostare Draghi al Quirinale. Meglio che resti lui a gestire il Paese da Palazzo Chigi. Così cercano di mettersi in evidenza, ma alla fine fanno marcia indietro. Si adeguano e semmai fanno a gara a intestarsi eventuali scelte del premier. Ma fin quando durerà? Fino a che qualcuno non riterrà opportuno staccare la spina per andare al voto. Al momento solo Giorgia Meloni è chiara. Gli altri aspettano. E anche i produttori di ostriche possono aspettare.
A cambiare l carte potrebbe esserci l’elezione di Draghi al Quirinale. Alcuni giurano che la cosa interesserebbe molto al premier che vorrebbe lasciare la guida del governo a Franco. Ma i leader dei partiti per ora non ci stanno. Solo Draghi può tenerli insieme. Dopo di lui il rischio di un voto anticipato è reale. E quel rischio in pochi vogliono correrlo. Così si accucciano sotto l’ombrello di Draghi aspettando tempi migliori per disarcionarlo.