Le nuove stanze della poesia, Le ciaramelle di Giovanni Pascoli

Per la rubrica “Le nuove stanze della poesia” curata da Valter Marcone, le poesie sui banchi di scuola: “Le ciaramelle” di Giovanni Pascoli”.
Continuando nel percorso che vuole ricordare le poesie dei banchi di scuola, non potevano mancare, in questo mese di dicembre, alcune poesie natalizie su cui mi soffermerò nelle prossime puntate proprio con l’avvicinarsi del Natale. Inizio con “Le ciaramelle” di Giovanni Pascoli, la prossima settimana una poesia di Guido Gozzano “La notte santa” e in prossimità del giorno di Natale appunto “Il Natale” di Alessandro Manzoni , con una filastrocca per l’ultimo giorno dell’anno e infine una poesia dedicata alla vecchina terribile, la befana per la sua festa del 6 gennaio a venire.
Trascrivo “Le ciaramelle” di Giovanni Pascoli senza aver detto prima che le ciaramelle sono una sorta di cornamusa a due canne, una delle quali è congiunta all’otre per l’aria, mentre l’altra serve a modulare il suono che diventa quasi solenne come quello di un organo di chiesa come dice lo stesso Pascoli : “Ed ecco alzare le ciaramelle Il loro dolce suono di chiesa”.
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
“Ed ecco alzare le ciaramelle/il loro dolce suono di chiesa” per farci piangere , per far piangere tutti noi “fateci dunque piangere un poco”, solo un poco. Quel pianto, o meglio quel groppo alla gola che arriva inaspettato nel momento in cui si fa più densa l’atmosfera del Natale che avvince ogni pensiero e straripa nel senso antico di un giorno di festa carico di sentimenti, ricordi, rimpianti, progetti . Arrivano gli zampognari mentre “Nel cielo azzurro tutte le stelle/paion restare come in attesa”. Portano dai monti al piano sonorità intense e melodie che fanno parte della tradizione .Scendono dal piano come un vento che sembra nuovo ma che ha impastato in sé tutti gli aliti del tempo ,quello che non passa invano e quello che riporta ciclicamente è appunto il dono di uno slancio per riprendere la strada, per temprare le membra e lo spirito, in altre parole per un nuovo inizio. Che è poi cambiamento quello che ci aiuta a capire i tempi e il mondo che ci circonda.
Questa poesia è stata sottovalutata per via della sua musicalità, quasi a sembrare una filastrocca e per il registro infantile che è stato utilizzato. Ma è proprio la poetica pascoliana a suggerire che il poeta deve farsi bambino perché solo così può guardare il mondo con uno sguardo diverso e può descriverlo fino in fondo .Le melodie che escono dalle ciaramelle ancora oggi che il Pascoli è adulto, riescono a rinnovare quei momenti felici del suo passato ,felici e spensierati come la sua fanciullezza.. Basta questo ritorno al passato per portare la serenità. Quella che è insita nella presenza della mamma che significa anche protezione da quella realtà, a volte dura, per le preoccupazioni che ci assalgono in età adulta. Il poeta rimpiange la gioia e la calda atmosfera di un Natale sognante che si è in grado di vivere solamente da bambini.
Nella poesia “il fanciullino”, Pascoli ci dice che la poesia è qualcosa di irrazionale e illogico, e il poeta è colui che, con l’animo semplice e puro di un fanciullo, sa stabilire un contatto immediato con le cose. Per Pascoli la poesia, e fare poesia è mettere nel verso colori, intuizioni del cuore, sentimenti che arrivano come la piena di un fiume senza tener conto di niente , nemmeno delle tecniche stilistiche e forse delle regole del verso, anche se poi questo non è assolutamente vero per i suoi versi.
La produzione pascoliana è costituita da quattro nuclei tematici fondamentali: il primo è quello autobiografico del recupero del proprio passato di uomo sventurato; e il culto ossessivo dei morti. Il secondo è quello che potremmo definire della vertigine cosmica e del mistero: insieme di simboli e di implicazioni ideologiche. Il terzo è quello georgico-idillico-naturalistico. Infine, il quarto, è identificabile nel motivo delle rievocazioni o delle ricostruzioni storiche o antiquarie.