La rinascita difficile

Campotosto si racconta dopo i terremoti: quegli oggetti salvati dalle case che non ci sono più

Campotosto si racconta. La Mostra "Mai più senza" per l'anniversario del sisma. Un viaggio di emozioni: gli oggetti che la gente ha portato con sé, lasciando le proprie case per l'ultima volta

Campotosto si racconta, anni dopo il terremoto.

Una mostra fotografica per l’anniversario del sisma. Com’è cambiata, in questi anni, Campotosto?

Ce lo racconteranno gli scatti di Elena Fusco, nella mostra organizzata a Campotosto con l’archeologa e tessitrice del posto Assunta Perilli. Un viaggio di emozioni, la mostra “Mai più senza”: con una sezione interamente dedicata alle foto degli oggetti che la gente ha salvato dalle proprie case, nel momento in cui è uscita dalla porta per l’ultima volta.

campotosto 2022

Qui Campotosto

Difficile utilizzare un numero preciso per la distanza temporale tra Campotosto di ieri e Campotosto di oggi: nel mezzo tanta distruzione, tantissima polvere e un grido assordante di dolore. Quello di un paese che più terremoti hanno provato, inutilmente, a cancellare. Campotosto, intanto, resiste. Nonostante un nuovo scossone, questa volta amministrativo, che lo ha lasciato senza guida nel momento in cui sono arrivate diverse ordinanze in deroga per velocizzare i lavori di ricostruzione.

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E resiste a 13 anni dal sisma dell’Aquila, a sei dalle scosse che nel 2016 colpirono il Centro Italia e a cinque anni dal terremoto disastroso – del 18 gennaio 2017 – arrivato quando il paese era sommerso dalla neve.

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“Con l’inverno arriva il letargo”, ci spiega oggi, con un filo d’amarezza, Assunta Perilli, nata e cresciuta nella sua Campotosto. “I cantieri chiudono. Si sa, a cause delle condizioni meteo proibitive è impossibile continuare con i lavori. Tutto questo rende il processo di ricostruzione ancor più lungo e complesso. Si pensi, poi, che i cantieri ora fermi sono quelli partiti, finalmente, nell’autunno scorso: ma non c’è stato neanche il tempo di vedere qualche progresso”.

campotosto 2022

“Tuttavia – specifica Assunta – con il Commissario alla Ricostruzione passi in avanti ce ne sono stati. Si sta cercando di velocizzare l’iter previsto per i lavori e gli interventi più urgenti, soprattutto relativamente al Cratere 2016/2017, quello che ci interessa più da vicino: poiché furono soprattutto quei terremoti a distruggere Campotosto”.

Ed è la Campotosto che, a fatica, sta provando a rimettersi in piedi quella che sarà raccontata nella mostra fotografica “Mai più senza”, visitabile il 18 gennaio 2022, dalle 11 alle 16: l’arco temporale in cui, cinque anni fa, il paese è stato distrutto dalle scosse. Una dopo l’altra.

“La mostra è composta da 55 foto. Si tratta di un percorso fotografico in cui si racconta il cambiamento che è avvenuto nel Paese nel corso dei difficili anni post sisma. La fotografa Elena Fusco, nel corso di 5 anni, ha immortalato quello che più l’ha colpita, in una Campotosto dove l’antico centro storico è stato completamente spazzato via dalle scosse”.

Un insieme di frammenti che ripercorrono, quindi, la storia recente di un paese martoriato dal terremoto. Non deve essere per niente facile rimettersi in piedi e raccogliere i cocci della propria vita, mentre la terra all’improvviso decide di tornare a tremare.

Quindi, la mostra offre gli scatti emozionanti che rispecchiano il senso del nome dato all’esposizione. “Mai più senza”.

Di cosa si tratta? 

“Di un oggetto, o meglio tanti oggetti che, tra virgolette, potremmo definire ‘inutili’. Cioè quelle cose che tutti noi di Campotosto abbiamo salvato quando siamo usciti per l’ultima volta dalla nostra casa, prima che venisse demolita. Ogni persona è stata immortalata sullo sfondo della propria casa, con in mano l’oggetto salvato. Ognuno con il proprio ‘Mai più senza’.”. 

Un oggetto lo si intravede già dalla copertina che lancia la mostra. Una gonna della tradizione, salvata da una donna di Campotosto. Poi ci sono “sassi, cappelli, tazzine…e tanto altro che non svelo: perché la mostra merita di essere visitata”.

Un’esposizione, quindi, che si propone di restituire valore anche a questi oggetti, che – seppur considerati inutili – sono ciò che resta della casa di tanti campotostani. E ciò che resta di un’altra vita, quella che tre terremoti hanno stravolto, con violenza, con feroica, senza avvertire.

L’oggetto che ognuno ha portato con sé come segno tangibile di ciò che è stato. “Abbiamo immaginato che il percorso psicologico alla base delle scelte di conservare questi oggetti sia stato in realtà semplice – continua Assunta Perilli Esci da casa tua per l’ultima volta e porti via ciò che per primo ti capita davanti allo sguardo. Quell’oggetto, poi, diventa il ponte con un passato che non avrai e che non rivivrai più. Perché la tua casa non esisterà più. È vero che sarà ricostruita, ma non sarà comunque quella di prima“.

“Dopo aver fatto questo a casa mia – ci racconta ancora – parlando con una signora che torna da Roma a Campotosto e che era arrivata per salutare per sempre la sua casa, lei mi disse: ‘Prima di uscire sulla mensola vicino alla porta c’era il metro a nastro di mio marito. Avevo varcato la soglia, ma ad un certo punto sono tornata indietro per riprenderlo e metterlo in tasca. Non ho potuto lasciarlo lì’. In quel momento ho capito che questi oggetti, per quanto poco utili, saranno per sempre un ponte indistruttibile con la nostra casa. E con la vita che quelle pareti hanno abbracciato negli anni”. 

Il tutto immortalato dalla professionista Elena Fusco, la quale recentemente si è trasferita a Londra e che, per motivi lavorativi, non potrà essere presente alla mostra.

A fare gli onori di casa, invece, ci sarà Assunta. Punto di riferimento nella piccola realtà di Campotosto, con la sua bottega della tessitura.

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“La bottega ancora regge, per fortuna! – conclude Assunta – Ed è importantissimo, in un paese come il nostro in cui il futuro è da ricostruire – non solo con cemento e mattoncini – che le pochissime attività commerciali presenti siano sempre aperte e al servizio dei coraggiosi che sono rimasti. Perché Campotosto possa tornare ad essere un paese vivo 12 mesi l’anno, senza più letarghi. Ce lo meritiamo”.

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