L'intervista

Due anni di Covid19, le ambulanze in fila, i pazienti nella cappella, le morti: la pandemia raccontata da Franco Marinangeli

Covid19, il primo virus affrontato 'a mani nude', la carenza di DPI, le morti. La seconda ondata e le ambulanze, in fila, fuori l'ospedale. I pazienti nella cappella del San Salvatore. Due anni di pandemia nell'intervista a Franco Marinangeli, primario di Rianimazione al San Salvatore, che dice: la Sanità riparta dalle assunzioni.

Due anni di pandemia. E pensare che il Covid19 sembrava una semplice influenza. La sanità allo specchio, prima e dopo la cesura del Coronavirus. Parla Marinangeli: “Le ambulanze in fila fuori dagli ospedali il nostro momento più buio. Ora abbiamo tanti posti letto, ma servirà anche più personale”.

A febbraio 2020 il mondo era diverso. Nessuno indossava mascherine, almeno non in Europa, se non i chirurghi in sala operatoria e, forse, altre categorie di lavoratori. Nessuno si sottoponeva a tamponi molecolari o antigenici. Non c’era regola alcuna sul distanziamento sociale. Si potevano visitare i propri cari in ospedale o nelle case di riposo. Poi, all’improvviso il caos: i primi allarmi dalla Cina, quindi il paziente 1 di Codogno. Era il 20 febbraio 2020.
L’Italia si è ritrovata nel buio di un’emergenza sanitaria sconosciuta, chiamata Coronavirus. Abbiamo ripercorso i due lunghi e difficili anni di pandemia nell’intervista al professor Franco Marinangeli, Direttore UOC di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale San Salvatore.

Il mondo nella morsa del Covid19. Per L’Aquila un altro terremoto. È di nuovo zona rossa, anche se senza militari. Arriveranno mesi e mesi dopo, quando partirà il massiccio screening Covid in provincia e quando la scienza avrà messo a punto i vaccini contro il virus. “Per L’Aquila è un’emergenza diversa da quella del sisma. Nel 2009 siamo finiti al centro dell’attenzione nazionale e internazionale, abbiamo ricevuto tantissimi aiuti dal mondo esterno. La città dell’Aquila, del resto, era l’epicentro assoluto della crisi. La pandemia, invece, ci ha catapultato tutti nel pieno di una nuova tremenda crisi, praticamente sconosciuta, in cui ognuno ha cercato di armarsi come meglio ha potuto. Inoltre, altra differenza sostanziale rispetto al terremoto, è quella della durata. Se – dal punto di vista del post sisma – la ricostruzione era la strada per tornare alla normalità, il Covid19 ci ha messo dinanzi ad un’incertezza assoluta, anche in merito alle tempistiche dell’uscita dalla crisi e del tanto atteso ritorno alla normalità. Ora, grazie ai benefici della campagna di vaccinazione, siamo in una fase relativamente positiva: ma continuano ad esserci incognite legate al tempo ancora necessario per tornare a quella piena normalità che la pandemia ci ha tolto. Ad oggi ci ritroviamo a sperare che questa quarta ondata possa essere l’ultima, ma siamo consapevoli che il Covid diventerà endemico e ciò significherà dover convivere ancora a lungo con questo virus”. 

La sanità si è ritrovata sulle spalle il peso di un nemico sconosciuto. Un virus di cui nessuno sapeva nulla, arrivato all’improvviso. I letti degli ospedali si riempivano in fretta, si scoprivano brutte polmoniti e intanto si brancolava nel buio…senza dimenticare le paure per sé stessi e per la propria famiglia.
“Non conoscere il virus, non essere preparati, non sapere come agire, ancora non conoscere l’importanza di proteggersi con i DPI… tutto questo ha portato a pesanti conseguenze. Tanti i morti tra il personale sanitario dovuti proprio all’impossibilità di conoscere il Covid19. Molti erano anche increduli in merito alla pericolosità del virus, quindi lo hanno affrontato a mani nude. È anche vero che, pur iniziando a conoscere il virus, ci siamo poi ritrovati nel mezzo di gravi carenze di dispositivi di protezione. È innegabile che abbiamo pagato l’inevitabile ignoranza durante l’inizio della pandemia: noi sanitari ci siamo ritrovati ad affrontare un qualcosa di totalmente sconosciuto“.

Qual è stato il momento più buio in questi due anni di pandemia?
“Senza ombra di dubbio i giorni della seconda ondata in cui assistevamo impotenti alle file di ambulanze all’esterno degli ospedali, senza posti letto liberi. I pazienti arrivavano in pronto soccorso e noi non potevamo garantire capienza. È stato il momento della disperazione e pensare a cosa è accaduto, immedesimarci in cosa hanno affrontato i pazienti fa male”, ricorda Marinangeli.A L’Aquila abbiamo ospitato pazienti nella cappella dell’ospedale…ma sappiamo bene che situazioni simili – se non peggiori – si sono verificate in molti ospedali italiani. Per non parlare dei pazienti per i quali le strutture ospedaliere non avevano disponibilità di ossigeno. Ho impressi nella mente i segni e le cicatrici che questa pandemia ha lasciato. È terribile non poter dare risposte alle sofferenze e alle esigenze della gente. Tutto ciò ha portato i cittadini ad avere paura degli ospedali e, di conseguenza, la gente è rimasta troppo tempo a casa, magari sottovalutando eventuali sintomi: anche questo ha portato le persone a morire… la loro paura di recarsi in ospedale”. 

L’inizio della campagna di vaccinazione cosa ha rappresentato?
Ricordo bene il giorno in cui mi sono vaccinato, poiché sono stato tra i primi vaccinati in Abruzzo: era il 27 dicembre 2020. Inizialmente c’era tanta paura rispetto al vaccino, infatti i primi ad andare hanno provato ad incoraggiare gli altri. Io stesso ho fatto e pubblicato la foto del momento in cui ho ricevuto la prima dose, per comunicare che la vaccinazione era – ed è – l’unico modo per sconfiggere il virus. Anch’io avevo i miei timori ma, d’altro canto, certe scelte si prendono anche in base al ruolo che si riveste ed è importante dare sempre un esempio positivo. Sono felice di averlo fatto e di aver fatto tutte le successive dosi”. 

Ieri e oggi, prima e dopo la pandemia. Oggi come stanno gli ospedali e come sta il sistema sanitario? Siamo o saremo più pronti ad affrontare emergenze come questa?
Il peso di questa situazione è ancora gravoso, sia in termini di tensione emotiva che come carico di lavoro per l’intero sistema sanitario. Finalmente, comunque, assistiamo ad una prima fase positiva, in cui godiamo degli effetti della vaccinazione. Quella che trovo oggi è una sanità che non definirei più pronta, quanto più consapevole. Questa pandemia è stata un pesantissimo stress test, che ci ha permesso di misurare gli aspetti positivi e negativi del sistema. E noi abbiamo visto quanto è accaduto e, di conseguenza, abbiamo individuato i punti deboli degli ospedali, delle singole Asl e delle prestazioni disponibili. Ci sono presidi che non hanno saputo affrontare l’emergenza e altri che ne sono usciti rafforzati. Oggi vediamo degli ospedali trasformati, con reparti potenziati; ma dall’altro lato constatiamo l’esistenza di strutture che hanno addirittura perso medici, professionisti che hanno deciso di uscire dal sistema sanitario pubblico. È noto a tutti che c’è stato proprio un ricambio generazionale, poiché in molti non hanno retto a questa dose di stress. Sicuramente da una parte noto una Sanità potenziata, anche nella disponibilità di posti letto – nel mio reparto sono raddoppiati – ma dall’altra parte riconosco che sarà necessario riempire questi reparti con personale qualificato. Si possono finanziare posti letto e, da questo punto di vista, ogni Asl si è mossa, anche investendo e riorganizzando reparti, ma il vero tema, ora, sarà avere medici e specialisti. Già tre anni fa, del resto, soffrivamo di una carenza di personale: in questo momento abbiamo meno medici anche rispetto al pre pandemia, ma le misure adottate avranno i loro effetti solo tra qualche anno. Allora sarà possibile fare un quadro completo e fotografare la Sanità post pandemia, tracciando il bilancio tra entrate e uscite in termini di personale sanitario: perché urge riempire quelle strutture costruite. Aver costruito posti letto, infatti, non vuol dire avere costruito Terapie intensive, abbiamo semplicemente predisposto un miglioramento del sistema sanitario. Bisognerà vedere se saremo in grado di gestirlo“.

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