Cultura

Le nuove stanze della poesia, “Le prime tristezze” di Marino Moretti

Le prime tristezze: una poesia di Marino Moretti presa dai banchi di scuola per l'appuntamento con la rubrica a cura di Valer Marcone.

“Le prime tristezze” è una poesia che parla di scuola, è una specie di confessione lirica che risente della poetica di Gozzano e di Covoni. In questa composizione Moretti ricorda con tristezza quel “marinare la scuola” di cui molti letterati hanno parlato con accenti e toni seri, ironici, scherzosi, satirici e che ognuno di noi ricorda almeno una volta nella sua vita scolastica.

Si sente in colpa per quella assenza ingiustificata, tanto più che durante le ore trascorse lontano dalla scuola il pensiero non può fare a meno di riandare a quel mondo che in definitiva gli appartiene e a cui egli prepotentemente si sente avvinto. E poi la possibilità di essere visto in orari scolastici appunto per strada acuisce ancora di più il suo senso di preoccupazione e rimorso. Lontano dall’aula non può far a meno di ripassare mentalmente qualche nozione o pensare a chi in quel momento forse è interrogato. Insomma un distacco temporaneo che lo fa sentire come “proteso nell’abisso dell’ignoto…”

La bibliografia di Marino Moretti è ampia e ricca di temi interessanti, legati alla vita ma soprattutto al quotidiano. Egli stesso, come abbiamo già accennato, si schermiva dicendo che non aveva molto da dire. In realtà ha scritto molto nella sua lunga vita, nasce nel 1885 e muore nel 1919 attraversando due secoli . Soprattutto la sua poesia, quella degli esordi si rifà alle cose semplici e quotidiane dalle quali il poeta appunto trae lezioni di vita La prima opera di Moretti è del 1905 “Fraternità”, dove rappresenta aspetti familiari e del natio paese di mare, su cui aleggia il dramma del suicidio , misterioso quanto improvviso , del primogenito Olindo. Seguono nel 1907 la raccolta di racconti giovanili “Il Paese degli equivoci”; nel 1910 “Poesie scritte col lapis” e “I Lestofanti”, raccolta di novelle di ambiente paesano-romagnolo; nel 1911 “Poesie di Tutti i giorni”; nel 1916 il primo romanzo “Il Sole del sabato”; nel 1919 “Antologia”, raccolta delle poesie dal 1905 al 1916; nel 1929 “Il tempo felice”; nel 1931 “Via Laura”; nel 1935 “L’Andreana”; nel 1941 “La Vedova Fioravanti”; nel 1951 “I grilli di Pazzo Pazzi”; nel 1958 “La Camera degli sposi”.

Eduardo Terrana scrive: Nelle poesie di Marino Moretti traspare forte il legame con la sua terra, Cesenatico e la Romagna, ma anche Firenze e le Fiandre, dove egli soggiornò più volte, vi occupano un posto di primo piano. Non c’è luogo per me che sia lontano, scriverà in “Andar Lontano”, della raccolta “Le Poverazze”, raccolta nella quale Moretti ripropone anche i temi della casa protettiva e degli oggetti quotidiani, idealizzati e trasfigurati però in atmosfere che sottolineano uno stato di malinconia, di noia esistenziale, di nostalgia del non vissuto, di malessere. Luogo prediletto dell’interiorità è il giardino della sua casa, che è anche il giardino della memoria familiare e del ricordo. Fra gli spazi familiari un posto privilegiato occupa la cucina, in cui il poeta vede la figura materna in un ruolo casalingo e rassicurante.

Ma volge lo sguardo, con bonaria ironica comprensione, anche ai luoghi della quotidianità quali sono, ad esempio la locanda e il salone del parrucchiere.

Le prime tristezze
Ero un fanciullo, andavo a scuola: e un giorno
dissi a me stesso: “Non ci voglio andare”.
E non ci andai. Mi misi a passeggiare
tutto soletto, fino a mezzogiorno.
E così spesso. A scuola non andai
che qualche volta, da quel triste giorno.
lo passeggiavo fino a mezzogiorno
e l’ore… l’ore non passavan mai!
Il rimorso tenea tutto il mio cuore
in quella triste libertà perduto;
e l’ansia mi prendea d’essere veduto
dal signor Monti, dal signor dottore!
Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,
al registro, all’appello (oh! il nome, il nome
mio nel silenzio!) e mi sentivo come
proteso nell’abisso dell’ignoto…
In fine io mi spingea fino ai giardini
od ai viali fuori di città;
e mi chiedevo: “Adesso chi sarà
interrogato, Poggi o Poggiolini?”.
E fra me ripetevo qualche brano
di storia (Berengario… Carlo Magno…
Rosmunda…) ed era la mia voce un lagno
ritmico, un suono quasi non umano…
E, quante, quante volte domandai
l’ora a un passante frettoloso; ed era
nella richiesta mia tanta preghiera!
Ma l’ore… l’ore non passavan mai!

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