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Guerra in Ucraina, Svitlana Ostapenko: “Servono aiuti umanitari e mezzi di trasporto”

Nello Speciale Ucraina della rubrica Grandangolo, l'intervista a Svitlana Ostapenko. La fuga dalle bombe e l'aiuto a chi non riesce ancora a lasciare il Paese: "Servono aiuti umanitari e mezzi di trasporto".

Nello Speciale Ucraina della rubrica Grandangolo, l’intervista a Svitlana Ostapenko. La fuga dalle bombe e l’aiuto a chi non riesce ancora a lasciare il Paese: “Servono aiuti umanitari e mezzi di trasporto”.

Due giorni e due notti, da Kiev a Trieste. Prima il treno, poi il pulmino, poi la frontiera a piedi e finalmente un pasto caldo in Polonia. Svitlana Ostapenko, funzionaria del Ministero degli Affari esteri, già console presso il Consolato ucraino di Milano, sa bene di cosa ha bisogno il popolo ucraino in fuga dalla guerra, avendo vissuto la stessa identica esperienza a 9 giorni dall’inizio dell’invasione russa. “Quello di cui c’è bisogno – spiega la funzionaria ucraina – sono aiuti umanitari e mezzo di trasporto per portare in salvo le persone“. Proprio per questo Svitlana Ostapenko ha deciso di ascoltare le richieste del marito abruzzese e venire in Italia: “A Kiev ero chiusa in casa ad avere paura, mi sentivo inutile. Arrivata in Italia mi sono subito attivata per agevolare gli aiuti”.
Come spesso accade, i primi punti di contatto sono la famiglia e il lavoro: “Mio figlio, che ha 34 anni ed è un tecnico informatico, si è arruolato nell’esercito e sono in contatto con lui perché anche gli altri militari hanno bisogno di aiuto per portare al sicuro mamme, mogli e figli. Poi naturalmente c’è il mio lavoro che mi mette in contatto con tante altre persone impegnate in questa emergenza”.

Ucraina, Svitlana Ostapenko: “A piedi attraverso la frontiera, mio figlio è rimasto a combattere”

Intanto in Ucraina, oltre al figlio arruolato nell’esercito, sono rimasti molti altri parenti e amici che non vogliono lasciare il Paese. “Una mattina mi sono svegliata con il messaggio vocale di mia sorella, che abita in un piccolo centro: mi diceva che avevano chiamato per farla evacuare, ma ha rifiutato. ‘Resto a casa’, mi ha detto, piangendo”.
Quindi il ricordo della fuga dalle bombe: “Da Kiev abbiamo trovato posti sul treno per Leopoli. Da lì con un pulmino abbiamo raggiunto la frontiera, che abbiamo attraversato a piedi. Non dimenticherò mai quel momento. Mi veniva da piangere e mi chiedevo: perché siamo costrette a fare questa cosa?”.

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