6 aprile 2009, 13 anni dopo

6 aprile 2009, 13 anni dopo: nel ricordo la forza per andare avanti

6 aprile 2009: 13 anni con il dolore filo conduttore di una tragedia che ha colpito una grande comunità e non solo. Poi il covid19 e, ora, il ritorno alla condivisione. Con la psicologa Chiara Gioia analizziamo questi anni: i lutti, il senso di vuoto e la ripartenza, con il ricordo fedele compagno di viaggio

6 aprile 2009. Quella notte L’Aquila ha perso 309 vite, all’improvviso. E mentre risuonano i rintocchi a ricordare chi non ce l’ha fatta – quella stessa notte, ogni singolo anno – il pensiero va anche ai sentimenti degli aquilani che, 13 anni dopo, convivono con un dolore costante, come costante è il ricordo di chi se n’è andato.

Il Terremoto.

6 aprile 2009, ore 3:32. 
Non basterebbe un solo articolo di giornale, forse neanche cento, a raccontare quanto cambia la vita dopo un avvenimento disastroso – e drammatico – come quello del sisma che, la notte del 6 aprile 2009, ha colpito L’Aquila. Fare la lista dei cambiamenti subiti e delle difficoltà affrontate sarebbe inutile, banale ed anche impossibile. La verità è che, comunque lo si provi a chiamare, c’è sempre stato un filo conduttore a legare le storie, le persone, le situazioni e le vite che il sisma ha fatto incontrare: quello di un dolore di cui ognuno ha sentito il peso. Con le spalle diventate sempre più pesanti, quando è arrivata la lucida consapevolezza di quanto accaduto tutt’intorno.
Il dolore è un processo che ci appartiene in quanto esseri umani, ma che viene elaborato nel tempo, ci spiega la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia. Un evento inaspettato come il terremoto, poi, ha un impatto emotivo ancor più forte, rispetto ad eventi luttuosi che abbiano avuto un processo temporale di elaborazione e di preparazione psichica”.
Lo shock emotivo, quindi, è una realtà con cui inevitabilmente tutti si sono ritrovati a fare i conti, anche se in misura diversa l’uno dall’altro. Ognuno con i propri tempi. Del resto, già nel suo significato etimologico “il terremoto indica un brusco movimento, un cambiamento. E il lutto, quale condizione e possibile conseguenza del sisma, porta con sé il senso profondo della perdita, non solo fisica. Così si crea uno spazio vuoto che, a sua volta, genera dispersione“. Si consideri che l’imprevedibilità dell’evento sismico ha cambiato la storia recente dell’Aquila e della sua gente. Ma non solo.

“Prima del 6 aprile c’erano progetti, programmi per il futuro, sia da parte dei giovani, sia da parte delle famiglie. C’erano stati investimenti, sacrifici. E poi, improvvisamente, la cesura del terremoto. Un dramma che non hanno vissuto solo gli aquilani, ma anche, ad esempio, tutte quelle persone che avevano visto i loro figli scegliere L’Aquila come città di studio. Con il sisma i progetti si sono fermati, molti non sono ripartiti mai più”.

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Abitudini spezzate e accettazione.
“Il terremoto ha portato con sé, fin da subito, un grande senso di perdita. La perdita dei propri cari, della propria casa…una perdita fisica irreparabile, di fronte alla quale ci si sente impotenti. Senza possibilità di fare alcunché che possa cambiare le cose”.
Accanto al vuoto lasciato dai lutti e dalle perdite, “c’era una vita cambiata dal giorno alla notte. Si sono perse abitudini, giornate, socialità. Si sono persi centri di ritrovo, luoghi cari…tutto intorno era smembrato rispetto all’Aquila che conoscevamo. Ed è in mezzo a tutto questo che si sono andate a configurare le reazioni della gente. Ognuna diversa, ognuna intimamente personale.
Di fronte al senso di lutto, l’elaborazione è stata inevitabilmente lunga e complessa.
In psicologia si tende a distinguere 5 fasi principali nel processo di elaborazione di un lutto, ma si tratta di uno schema convenzionale, che ovviamente non può rappresentare ogni singolo processo di consapevolezza del dolore.
Può esserci, in primis, la
negazione, dovuta all’incredulità per quanto accaduto: è quasi un meccanismo di difesa naturale. Poi subentra la rabbia. Quella che ti porta a dire: ‘Perché le case non erano sicure?’. La rabbia è la proiezione del dolore verso qualcuno o qualcosa, nutrita dalla voglia di fare giustizia per chi non c’è più. Quindi, la mente umana va alla ricerca di risposte più razionali ed equilibrate, perché ci si rende conto di non poter fare nulla che possa cambiare le cose. È la coscienza dell’impotenza
Da qui, si inizia a vivere quel lutto a 360°. Fase, questa, che in alcuni casi può portare alla depressione, cioè l’atto di arrendersi anche emotivamente di fronte a questo dolore. Una fase che non tutti attraversano, logicamente, ma che comunque può rappresentare l’ultimo momento prima di giungere alla vera e propria accettazione della perdita subita”. 

fiaccolata sisma 6 aprile 2009

Il nostro senso di vuoto non potrà mai essere riempito da persone che vadano a sostituire chi abbiamo perso.
D’altro canto, quello stesso spazio vuoto potrà essere comunque riempito: con nuovi spazi, pieni di rinati sentimenti. Partendo dal ricordo dei nostri cari, che non ci abbandona mai e che rivive – anche quando non ce ne accorgiamo – in quelle azioni che compiamo proprio perché, magari, ci ricordano una persona cara. Sono un loro ‘inconsapevole’ retaggio”.

Dopo il 6 aprile: la pandemia

Nel mezzo di questo delicato processo, gli aquilani – a distanza di poco più di 10 anni – si sono ritrovati, di nuovo, in zona rossa.
Dove rosso non significava più non poter varcare le transenne che delimitavano un centro storico ormai polvere e calcinacci, ma significava, invece, ritrovarsi costretti in casa (almeno per chi ci era tornato) senza poter varcare neanche la soglia della porta. Evitando ogni possibile contatto umano. Un nuovo terremoto, questa volta scientifico e sanitario, di nome Covid19.
Una nuova scossa, che ha portato altro dolore ed altre, inevitabili, elaborazioni.
“Le elaborazioni relative alla situazione Covid 19 sono tuttora in evoluzione. Del resto – continua la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia – il Covid è entrato prepotentemente nelle nostre vite da due anni, stravolgendole. Ci sono stati tantissimi lutti ed ancora oggi, ogni giorno, ci accompagna il bollettino dei nuovi casi positivi. Incertezza, abitudini cancellate o trasformate, smart working e dad, lockdown, crisi economica…stiamo ancora affrontando tutto questo, pur se i mesi più bui dell’emergenza sanitaria sembrano ormai definitivamente alle spalle. E anche in questo caso, ogni persona ha reagito in maniera diversa. Ma il Covid continua ad esistere e questo anche perché, dal punto di vista psicoterapeutico, tante persone fanno fatica a livello psichico a comprendere che il virus richieda un cambiamento, una camaleonticità nel nostro adattarci a nuove disposizioni, per tutelare la sicurezza di tutti.

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“Alcune menti si sono cristallizzate al passato e con passato mi riferisco al periodo ‘ante Covid’.  Abbiamo vissuto una prima fase di stordimento, dovuta all’imprevedibilità del fenomeno. Inizialmente eravamo quasi tutti scettici sulla pericolosità del virus. Un modo di pensare che caratterizza, in generale, l’Occidente, che tende spesso a percepire i pericoli nel mondo come lontani dalla porta di casa propria. Un qualcosa di simile a quanto vediamo oggi per la guerra in Ucraina. Si biasima il conflitto, ma al tempo stesso ci sembra distante da noi e, per questo, privo di conseguenze. In realtà, già se si considera il flusso degli ucraini che arriveranno in Italia, quello è comunque un grande cambiamento nel contesto della nostra cultura e delle necessità d’integrazione che si andranno a creare.
Tutto questo per dire che nell’uomo non può esserci staticità, in quanto egli stesso è pura dinamicità sotto ogni punto di vista: culturale, storico…Dove c’è stagnazione e dove c’è cristallizzazione – come accade in tanti modus operandi riferiti al Covid – si amplificano le difficoltà affrontate e storicamente vissute. L’emergenza richiede adattamenti, cambiamenti da parte nostra: ma non tutti attivano la propria dinamicità. La ri-elaborazione è alla base della capacità umana di cambiare, di adattarsi, di essere mutevoli rispetto ai casi della vita: aiuta l’uomo a ritrovare il suo orientamento“. 

Il ritorno alla condivisione

Shock, elaborazione di ciò che si è perso. Poi si torna alla normalità, per quanto possibile. Si va avanti.
Le ripartenze post terremoto e post Covid19 sono anche un ritorno alla condivisione. Come? “Gli shock affrontati hanno implicato per tutti una crisi. La crisi di aver perso un proprio caro, di aver assistito, inermi, alla scomparsa di luoghi che ci portavamo nel cuore, la crisi di essersi ritrovati di fronte a un lungo decalogo di costrizioni, senza la libertà di poter scegliere come passare le proprie giornate…e così via.
A livello psichico ci si è adattati, comprendendo come la situazione fosse in continua evoluzione. Quindi, siamo riusciti a creare
un nuovo equilibrio, spesso anche reinventandoci. Ora – quando la convivenza con il virus sembra possibile – ci ritroviamo di fronte a una società che riparte, con qualche inevitabile cambiamento dopo due anni difficilissimi. Il ritorno alla condivisione, in questo contesto, si configura, allora, anche come creazione di un nuovo equilibrio, nuovi spazi e nuove abitudini. Ripartire e tornare a condividere è l’occasione per ripensare il modo di stare insieme. La portata travolgente di un fenomeno come il Covid19 – così come a suo modo aveva fatto il terremoto – ci ha dato, paradossalmente, la possibilità di capire che è sempre possibile attuare un cambiamento, stimolando le riflessioni su come attuarlo. Cambiamenti che, magari, pre Covid potevano sembrare impensabili”. 

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