Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, i versi che parlano della Pasqua

Una poesia di Gozzano e una di Manzoni per gli auguri di Pasqua nell'appuntamento con la rubrica di Valter Marcone.

La puntata di questo giovedì di Le nuove stanze della poesia cade in un giorno particolare in cui il mondo cristiano, in attesa della Pasqua che sarà festeggiata appunto domenica prossima, ricorda l’istituzione dell’Eucaristia e del ministero ordinato, come pure la consegna ai discepoli del comandamento dell’amore (Gv 13,34). L’Eucarestia, che è il dono di Cristo che si rinnova ogni volta che si consacra il pane e il vino sull’altare e quindi una continua Pasqua , rappresenta anche il senso vero della pratica cristiana.

Naturalmente proprio in attesa della Pasqua voglio fare gli auguri ai lettori di ogni serenità ma soprattutto di pace. Una serenità messa in pericolo da tre anni di pandemia e una pace altrettanto minacciata dalle operazioni di guerra determinate dall’invasione dell’Ucraina. . E per questo augurio prendo in prestito come sempre in questa rubrica i versi più belli sulla Pasqua anche se la scelta è stata ardua. Proprio perchè in queste settimane sto proponendo ai lettori le poesie dei banchi di scuola voglio iniziare con una filastrocca “Una campana piccina piccina/con la sua voce fresca e argentina/si sveglia all’alba, tutta contenta,/nessuna nuvola più la spaventa./Dondola, dondola nel cielo blu/ e dice a tutti: “Risorto è Gesù!” che ha proprio la freschezza dell’infanzia e di una voce “fresca ed argentina “ pronta a tutto perchè “nessuna nuvola la spaventa” .Ecco una metafora di quelle incombenti nuvole che sono la pandemia e la guerra combattuta con le armi a danno delle popolazioni inermi. Una guerra che non si combatte più tra eserciti schierati in campo di battaglia o in trincee ,come per secoli è avvenuto, ma si combatte distruggendo le città e uccidendo civili inermi.

Continuo proponendo quattro versi folgoranti di Lina Schwarz di cui in queste settimane ho ricordato l’impegno culturale e sociale che dicono: “I cieli sono in festa,/la Pasqua si ridesta,/canta felice il cuore:/è risorto il Signore! “ Folgoranti in quanto con pochissime parole restituisce al lettore un mondo interquello di una speranza che appunto nasce dalla resurrezione del Signore.
Avrei voluto proporre delle poesie pasquali di Gianni Rodari che con la consueta dolcezza e ironia ci fa ritrovare nei suoi versi per la Pasqua tutta la tenerezza di questa ricorrenza. Protagonisti delle poesie di Pasqua di questo autore sono proprio i simboli e le figure legati a questa festa che ci riportano all’infanzia. L’universo pasquale di Gianni Rodari : uova di cioccolato, coniglietti, campane, pulcini.

Un testo particolare è quello di Cesare Zavattini , una filastrocca che dice così : “Anche il sole stamane/è arrivato per tempo,anzi con un leggero anticipo./Anche io mi sento buono,/più buono del solito./Siamo tutti un po’ angeli oggi/mi pare quasi di volare/leggero come sono./Esco di casa canticchiando,/voglio bene a tutti.” Siamo un poco tutti angeli in questo giorno e ce lo fa sentire Zavattini nella estrema semplicità di un “canticchiare”. Non un cantare con voce dai toni alti e bassi ma un canticchiare che è una specie di colonna sonora del nostro benessere fisico e mentale che viene da dentro quando appunto ci sentiamo in pace con noi stessi e con il mondo. E per usare le parole di Zavattini quando ci sentiamo angeli. Sicuramente gli autori che hanno dedicato i versi più belli a questa ricorrenza religiosa sono stati Alessandro Manzoni, Guido Gozzano e Giovanni Pascoli. Gozzano e Pascoli scrivono versi per raccontare una esperienza spirituale e la rinascita e il rinnovamento della natura. Per Manzoni invece il tema più sentito è sicuramente quello della Pasqua come vissuto spirituale.

Gesù – Giovanni Pascoli
E Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte,
il suo giorno non molto era lontano.
E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: Ave, Profeta!
Egli pensava al giorno di sua morte.
Egli si assise, all’ombra d’una mèta
di grano, e disse: Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta.
Egli parlava di granai ne’ Cieli:
e voi, fanciulli, intorno lui correste
con nelle teste brune aridi steli.
Egli stringeva al seno quelle teste
brune; e Cefa parlò: Se costì siedi,
temo per l’inconsutile tua veste;
Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:
-Il figlio Giuda bisbigliò veloce-
d’un ladro, o Rabbi, t’è costì tra ‘piedi:
Barabba ha nome il padre suo, che in croce
morirà.- Ma il Profeta, alzando gli occhi
-No-, mormorò con l’ombra nella voce,
e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.

Questa poesia non è certamente una delle più conosciute di Pascoli ma conserva tutta intatta la religiosità del poeta che si fa vicino al Cristo nei momenti prima della sua morte . E’ una poesia anche intrisa di tutta quella atmosfera del mondo contadino caro a Pascoli lo stesso di tante poesie in cui, attraverso l’umanità del pensiero più che lo sguardo dell’uomo, il poeta riesce ad esprimere la gioia e il dolore. La campagna con le pile di grano e la loro ombra è la scena indimenticabile di un mondo che nasce dalla morte : solo il chicco di grano che muore può dare nuova vita. E il Signore nella sua considerazione pare che dica che ci sono anche dei granai speciali, quelli che non necessitano del lavoro dell’uomo e che fanno dono di se stessi a chi li merita: sono i granai dei Cieli. Il ritmo scelto da Pascoli in questa poesia è l’endecasillabo: un verso di 11 accenti, con l’accento principale sul decimo. Gli accenti non corrispondono precisamente alle sillabe, infatti, quelli dei primi due versi della poesia si contano così:
E-Ge-sù-ri-ve-de-vaol-treil-gior-da-no / cam-pa-gne-sot-toil-mie-ti-tor-ri-mor-te Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna 31 dicembre 1855-Bologna 6 aprile 1912) il maggior poeta decadente italiano, nonostante la sua formazione principalmente positivistica. L’esperienza poetica pascoliana si inserisce, con tratti originalissimi, nel panorama del decadentismo europeo e segna in maniera indelebile la poesia italiana. La vita vista con pessimismo riflette la scomparsa della fiducia, anche in quel positivismo che sembrava spiegare compiutamente la realtà.Per Pascoli la poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di ogni cosa; il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l’irrazionalità e l’intuizione. Delle sue opere ricordo Myricae, Livorno, Giusti, 1891; 1892; 1894; 1897; 1900; 1903. Canti di Castelvecchio , Bologna, Zanichelli, 1903; 1905; 1907. (dedicati alla madre).

Pasqua – Guido Gozzano
A festoni la grigia parietaria
come una bimba gracile s’affaccia
ai muri della casa centenaria.
Il ciel di pioggia è tutto una minaccia
sul bosco triste, ché lo intrica il rovo
spietatamente, con tenaci braccia.
Quand’ecco dai pollai sereno e nuovo
il richiamo di Pasqua empie la terra
con l’antica pia favola dell’ovo.

Tra le “Dolci rime”in Opere, Volume V, Treves, 1937 a cui appartiene questa poesia sulla Pasqua di Guido Gozzano ve ne sono di dedicate alle feste della tradizione. Si sente il turbamento provocato dalla fede , di uno spiritualista panteista che tornò a Dio sulla finire dei suoi giorni. Protagonista è l’ambiente canavesano, la villa del Meleto forse. Qui il giorno di Pasqua è ritratto attraversola natura : un angolo di giardino sotto un cielo cupo, nuvole cariche di pioggia che incombono. E poi dal pollaio il canto di una gallina che ha fatto l’uovo apre un raggio di sole quasi a emblema della Resurrezione.

Guido Gustavo Gozzano (19 dicembre 1883, Torino – 9 agosto 1916, Torino ) poeta e scrittore spesso associato alla corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Nato da una famiglia benestante di Agliè, inizialmente si dedicò alla poesia nell’emulazione di Gabriele D’Annunzio e del suo mito del dandy. Tra i temi essenziali al mondo poetico di Gozzano vi è l’immagine della città natale, di quella sua amata Torino alla quale egli costantemente ritornava. Torino raccoglieva tutti i suoi ricordi più mesti ed era l’ambiente fisico ed umano al quale egli sentiva di partecipare in modo intimo con sentimento ed ironia.
Ricordo di Gozzano La via del rifugio, Torino-Genova, Streglio, 1907. [poesie] I colloqui , Milano, Treves, 1911. [poesie] Primavere romantiche, Rivarolo, Arti grafiche canavesane, 1924. [poesie]

E infine La Resurrezione di Alessandro Manzoni tratta dagli Inni Sacri che per ragioni di spazio non abbiamo modo di commentare esaustivamente. Basta solo dire che questo inno è uno dei sei componimenti degli Inni sacri , componimenti d’argomento religioso scritti complessivamente tra il 1812 e il 1822. Anche se è possibile individuare una prima del progetto al 1810, come conferma la lettera che Manzoni invia al sacerdote Eustachio Degola parlando di un’operetta in cantiere.
Il 1810 non è d’altronde una data casuale per la biografia dell’autore: è, infatti, l’anno della sua conversione religiosa. Il tema centrale di ogni Inno coincide con una delle principali festività cattoliche: Manzoni prende come fonte e come modelli non solo il testo religioso per eccellenza, la Bibbia, ma anche gli scritti dei padri della Chiesa e degli oratori cattolici francesi del 1600. Lasciamo questo inno alla lettura rinnovando gli auguri di Buona Pasqua.

La Resurrezione di Alessandro Manzoni

È risorto: or come a morte
La sua preda fu ritolta?
Come ha vinto l’atre porte,
Come è salvo un’altra volta
Quei che giacque in forza altrui?
Io lo giuro per Colui
Che da’ morti il suscitò,

È risorto: il capo santo
Più non posa nel sudario;
È risorto: dall’un canto 10
Dell’avello solitario
Sta il coperchio rovesciato:
Come un forte inebbriato
Il Signor si risvegliò.

Come a mezzo del cammino,
Riposato alla foresta,
Si risente il pellegrino,
E si scote dalla testa
Una foglia inaridita,
Che, dal ramo dipartita,
Lenta lenta vi ristè:

Tale il marmo inoperoso,
Che premea l’arca scavata
Gittò via quel Vigoroso,
Quando l’anima tornata
Dalla squallida vallea,
Al Divino che tacea;
Sorgi, disse, io son con Te.

Che parola si diffuse
Tra i sopiti d’Israele!
Il Signor le porte ha schiuse!
Il Signor, l’Emmanuele!
O sopiti in aspettando,
È finito il vostro bando:
Egli è desso, il Redentor.

Pria di Lui nel regno eterno
Che mortal sarebbe asceso?
A rapirvi al muto inferno,
Vecchi padri, Egli è disceso:
Il sospir del tempo antico,
Il terror dell’inimico,
Il promesso Vincitor.

Ai mirabili Veggenti,
Che narrarono il futuro,
Come il padre ai figli intenti
Narra i casi che già furo,
Si mostrò quel sommo Sole,
Che, parlando in lor parole,
Alla terra Iddio giurò;

Quando Aggeo, quando Isaia
Mallevaro al mondo intero
Che il Bramato un dì verria;
Quando assorto in suo pensiero,
Lesse i giorni numerati,
E degli anni ancor non nati
Daniel si ricordò.

Era l’alba; e, molli il viso,
Maddalena e l’altre donne
Fean lamento sull’Ucciso;
Ecco tutta di Sionne
Si commosse la pendice,
E la scolta insultatrice
Di spavento tramortì.

Un estranio giovinetto
Si posò sul monumento:
Era folgore l’aspetto,
Era neve il vestimento:
Alla mesta che ’l richiese
Diè risposta quel cortese:
È risorto; non è qui.

Via co’ palii disadorni
Lo squallor della viola:
L’oro usato a splender torni:
Sacerdote, in bianca stola,
Esci ai grandi ministeri,
Tra la luce de’ doppieri,
Il Risorto ad annunziar.

Dall’altar si mosse un grido:
Godi, o Donna alma del cielo;
Godi; il Dio, cui fosti nido
A vestirsi il nostro velo,
È risorto, come il disse:
Per noi prega: Egli prescrisse,
Che sia legge il tuo pregar.

O fratelli, il santo rito
Sol di gaudio oggi ragiona;
Oggi è giorno di convito;
Oggi esulta ogni persona:
Non è madre che sia schiva
Della spoglia più festiva
I suoi bamboli vestir.

Sia frugal del ricco il pasto;
Ogni mensa abbia i suoi doni;
E il tesor, negato al fasto
Di superbe imbandigioni,
Scorra amico all’umil tetto,
Faccia il desco poveretto
Più ridente oggi apparir.

Lunge il grido e la tempesta
De’ tripudi inverecondi:
L’allegrezza non è questa
Di che i giusti son giocondi;
Ma pacata in suo contegno,
Ma celeste, come segno
Della gioia che verrà.

Oh beati! a lor più bello
Spunta il sol de’ giorni santi;
Ma che fia di chi rubello
Torse, ahi stolto! i passi erranti
Nel sentier che a morte guida?
Nel Signor chi si confida
Col Signor risorgerà.

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