Virtù teramane, un piatto che racconta la storia di un territorio

1 maggio 2022 | 08:53
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Virtù teramane, un piatto che racconta la storia di un territorio

Le virtù teramane: il piatto della condivisione sulle tavole del 1° maggio. Un po’ di storia e la ricetta di Filippo Flocco.

Il primo maggio è virtù, almeno nel teramano, un piatto iconico che racconta la storia e la tradizione di un territorio. Il nome virtù arriva dalla consuetudine delle massaie di vuotare, a fine aprile, credenze e madie dagli alimenti conservati durante tutto l’inverno. È un piatto che simboleggia anche il duro lavoro nei campi per arrivare a stiparli, benaugurale, propiziatorio per la bella stagione in arrivo.

Le virtù stanno vivendo un ritorno di popolarità incoraggiante, merito di cuochi e ristoratori abruzzesi che attraverso la loro sapienza ed esperienza hanno portato questo piatto ad essere apprezzato in ogni angolo d’Abruzzo. Non ci sono solo gli chef a tramandare questa bella tradizione che profuma tanto di “Abruzzo de na ‘ote”, c’è anche lo stilista teramano Filippo Flocco, che non è solo ambasciatore della moda e dell’Abruzzo nel mondo, ma anche custode della tradizione delle virtù. Smessi i panni dello stilista impeccabile, come un perfetto massaio, da mesi sta raccogliendo le prenotazioni di amici e parenti che il primo maggio non possono fare a meno di assaggiare le sue virtù. Lui le prepara così come si faceva una volta, con lo “zinalino”in vita come faceva la nonna prima e la mamma poi, nella sua casa di campagna sulle colline teramane, aiutato da Carmine che lo sopporta e lo supporta e soprattutto non lo ha ancora ucciso!

Filippo Flocco virtù

“Non voglio tramandare una ricetta, ma un’idea – spiega Filippo Flocco sentito dal Capoluogo proprio mentre stava finendo di fare il brodo per le sue virtù – non sono uno chef e non voglio assolutamente offendere nessuno. Non conservo e non sono il detentore della prima ricetta custodita nell’antico vaso che andava portato in salvo: queste sono le ‘mie’ virtù che a casa prepariamo da sempre e che in questa giornata di festa condivido con amici e parenti che da mesi si sono prenotati per averne un assaggio. Il primo maggio ci ritroviamo a casa, in armonia, ma dalle prime ore del mattino cominciano ad arrivare i tanti amici a cui ne ho promesso un piatto. Perchè le virtù sono condivisione e a me piace condividere. La ricetta, nella sua tradizione originaria, prevedeva che il tutto fosse preparato da 7 vergini. Ecco, su questo ho fatto un’eccezione: non sono Vergine nemmeno come segno zodiacale!”. “Le virtù sono un simbolo del nostro territorio attorno al quale le persone si sono sapute connettere, cementando un senso di convivialità ed ospitalità. Ci sono piatti come questo che hanno travalicato il tempo, preservando quella scintilla che li ha generati e conquistando un posto nel mondo che magari prima non avevano. Ovviamente nel tempo ci sono state delle modifiche, delle varianti, è naturale, è la storia che lo richiede”. Tornando alla preparazione del piatto, Flocco è abbastanza ‘talebano’: da settimane ha già raccolto le erbe spontanee: borragine, salvia, finocchio selvatico, in campagna, con un cappellaccio di paglia calato sulla fronte e un paio di calosce ai piedi. Il brodo, fatto di manzo, pallottine e ‘avanzi’ del prosciutto intero che è stato consumato durante l’inverno, è stato sgrassato 3 volte e la carne sfilettata. Dopo aver preparato un buon soffritto con sedano carota, cipolla e aglio, si aggiunge il brodo, sette varietà di legumi freschi e secchi (fagioli a piacimento, con l’occhio o senza, ceci, lenticchie, cicerchia, piselli, fave, sette tipi di pasta di grano duro e all’uovo (mista, maccheroni spezzettati, zite, tubetti, maltagliati, pappardelle ecc. Nei supermercati da qualche tempo di trova volendo la confusione di pasta ‘mischiata, un retaggio della cultura gastronomica napoletana.

“Non detto stile, cucio emozioni sulla pelle”: Filippo Flocco ospite di #pilloleabruzzo

Tutto per 7 insomma, ma non è un caso: “Un antico detto popolano nato intorno alla ricetta delle virtù recitava ‘7 di tutte, une sole lu presutt’. È verosimile che prenda origine dalle virtù teologali che sono 3 e quelle cardinali che sono 4 e sommate insieme viene 7”. Come dicevamo inoltre, nel tempo la ricetta ha subito delle varianti in base ai gusti di chi la prepara, Flocco tra gli aromi ha reintrodotto la peperella che si trova nelle ricette delle virtù più antiche. “Alcuni mettono anche i tortellini, io non li uso perchè non sono della nostra tradizione, i tortellini li mangi a Bologna e in brodo, non al ragù e non nelle virtù. Anche accendere il fuoco per la callarella va fatto con la pietra focaia e la legna raccolto durante la notte sulle pendici del Gran Sasso ovviamente. Perché da questo si capisce chi è una vera regggina della casa e chi fa li mosse. Buone virtù e buon primo maggio a tutti!”. 

Filippo Flocco

Concludiamo con il post sulle virtù che Filippo Flocco ha pubblicato lo scorso primo maggio sul suo profilo Facebook, quando si era ancora in lockdown.

L’esperienza delle Virtù per la vera femmena terraman ( ma pure l’ummene che amano la cucina) equivale a un parto. È una dei momenti più faticosi , estenuanti e toccanti che si possano mai provare. Per fortuna passato un anno una se ne dimentica e ricomincia da capo, per non interrompere un ciclo vitale per le nostre tradizioni.
Bisogna arrivare al primo maggio con gli occhi da matta, urlando come una Erinni pure ai passeri che volano in cielo e rinnegare prima dell’alba per almeno tre volte personaggi nemmeno presenti sui calendari. Lamentarsi in continuazione , borbottando come una pentola di fagioli sul fuoco, pronta a lanciarsi come una lupa anche sui figli piccoli che tentano di spizzicare i carciofi fritti, mozzicandosi il pugno chiuso, a mimare il gesto del Conte Ugolino quando si magnava la capoccia della discendenza. Qualsiasi altra donna su tutto il territorio non farà mai le sue Virtù. Oh no no no no no. Al commento del marito che ignaro del pericolo le comunica che anche sua cugina, le cognate e la dirimpettaia le stanno facendo risponde con uno sbuffo e una alzata di occhi al cielo come se gli avesse detto che su Discovery Channel stanno trasmettendo I rituali di accoppiamento delle gru sul Nilo. Uno degli ingredienti segreti delle Virtù è la competitività e l’odio serpeggiante tra cuochi oltre a un pizzico di ferite narcisistiche ancora non rimarginate, che sono indispensabili. Venire invitati in una casa privata il primo di maggio, equivale a un udienza papale, però più importante. Che ne so, tipo che vi offrono pure un aperitivo e qualche pastarella fatta dalle suore. Alle 6 del mattino , ai primi bagliori dell’alba la casa è svegliata come da un allarme tsunami, con gli ordini che vengono gridati e perfino il cane e il gatto si mettono sull’attenti e fingono di fare qualcosa per la tua paura delle rappresaglie. In un crescendo di tensione che raggiunge l’acme attorno alle ore 12 quando gli Eletti, i fortunati che possono assaggiare l’opera omnia della gastronomia teramana citofonano per prendere con la loro pentolina, l’agognata porzione. È una cosa tipo la consegna del sacro Graal dall’ultimo dei Templari, per capirci. Poi ci si siede a tavola con solennità e la vera femmena terraman resta muta e con gli occhi fissi al muro, tipo quando stai a vedere un film sul telefonino e si ferma l’immagine perché non c’è connessione. Occhio a dire qualsiasi cosa che non sia una lode. Solo dopo il terzo piatto richiesto dagli ospiti la vera “regggggina de la casa ” si riterrà soddisfatta e tornerà a sorridere riprendendo sembianze umane. Si accascerà per qualche minuto per il riposino post prandiale, pronta per rimettersi in piedi per cucinare la cena. Buttando un’occhio, fintamente distratto, sui social per criticare qualsiasi altra preparazione e ogni tanto dicendo a voce alta” grazie a lu c@zz… mbhe cuscì so bona pure jiie”. Perché LEI riesce a distinguere la busta del supermercato di minestrone pronto e la “pasta compra”, anche senza allargare le foto. Tutto, qualsiasi cosa venga preparato si deve fare alla maniera dei quaccheri che sono rimasti a fine 800. Anche accendere il fuoco per la callarella va fatto con la pietra focaia e la legna che ha raccolto durante la notte sulle pendici del Gran Sasso ovviamente. Perché da questo si capisce chi è una vera regggina della casa (cioè lei stessa ) e chi fa li mosse ( tutti gli altri ) .

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