Cultura

Tutti i Santi giorni, 10 maggio: San Giobbe

San Giobbe e la sua proverbiale pazienza per la rubrica "Tutti i Santi giorni" del 10 maggio.

San Giobbe e la sua proverbiale pazienza per la rubrica “Tutti i Santi giorni” del 10 maggio.

Il 10 maggio si commemora San Giobbe. San Giobbe è una figura molto nota nella Bibbia e nella tradizione cristiana ricorre come modello di santità e di pazienza. È il protagonista del libro dell’Antico Testamento che prende da lui nome, citato come esempio per antonomasia del giusto perseguitato, messo alla prova da Satana. Ebbe sette figli e tre figlie e nella sua famiglia esercitò funzioni sacerdotali offrendo ogni sette giorni sacrifici per ciascuno dei suoi discendenti (Giob 1, 5; 42, 8). Era al colmo della ricchezza e della felicità quando improvvisamente fu colpito da una lunga serie di disgrazie che lo privarono in breve di ogni suo avere e perfino della prole, perita nel crollo della casa. A queste prove San Giobbe risponderà con parole di rassegnazione: “Iahweh ha dato e Iahweh ha tolto: il nome di Iahweh sia benedetto” (Giob 1, 21). Ma le sue sciagure proseguirono: colpito da una malattia che lo riduce in piaghe, non perde la sua calma proverbiale, neppure davanti allo scherno della moglie; cacciato di casa, trascorse i suoi giorni in mezzo ad un letamaio, dove fu trovato da tre amici che, informati della sua disgrazia, erano accorsi a confortarlo. Nella Bibbia questo racconto è espediente per affrontare il tema dell’origine del dolore nel mondo, del rapporto tra Dio e l’uomo, della giustizia e dell’ingiustizia, della felicità, del destino e del senso ultimo della vita. Nel dialogo sono coinvolti Giobbe stesso e i suoi amici: Eliphaz il Themanita, Baldad il Suhita e Saphar il Naamatita; nella seconda parte interviene anche Eliu e infine Dio medesimo che si rivela al Santo. I tre affermano che poiché Dio è buono e giusto, premia i buoni ricolmandoli di ogni felicità, e parimenti punisce i cattivi con il dolore e le calamità della vita, sottintendendo quindi che alla radice delle disgrazie di Giobbe debba esserci necessariamente qualche grave peccato, forse un delitto occulto. L’uomo cerca di dimostrare come spesso l’empio è felice mentre il pio è sventurato, ma poiché le sue argomentazioni risultano inutili, non gli resta che professarsi innocente, implorare la pietà degli amici e appellarsi al giusto giudizio di Dio. Dall’alto di una nube appare quindi Dio stesso che fa sentire la sua parola ammonitrice, spiegando che non bisogna giudicare l’operato divino dal punto di vista umano; al Santo non resta che umiliarsi davanti all’infinita Sua sapienza, gettandosi “sulla polvere e sulla cenere” (Giob 42, 6). Giobbe, proclamato incolpevole, viene restituito alla sua antica felicità: riebbe i suoi armenti, generò di nuovo sette figli e tre figlie, visse ancora altri centoquarant’anni.

La tradizione cristiana lo ha da sempre considerato modello di santità e il suo esempio di proverbiale pazienza fu proposto all’imitazione dei fedeli da San Clemente Romano, San Cipriano, Tertulliano e altri scrittori, sia in Oriente sia in Occidente. Diviene, inoltre, nella esegesi biblica, prefigurazione delle sofferenze di Cristo e della Chiesa e fonte di ispirazione spirituale, in particolare negli ambienti monastici. Per questo San Giobbe occupa un posto molto rilevante nell’iconografia medievale, ereditato anche dalla Tarda Antichità: sua immagine ricorre spesso negli affreschi degli antichi cimiteri cristiani e in numerosissimi sarcofagi d’Italia e della Gallia, come pure nelle Bibbie miniate. Il Libro di Giobbe può essere introdotto da una semplice effigie o da una scena che lo mostra sul suo letamaio, in compagnia della consorte e dei suoi tre amici, spesso attaccato dal demonio. Cicli raffiguranti il Santo appaiono anche nell’arte monumentale, dapprima sui capitelli romanici, poi nella scultura gotica e nella pittura murale: qui viene raffigurata oltre alla malattia di Giobbe, la morte dei suoi servitori, la distruzione delle sue greggi e il crollo della sua casa; talvolta è inserito nel gruppo dei profeti biblici, altre raffigurato come re, secondo una tradizione apocrifa che assimila al re di Edom, Iobab. A causa delle ulcerazioni che gli devastano il corpo divenne, insieme con Lazzaro, il patrono dei lebbrosi, e alcuni ospedali assunsero il suo nome. In senso più lato, la storia per immagini delle prove di San Giobbe appare come l’esempio di tutte le prove attraversate dall’umanità, una esortazione alla pazienza, poiché Dio alla fine reca consolazione a tutti coloro che soffrono. L’immagine rappresentata più di frequente lo ritrae vecchio e barbuto, con il corpo nudo ricoperto di piaghe, mentre siede su un letamaio – benché la Bibbia parli di mucchio di cenere – circondato dalle persone care che lo incitano alla ribellione. A volte la moglie si tura addirittura il naso per il fetore che emana o gli rovescia addosso dell’acqua.

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