Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia: Lucrezio, alla ricerca di senso

"Il dolore della giovenca" di Lucrezio per l'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.

Nelle scorse settimane ho proposto ai lettori di questa rubrica alcune composizioni poetiche studiate sui banchi di scuola e più di recente poesie sul tema della pace. Mi ripropongo di continuare l’esplorazione di questi due temi, soprattutto quello della “pace” che è e deve essere sempre una richiesta irrinunciabile in ogni tempo e a qualsiasi latitudine di questo pianeta.Per questa puntata voglio però ricordare un vero e proprio “avvenimento” non solo editoriale. Voglio ricordare un mondo lontano e le sue atmosfere perchè ci aiuti a vivere il presente facendo credito alla memoria che rimane un saldo strumento di comprensione appunto del presente. Mi riferisco all’opera di Lucrezio che con la sua ricerca di senso alla vita ci accompagna ormai da millenni.

Un ricordo favorito dalla notizia che il 10 maggio 2022 è uscito nelle librerie italiane un grande classico del pensiero e della letteratura: il DE RERUM NATURA di LUCREZIO (Mondadori, 2022) interpretato e riscritto da uno dei maggiori poeti del nostro tempo Milo De Angelis. Una traduzione attesissima, che ci permette di tornare a Lucrezio con una versione che ricrea fedelmente lo spirito e la tensione interna dell’esametro lucreziano come non era mai accaduto prima, con tanta poetica adesione.
Come molti ricorderanno di questo poema hanno parlato poeti dell’antichità classica latina tra cui Ovidio e Virgilio . Per molti secoli si ritenne quest’opera perduta fino a quando l’umanista Poggio Bracciolini non ne rinvenne il manoscritto. Bracciolini fu l’intellettuale più attivo, e anche più fortunato, in questo campo. I suoi ritrovamenti furono importantissimi. Queste le sue parole per esempio nel trovare il manoscritto intatto di Quintiliano nel monastero di San Gallo : “« […]Un caso fortunato […] volle che, mentre ero ozioso a Costanza, mi venisse il desiderio di andar a visitare […] il monastero di S. Gallo, a circa venti miglia. Perciò mi recai là per distrarmi, ed insieme per vedere i libri di cui si diceva vi fosse un gran numero. Ivi, in mezzo a una gran massa di codici che sarebbe lungo enumerare, ho trovato Quintiliano ancor salvo ed incolume, ancorché tutto pieno di muffa e di polvere.

Quei libri infatti non stavano nella biblioteca, come richiedeva la loro dignità, ma quasi in un tristissimo e oscuro carcere, nel fondo di una torre in cui non si caccerebbero neppure dei condannati a morte. E io son certo che chi per amore dei padri andasse esplorando con cura gli ergastoli in cui questi grandi son chiusi, troverebbe che una sorte uguale è capitata a molti dei quali ormai si dispera.» Fu in uno di questi viaggi alla ricerca di libri che Bracciolini ebbe la fortuna di scoprire il manoscritto del De Rerum natura. Una scoperta che lo rese famoso tra gli studiosi del suo tempo. Erano anni turbolenti e travagliati ( ma quali anni non lo sono ) tra i scima nella Chiesa, contrapposizione di Papi ad antipapi ,lotte feroci per il potere ma anche luminosissime affermazioni della dignità dell’uomo. A Costanza fu convocato nel 1414 un concilio. Bracciolini andò al seguito della corte papale.

Durante questo viaggio, in uno dei monasteri sul lago di Costanza, avvenne il ritrovamento. Come dicevo il nome di Lucrezio era già conosciuto dall’antichità attraverso Ovidio, Cicerone e altri autori , e quindi anche dallo stesso Bracciolini che aveva studiato le fonti dell’antichità classica insieme a quella schiera di dotti che saranno chiamati “umanisti”. Ma “né lui né gli altri avevano letto più di uno o due scampoli della sua scrittura che, a quanto si sapeva, era andata perduta per sempre”. Così scrive su questo ritrovamento Stephen Greenblatt autore di un romanzo-saggio, Il manoscritto.  Armando Felin nell’introduzione ad una delle più lette edizioni del De rerum natura ovvero quella della Utet scrive: “Nella seconda coppia di libri (III-IV) Lucrezio passa a trattare i problemi che concernono direttamente l’uomo: la psicologia e la teoria dei sensi. Il terzo libro svolge il tema dell’anima e della sua mortalità. S’apre con un nuovo elogio diEpicuro, che è forse la lirica lucreziana più alta e commossa. Di fronte alla natura rivelata dal genio del filosofo greco, il poeta sente un brivido di piacere sovrumano, l’horror che si prova dinanzi all’epifania di un dio. La proposizione del tema (mortalità dell’anima) permette di porre l’accento sul motivo etico, che è qui la liberazione dal timore della morte e dell’oltretomba. Immediatamente balza in primo piano l’uomo, ed è ancora una volta l’uomo universale colto attraverso l’uomo romano, nell’esperienza viva ebruciante di quella società e di quel momento storico. Nella rassegna delle passioni e delle debolezze umane generate dal terrore della morte (v. 41 segg.), sono primi i sedicenti filosofi, i falsi spiriti forti che la sventura o il pericolo ributtano nelle pratiche superstiziose”. 

Tutto qui dunque la ricerca di senso che ho voluto sottolineare richiamando l’attenzione su questa nuova traduzione dell’opera di Lucrezio contenuta proprio nei libri III e IV anche se Lucrezio non guarda solo alla vita dell’uomo ma anche a quella degli animali. Con il ritrovamento rinascimentale l’umanità potè riappropriarsi di un’opera che conferma quello che di Lucrezio molti hanno sottolineato: “la ricerca di senso nella e della vita”. Che non è cosa da poco in assoluto nel nostro mondo e nella nostra cultura occidentale. Perchè già gli uomini di quel tempo in cui visse Lucrezio guardavano alla vita come un breve segmento tra due nulla. Da un nulla siamo venuti e ad un nulla torneremo . Una triste e angosciata constatazione che la cultura occidentale ha cercato di addolcire riempiendo per esempio il nulla a cui siamo destinati dopo la vita con un’altra vita o con la narrazione di un eroismo in vita ( per esempio la morte in battaglia a cominciare dal poema omerico dell’Iliade ) che istituisce il nostro “essere” per sempre. Di fronte alla brevità della vita occorre” saperla e poterla “vivere ed è questo il senso che invoca Lucrezio. Ma è anche questo il messaggio che ci rimane perchè in questo mondo attuale la vita a volte non ha alcun valore. Guardiamo per esempio alle guerre che insanguinano il mondo ( se ne possono contare almeno 154 in corso sotto tutte le latitudini oltre quella russo-ucraina che sentiamo di più perchè in casa nostra )e che non sono più combattute da due eserciti che si fronteggiano in battaglia ma con azioni e raid e bombardamenti che spesso hanno come obiettivo le popolazioni civili inermi .Una vita che non vale niente in quanto, parlando per esempio di globalizzazione e delle ragioni della globalizzazione , gli individui e la loro vita vengono ritenuti scarti come molte volte ha ricordato anche lo stesso Papa Francesco. Milo De Angelis, a cui si deve dunque la nuova traduzione , ha esordito con Somiglianze (1976), seguito da Millimetri (1983). I successivi Terra del viso (1985), Distante un padre (1989), Biografia sommaria (1999), Tema dell’addio (2005, premio Viareggio), Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010), Incontri e agguati (2015), Linea intera, linea spezzata (2021) sono editi da Mondadori, come il riassuntivo Tutte le poesie (1969-2015) (2017). È anche autore di un’opera narrativa, La corsa dei mantelli (1979), e del saggio Poesia e destino (1982). La parola data, con DVD di Viviana Nicodemo (2017), raccoglie le sue interviste. Il poeta e studioso del mondo antico presenta il più misterioso degli scrittori latini, Lucrezio, che ha descritto con voce potente i disastri della natura: terremoti, nubifragi, pestilenze, cataclismi di ogni genere che spesso entrano nella mente dell’uomo e lo immergono nella pazzia. De Angelis, nella compagine del Festival del classico 2020 magistrale Studenti e studentesse del Liceo Classico Umberto I di Palermo prima della lettura dei versi da lui tradotti ha per esempio chiarito cosa per lui significhi e comporti il “tradurre”: portare fuori, immaginare , supporre. Il risultato di tale traduzione definita “poetica” e non letterale, perché eseguita “nello stile del nostro tempo”, è la presentazione del poeta-filosofo Lucrezio come un uomo a noi vicino, quasi contemporaneo nella sua visione della natura e dell’uomo nelle sue angosce e nelle sue brame. Nel sito del festival del classico si possono leggere per intero le argomentazioni esposte da De Angelis e dagli altri commentatori su il De Rerum natura . “Un un poema sicuramente gnoseologico, ma soprattutto cosmico in quanto Lucrezio, nei suoi momenti di apparente lucidità, dipinge tutte le sfaccettature del mondo in cui lui stesso si sente quasi imprigionato. L’universo ci appare un luogo in cui le “generazioni usurpano le generazioni” in un vortice incessante, il mondo una “giostra eterna” che consuma gli atomi dei corpi, la natura una forza creatrice e distruttrice allo stesso tempo, drammatica, matrigna e soffocante in cui l’uomo si perde abbandonato da qualsiasi divinità. Lo sconvolgimento che ne deriva è stravolgente: in un mondo così delineato l’uomo, “che ha alle spalle il nulla e verso il nulla si dirige”, è sopraffatto, penetrato e rapito da una profonda angoscia.” (https://festivaldelclassico.it/de-rerum-natura-il-poema-dellinfinita-tempesta/)

Scrive ancora Milo de Angelis: “Lucrezio non è al passo con i tempi. Non parla con i poeti contemporanei, non entra nei luoghi mondani del dibattito. È un uomo fuori tempo, fuori modo, fuori luogo. Non si rivolge ai vicini di casa ma agli antichi, ai grandi sapienti greci che si sono interrogati perì physeos: sulla natura delle cose, appunto”. Parla con Eraclito, Anassagora, Empedocle, Epicuro, parla con coloro che sono stati la sorgente del pensiero e hanno lanciato una staffetta poetica lungo i secoli, hanno fatto viaggiare un testimone, un bastoncino di legno che passa da una mano all’altra, da una mente all’altra. “Come dice Sebastiano Aglieco: “Lucrezio è un poeta aspro, solitario, come lo furono Nietzche e Leopardi – ha commentato in altre occasioni Milo de Angelis – ed ha un grande rapporto con l’antico, con autori come Senofane ed Epicuro. La sua opera è tutta pervasa dal buio, dallo sgomento e dal mistero. L’angoscia, la morte, l’amore e la malattia sono i quattro temi musicali e fondamentali della sua poesia”.

Trascrivo un brano del poema nella nuova traduzione di De Angelis.

Il dolore della giovenca (II, 352-366)

Nam saepe ante deum vitulus delubra decora
turicremas propter mactatus concidit aras
sanguinis exspirans calidum de pectore flumen.
At mater viridis saltus orbata peragrans
quaerit humi pedibus vestigia pressa bisulcis,
omnia convisens oculis loca si queat usquam
conspicere amissum fetum, completque querellis
frondiferum nemus adsistens et crebra revisit
ad stabulum desiderio perfixa iuvenci,
nec tenerae salices atque herbae rore vigentes
fluminaque illa queunt summis labentia ripis
oblectare animum subitamque avertere curam,
nec vitulorum aliae species per pabula laeta
derivare queunt animum curaque levare:
usque adeo quiddam proprium notumque requirit.
Il dolore della giovenca (II, 352-366)

Sovente, davanti agli splendidi templi degli dei,
ai piedi degli altari dove brucia l’incenso, si accascia un vitello
sacrificato e un fiume caldo di sangue gli esce dal petto.
La madre a cui è stato strappato percorre i verdi pascoli
cerca di trovare per terra l’impronta dei suoi zoccoli,
posa dappertutto il suo sguardo, spera con tutte le forze
di scorgere da qualche il figlio perduto. Resta immobile
alle soglie del bosco, lo riempie dei suoi lamenti disperati,
in preda all’angoscia torna indietro a cercarlo nella stalla.
Né i teneri salici né l’erba ricca di rugiada né i suoi amati
corsi d’acqua che scorrono a filo delle rive possono consolare
il suo cuore o scacciare la sua sofferenza improvvisa
e neppure la vista degli altri vitelli nei pascoli fecondi
riesce a distrarre il suo animo o alleviare la pena: lei cerca
l’unica creatura che conosce davvero, la sua!

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