Palazzi storici patrimonio collettivo, molto più di una questione privata

L’AQUILA – Si accende il dibattito sull’uso “pubblico” dei palazzi storici di proprietà privata. Quando la condivisione diventa legge morale.
L’AQUILA – Si accende il dibattito sull’uso “pubblico” dei palazzi storici di proprietà privata. Quando la condivisione diventa legge morale.
Se è vero com’è vero che i privati, nell’ambito delle disposizioni di legge, possono disporre delle loro proprietà secondo volontà, un ragionamento a parte andrebbe fatto per quel patrimonio collettivo che, soprattutto in città come L’Aquila, è rappresentato dai numerosi e meravigliosi palazzi storici, molti dei quali – appunto – di proprietà privata. Ad innescare il dibattito, la presa di posizione di un condomino di Palazzo Pica Alfieri, Roberto Giannangeli, che ha richiesto di accertare che vi fossero tutte le condizioni previste per lo svolgimento di eventi pubblici negli spazi comuni; richiesta rimasta inevasa e che poi ha portato a una “intimazione” “di non autorizzare nessuna manifestazione, nella considerazione che un siffatto uso del cortile, comportando una evidente limitazione ai loro diritti di uso e di godimento del medesimo, costituisca una innovazione vietata dalla legge, giusta art. 1120, ultimo comma C.C..”.
Al di là di ogni considerazione di aspetto legale e dell’evidenza per cui “ognuno a casa propria fa ciò che vuole”, si rende però necessaria una riflessione più ampia su ciò che questi palazzi rappresentano per la collettività e sull’impegno pubblico a restituire quell’antico splendore di cui oggi godono i proprietari e forse sarebbe appena giusto potessero godere tutti i cittadini. Naturalmente non si tratta di rendere “pubblico” ciò che è privato, nessuno si sognerebbe questo tipo di operazione da improponibile “socialismo reale”, però forse una disponibilità maggiore a condividere spazi comuni per eventi culturali sarebbe un giusto “contrappeso” all’impegno pubblico circa i restauri e i lavori di ricostruzione necessari per il ritorno allo splendore degli stessi palazzi. Non sfuggirà, infatti, che l’impegno di pubblica spesa necessario a riportare nelle disponibilità dei privati i palazzi storici, vincolati per loro stessa natura, sia stato enormemente maggiore, rispetto alle normali abitazioni private.
Se questo non obbliga legalmente nessuno ad accettare eventi negli spazi comuni (non si parla certo dell’abitazione in sé), la consapevolezza di detenere un importante patrimonio collettivo, recuperato e valorizzato con soldi pubblici, dovrebbe far quantomeno sorgere una naturale propensione a una pur minima forma di condivisione. Vogliamo chiamarla “legge morale”?