Camere con vista

Il Governo traballa, ma per ora non cade: Conte protesta, Salvini prepara l’affondo

Il Governo traballa ma non cade…per ora. Conte protesta dopo l'incontro con Draghi. Salvini prepara l'affondo. Il nuovo appuntamento di "Camere con vista" a cura di Giuseppe Sanzotta.

Il Governo traballa ma non cade…per ora. Conte protesta dopo l’incontro con Draghi. Salvini prepara l’affondo. Il nuovo appuntamento di “Camere con vista” a cura di Giuseppe Sanzotta.

C’è una parola che si ripete nella politica italiana già dai tempi della Prima Repubblica: discontinuità. Che voglia dire nessuno lo sa, ma è la parolina magica per non dire nulla facendo finta di aver detto chissà cosa. Anche Conte, l’avvocato abbagliato dalla politica, non sfugge alla tradizione del vecchio politichese. Era salito a Palazzo Chigi preceduto dal rullare dei tamburi di guerra. Era stato preceduto da sondaggi, proclami, annunci minacciosi: i 5Stelle pronti a lasciare il governo. Ma Draghi aveva avvertito, senza i 5Stelle il governo cade. Dal Pd Franceschini aveva avvertito: se Conte rompe, finisce anche l’alleanza e alle elezioni ognuno andrà per proprio conto.
Letta aveva provato a mediare, cercando soprattutto di portare Conte a non rompere con il governo, pur avvertendo – anche lui – che la crisi di governo porterebbe al voto subito. Il Pd ha mediato e nello stesso tempo ha accuratamente evitato ogni riferimento a Di Maio, proprio per non gettare sale su una ferita aperta. Ma Di Maio ha pesato, anche se apparentemente lontano dai riflettori.
Nei palazzi della politica erano in molti a pensare che, se Conte fosse uscito dall’ufficio di Draghi con l’annuncio di una crisi di governo, altri parlamentari avrebbero lasciato il movimento per seguire il ministro scissionista. Non solo.
Mentre Conte saliva le scale di Palazzo Chigi, Di Maio era a casa del sindaco di Milano, Sala. Un incontro di un’ora, riservato. Di sicuro non legato a nessuna questione istituzionale, si è sicuramente parlato del nuovo soggetto politico che il sindaco di Milano sta mettendo in piedi. Un po’ quella forza civica che ha portato al clamoroso successo di Tommasi a Verona.
Quella quota civica che potrebbe affiancare il Pd nel disegnare il campo largo che è nei sogni di Letta.

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Conte ha capito che puntare alla rottura sarebbe stato un rischio troppo alto. L’ex premier ha guidato l’esecutivo per metà legislatura. I 5Stelle sono al governo dal 2018, possono essere credibili se rispolverano oggi l’ascia di guerra contro la politica? E quel 10-12 per cento che i sondaggi gli accreditano rischia di sfumare in una fase dove non è finita l’emergenza Covid, c’è una guerra con conseguenze economiche gravi anche per l’Italia, c’è un’emergenza idrica nel Paese. E la cronaca, con il dramma sulla Marmolada, richiama l’attenzione sulla questione climatica. Un Paese in emergenza come giudicherebbe impuntature sul bonus edilizio o l’inceneritore di Roma? L’ex avvocato del popolo prima di incontrare Draghi ha fatto lanciare segnali distensivi: i 5Stelle non escono dal governo. E così è stato, almeno per ora.

Conte ha presentato un documento in 9 punti. In sostanza c’è la difesa del reddito di cittadinanza, il bonus del 110 per cento, la richiesta del salario minimo, aiuti alle famiglie per le bollette, riduzione del cuneo fiscale, rateizzazione delle imposte. Tutto condito dalla parolina magica: discontinuità. Alcune delle richieste dei 5Stelle sono già in agenda, alcune già anticipate. Altre appaiono buoni propositi che si discuteranno nella prossima legge di bilancio.
Draghi, come ha riferito Conte, si è riservato di esaminare con attenzione il documento. Ma nell’immediato è stata posta la fiducia al Decreto Aiuti, sul quale i 5Stelle avevano delle profonde riserve. E la fiducia un partito della maggioranza non può non votarla. L’importante è andare avanti, anche se qualche concessione, pur se soltanto formalmente, dovrà essere fatta.

Conte si è lamentato per i continui attacchi al reddito di cittadinanza. Ecco, forse per un po’ se ne parlerà meno: anche se è evidente a tutti che, prima o poi, quel provvedimento andrà rivisto. Inoltre fare troppe concessioni ai 5Stelle aizzerebbe Salvini. Anche lui ha già alzato la voce, a volte sembra sul punto di uscire dal governo, in altri momenti sembra assecondare la linea governista.
Lui avrebbe un progetto, quello di coinvolgere tutti i leader dei partiti nell’azione di governo fino al termine della legislatura. Un modo forse per depotenziare anche Giorgetti. Ma come arrivare a quel punto? Con la crisi? Il rischio è che dopo non ci sarebbe un nuovo governo, ma il voto. E Salvini vuole del tempo per provare a rilanciare una Lega in grave difficoltà.
Potrebbe proporre a Draghi un direttorio, ma il premier non ha alcuna intenzione di lasciarsi commissariare. Forse si rinvierà tutto a settembre, con l’appuntamento di Pontida.
Ma è chiaro fin da ora che i 5Stelle e la Lega sono alla disperata ricerca di una strategia per cercare almeno di limitare una frana elettorale, che, al momento, appare inarrestabile. E le elezioni politiche non sono così lontane.
Anche per questo c’è già chi è al lavoro in vista di quell’appuntamento. Si muove Di Maio, che cerca sponde in Sala per poter giocare la prossima partita elettorale. Nella galassia centrista si muovono un po’ tutti. L’obiettivo comune sarebbe quello di cambiare la legge elettorale con un proporzionale puro che lascerebbe a tutti le mani libere per discutere di alleanze dopo il voto, in una situazione in cui i piccoli partiti possono divenire determinanti. Ma c’è un governo da tenere in piedi. Ed è un’impresa faticosa che necessita di continue mediazioni che, inevitabilmente, rendono difficoltosa la marcia dell’esecutivo, con il rischio che qualcuno (Salvini o Conte) non decida di staccare la spina.

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