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Omicidio di Barisciano, processo alle battute finali: dopo l’estate la sentenza

L'AQUILA - Pausa estiva per il processo relativo all'omicidio di Barisciano, a ottobre chiusura fase dibattimentale e sentenza.

L’AQUILA – Pausa estiva per il processo relativo all’omicidio di Barisciano, poi le ultime udienze e la sentenza.

Dopo l’ultima udienza di luglio, si tornerà in Aula il 5 ottobre per chiudere la fase dibattimentale e poi per la sentenza della Corte d’Assise, che dovrebbe arrivare tra fine ottobre e gli inizi di novembre. Imputato nel processo per l’omicidio di Paolo D’Amico, il giovane aquilano Gianmarco Paolucci, che nell’ultima udienza doveva essere interrogato, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. Presumibilmente l’impuntato, rappresentato dagli avvocati Mauro Ceci e Licia Sardo, rilascerà dichiarazioni spontanee prima della riunione in Camera di Consiglio per la sentenza di primo grado di una vicenda che ha scosso il territorio.

L’omicidio di Barisciano.

Il 24 novembre 2019, presso la propria abitazione di Barisciano, è stato ritrovato privo di vita il 55enne Paolo D’Amico, dipendente dell’ASM. A ritrovare il corpo, alcuni familiari che si erano recati a casa dell’uomo, visto che non riuscivano a mettersi in contatto con lui. Dalla finestra, hanno scorto un corpo a terra e hanno quindi allertato le forze dell’ordine. Sul posto, i carabinieri e gli operatori del 118, che non hanno potuto far altro che constatare il decesso. Sul corpo della vittima, però, erano già evidenti i segni di un’aggressione. Sono quindi partite le indagini dei carabinieri, supportati dai RIS, per individuare l’identità dell’aggressore. Secondo quanto ricostruito successivamente durante le indagini e le prime fasi processuali, dal luogo dell’omicidio è sparito il telefono e il portafogli della vittima, insieme ad alcune piante di marijuana che la stessa vittima coltivava in garage. Con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, però, la sim contenuta nel telefono scomparso è stata duplicata ed è stato possibile analizzare i contatti telefonici della vittima. Così, mentre i Carabinieri acquisivano informazioni dai contatti rilevati, i RIS attenzionavano alcuni reperti, tra cui i pantaloni della vittima che, all’altezza della caviglie, presentavano una mistura di DNA, uno della vittima e l’altro del presunto aggressore. Bisognava però associare un nome a quel DNA; così sono stati prelevati diversi campioni dalle persone considerate “sospettate”, tra cui il campione del giovane aquilano Gianmarco Paolucci, prelevato con la “scusa” di un alcooltest, durante quello che sembrava un normale controllo di routine. La corrispondenza definita dai RIS “altamente probabile” del DNA di Paolucci con quello sui pantaloni della vittima, a fatto scattare l’arresto, insieme ad altri elementi indiziari, tra cui l’aggancio di una cella compatibile con l’abitazione di Paolo D’amico da parte del telefono dell’imputato. In una delle ultime udienze, il padre dell’imputato ha dichiarato di aver chiesto al figlio di portargli alcuni attrezzi nell’abitazione in uso a Poggio Picenze, quel giorno. Una dichiarazione che non ha convinto gli inquirenti e che potrebbe far scattare l’accusa di falsa testimonianza.

Omicidio di Barisciano, testimonianza a sorpresa: “Ecco perché il cellulare di mio figlio risultava vicino casa della vittima”

Nel corso delle udienze, intanto, si sono susseguite le testimonianze di periti, colleghi di lavoro di vittima e imputato, carabinieri, RIS, per ricostruire le vicende legate all’omicidio. A fine giugno, dai medici legali è arrivata la conferma della compatibilità dei due attrezzi sequestrati sul luogo del delitto, uno scalpello e una mazzetta da cantiere. Su entrambi i RIS hanno riscontrato sostanze di tipo ematico appartenenti alla vittima, ma mentre nel caso dello scalpello erano presenti sia sulla punta che sul manico, per quanto riguarda la mazzetta sono state riscontrate solo sul manico e non sulla parte contundente, che secondo le ipotesi avrebbe dovuto impattare con il cranio della vittima. Ci sarà da dibattere anche sull’ampiezza delle ferite, in quanto diverse avevano una lunghezza di 2 cm, a fronte di una punta di scalpello ampia 1,6, mentre le due ferite principali all’emitorace misuravano circa 5/6 cm, una grandezza che non convince la difesa, seppur i medici legali abbiamo giudicato compatibili le stesse, in base alle angolazioni dei colpi inferti. I Ris, invece, hanno affrontato la questione dell’analisi dei reperti riguardanti vari ambiti investigativi. Negativo l’esito delle analisi per quanto riguarda presunte tracce ematiche o organiche repertate nell’abitazione di Bagno dell’imputato, mentre nelle auto nelle sue disponibilità (una di proprietà e una appartenente alla fidanzata) sono state sì trovate tracce ematiche, ma non riconducibili alla vittima. Negativo anche l’esito dell’esame delle scarpe inizialmente sequestrate e ritenute compatibili con l’orma di sangue rinvenuta sulla scena del crimine: la suola delle scarpe sequestrate in fase di arresto risulta con forme diverse dall’orma sulla scena del crimine. A collegare l’imputato alla scena del crimine, però, una “mistura” di DNA rinvenuta sui pantaloni della vittima, all’altezza delle caviglie. Dei due DNA riscontrati, uno apparterrebbe alla vittima e uno con “alta probabilità” all’imputato. Gli investigatori hanno spiegato la presenza del DNA dell’imputato in quella posizione, come risultato del trascinamento del corpo all’interno dell’abitazione, dopo l’aggressione. Ma ci sono anche altri profili rilevati sulla scena del crimine, due dei quali ancora ignoti. Nel posacenere della cucina sono stati trovati mozziconi di sigarette riconducibili in un caso alla donna che frequentava l’abitazione per motivi di lavoro, essendo addetta alle pulizie, e in un altro a un uomo che si recava a casa della vittima per questioni legate al consumo di marijuana. Due invece i profili ancora senza nome: quello rilevato grazie alle tracce trovate sulla maniglia della porta del garage, quella interna prima della porta scorrevole esterna, e uno – una traccia ematica – su una scatola che conteneva scarpe della vittima che però mancano dalla scena del crimine.

Nell’ultima udienza, invece, l’imputato si è valso della facoltà di non rispondere, mentre sono state ascoltate due testimonianze, quella della veterinaria che curava i cani di D’Amico, che ha confermato genericamente le “cattive condizioni economiche della vittima”, riferendo una frase dello stesso, che le avrebbe detto tempo prima della morte: “Se torno a Roma mi uccidono”, anche se non si è capito da chi fossero arrivate le minacce. Altra testimonianza, da parte di un funzionario di pg, che confermerebbero che l’imputato potrebbe essere sia destrimane che mancino, mentre l’imputato ha sempre sostenuto, con le conferme di alcuni amici e colleghi di essere mancino. Questione non di poco, visto che dall’autopsia emerge che a colpire D’Amico sia stata proprio una persona destrimane.

Non resta che attendere quindi la chiusura della fase dibattimentale e le conclusioni della Corte.

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