Lo studio

Lo Smart working fa bene al sonno, così si lavora meglio: lo studio aquilano

Tra le rivoluzioni portate dal Covid19 ce n'è una apprezzata da molti, lo Smart working, letteralmente "Lavoro agile". Lavorare da casa, quindi "a distanza", ha i suoi benefici, soprattutto in fatto di sonno: così si lavora meglio? Lo studio.

Tra le rivoluzioni portate dal Covid19 ce n’è una apprezzata da molti, lo Smart working, letteralmente “Lavoro agile”. Lavorare da casa, quindi “a distanza”, ha i suoi benefici, soprattutto in fatto di sonno: così si lavora meglio? Lo studio.

Dati positivi sull’effetto Smart Working arrivano da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Scientific Reports, che porta la firma del Laboratorio di Psicofisiologia del Sonno e Neuroscienze Cognitive dell’Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento di Biotecnologie e Scienze Cliniche applicate, supervisionato dal professor Michele Ferrara, responsabile del progetto di ricerca.

Smart working

Lo studio è stato condotto nel mezzo della seconda ondata Covid19, nel mese di dicembre 2020.
In quel periodo è stata effettuata la raccolta di dati su una base di 900 lavoratori. Di questi circa 1/3, quindi 275 lavoratori, praticavano lo smart working, mentre la restante parte lavorava in presenza. Lo smart working, garantendo maggiore flessibilità degli orari lavorativi, permette una migliore organizzazione delle attività quotidiane ed, in particolare, del sonno. Dallo studio, infatti, sono emersi benefici dello smart working che potrebbero tuttavia non coinvolgere tutti i lavoratori allo stesso modo, interessando preferenzialmente i cosiddetti “gufi”, ovvero le persone con cronotipo serotino. 

«Le persone con cronotipo serotino rappresentano all’incirca il 10-20% della popolazione generale. In una società tipicamente orientata alla mattutinità, questo gruppo è storicamente caratterizzato da una ridotta durata di sonno nei giorni lavorativi e problemi di insonnia e salute mentale a causa del disallineamento tra il proprio orologio circadiano e i ritmi socio-lavorativi» spiega il Professor Michele Ferrara, responsabile del progetto e direttore del Laboratorio.

“Nel nostro studio – spiega il dottorando di ricerca in Medicina Sperimentale Federico Salfi alla redazione del Capoluogoabbiamo dimostrato come lo smartworking possa costituire la modalità lavorativa ideale per promuovere un’adeguata durata di sonno e ridurre i problemi di insonnia e depressione nella fascia di popolazione dei cosiddetti ‘gufi’, cioè le persone con cronotipo serotino: coloro che preferiscono andare a dormire e svegliarsi tardi. Sono loro, tipicamente, a riportare i problemi più marcati di sonno e salute mentale, poiché la società è storicamente incentrata su orari mattutini”.
Già. Perché funziona così: scegliamo l’ora in cui andare a dormire, ma non quella in cui alzarci, soprattutto se la sede lavorativa è distante dalla nostra abitazione. Lavorare in smart working può aiutare. Chi? Soprattutto chi biologicamente tende a dormire tardi, al di là dell’ora in cui ci si mette al letto.
“Logico che queste persone – le quali si ritrovano ad assecondare il loro bisogno biologico di dormire tardi – vadano incontro a problemi legati al sonno, dovendo svegliarsi presto ogni mattina per recarsi al lavoro. Ciò le porta ad accumulare un consistente debito di sonno nel corso dei giorni lavorativi. Di conseguenza, possono insorgere o peggiorare disturbi del sonno, quali l‘insonnia o, in maniera indiretta, anche problemi di disturbo dell’umore, come la depressione. Infatti, spesso l’insonnia è uno dei fattori scatenanti a lungo termine del disturbo depressivo”, continua Salfi, primo autore dell’articolo.

leggi anche
In 10 anni abbiamo perso un'ora di sonno
Univaq
Buonanotte Coronavirus: la qualità del sonno al tempo della pandemia

Nello studio, quindi, i ricercatori hanno dimostrato sul campione di lavoratori italiani preso ad esame, come la caratteristica tendenza dei “gufi” a dormire meno ed esperire sintomi di insonnia sia riscontrabile solo nel gruppo di lavoratori in presenza (il 70% dei partecipanti). D’altro canto, la vulnerabilità ai problemi di sonno delle persone serotine spariva nel gruppo di lavoratori da casa, che mostravano un posticipo generale dei periodi di addormentamento e risveglio, con risvolti favorevoli sulla sintomatologia depressiva.

“La transizione su larga scala verso lo smart working ha rappresentato un enorme laboratorio a cielo aperto per studiare le conseguenze di una modalità di lavoro più flessibile sul benessere del sonno della nostra popolazione“. Lo studio si unisce ad una crescente letteratura scientifica che suggerisce come orari di lavoro che assecondino e rispettino il cronotipo individuale possano garantire a tutti i lavoratori eguali opportunità di sonno, promuovendone il benessere generale.
La graduale mitigazione dell’emergenza sanitaria sta portando le persone a riprendere la loro routine lavorativa pre-pandemica.
I risultati della nostra ricerca dovrebbero essere tenuti in considerazione nella progettazione di politiche lavorative di smart working sia nell’immediato, ma, forse ancor più importante, anche nell’era post-covid“, aggiungono gli autori dello studio.

leggi anche
giorgio coraluppi
Necrologio
Addio a Giorgio Coraluppi, l’aquilano che inventò la videoconferenza