Caccia al voto

Il Festival delle promesse verso le elezioni politiche: spuntano i pentiti della riduzione dei parlamentari

Elezioni politiche, è iniziato già il Festival delle promesse. Intanto spuntano i pentiti della riduzione del numero dei parlamentari.

Elezioni politiche, è iniziato già il Festival delle promesse. Intanto spuntano i pentiti della riduzione del numero dei parlamentari. Il nuovo appuntamento con la rubrica Caccia al voto, a cura dell’editorialista Giuseppe Sanzotta

Elezioni politiche, presentate le liste per il voto del 25 settembre, è il momento delle polemiche, delle delusioni, dei proclami e delle promesse.
Quando riunì nel giorno di Ferragosto (scelta crudele) la direzione del Pd, davanti alla protesta degli esclusi, Enrico Letta replicò con sarcasmo: ma la riduzione del numero dei parlamentari l’avete votata voi. Già, ma forse non avevano pensato, due anni fa, che avrebbero messo a rischio la propria poltrona. E così è stato per molti non solo del Pd, ma anche di Forza Italia, della Lega. Per non parlare dei renziani. Non ha problemi soltanto Giorgia Meloni, con Fratelli d’Italia che è il solo partito che, nella prossima legislatura – nonostante il taglio delle poltrone – avrà più seggi che in questa. Così si assiste agli sfoghi degli esclusi, alla delusione e rassegnazione di quanti sono stati presentati come contorno senza possibilità di riuscita. Del resto senza le preferenze, c’è poco da fare.
Chissà quanti si stanno pentendo in queste ore di aver assecondato il populismo pentastellato.

Ci sono poi le fratture politiche. Tra Conte e Letta, due che si erano impegnati in un progetto comune, siamo alla lite con toni accesi, volano gli insulti. Il Pd definisce un tradimento l’abbandono dell’alleanza in Sicilia, dall’altra parte si risponde che gli ex alleati volevano presentare degli impresentabili. Chi sono questi impresentabili? E che hanno fatto per essere definiti tali?
Alla fine Conte ha detto la vera ragione del divorzio: “da soli prediamo più voti”. Nobile obiettivo. Si fa per dire.
L’unica cosa positiva è che stavolta è stato evitato il retorico e abusato ricorso all’interesse del Paese. Chissà se l’ex sindaco di Parma, Pizzarotti, e Albertini hanno divorziato da Calenda per il bene dell’Italia o per una lite sui collegi. Anche qui si finisce con accuse.

A Destra il malumore è in Forza Italia: il taglio dei posti disponibili ha colpito personaggi con una storia dentro il partito. Il seggio è assicurato per la Fascina (la quasi moglie di Berlusconi). Fuori invece la Polverini, ex presidente del Lazio, e lei non nasconde la delusione. C’è qualche dissenso in Molise e Basilicata, dove vengono spediti il presidente della Lazio, Lotito, e la presidente del Senato, Casellati, sloggiata dal suo collegio storico in Veneto. Dopo quattro legislature non sarà più in Senato Gaetano Quagliariello, che rimprovera ai moderati di non aver presentato una proposta politica credibile.

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Ormai i giochi delle liste sono fatti, ma è chiaro che ai voti dovranno pensarci i leader direttamente. Sono loro che dovranno convincere gli elettori, soprattutto gli indecisi e quanti si sono astenuti in passato. E così parte il festival delle promesse, tutti dimenticando che, salvo Fratelli d’Italia, da due legislature sempre all’opposizione, gli altri hanno governato tutti.
In questa legislatura abbiamo avuto un governo Lega e 5Stelle, poi uno 5Stelle e Pd e, per finire, un governo di tutti meno Fratelli d’Italia. I 5Stelle sono guidati da Conte, che è stato il premier in due esecutivi diversi e oggi sembra non rendersi conto che, secondo i sondaggi, i 5Stelle hanno perso due terzi dei voti stando al governo del Paese. Cioè dopo essere stati messi alla prova. Così attacca gli ex alleati tutti, poi difende l’operato al governo. Cerca voti senza una strategia politica, senza possibili alleati. In gioco, il 26 settembre potrebbe esserci la sua poltrona. E gli atri promettono, come se venissero da Marte. Promettono cose che avrebbero potuto fare nei mesi scorsi. Parlare di conti pubblici, di debito, di compatibilità non serve. Meglio promettere.

Letta e Salvini giocano una partita particolare. Il segretario del Pd, se il risultato elettorale non dovesse premiarlo, sa che dovrà affrontare un congresso. Salvini, vede il governo a un passo, ma il sogno, adesso lontano, è palazzo Chigi: eppure anche la vittoria della coalizione di centrodestra potrebbe non bastare se dovesse aumentare ulteriormente il peso di Fratelli d’Italia a scapito della Lega. In discussione potrebbe entrare la sua guida.
Berlusconi, anche se il risultato di Forza Italia si annuncia modesto, resterà il padre-padrone del partito, ma fino a che punto potrà condizionare, come vorrebbe Giorgia Meloni? Già perché Giorgia Meloni viaggia con il vento in poppa.
A sinistra hanno provato a rispolverare l’arma dell’antifascismo. Ma è parsa subito spuntata. Berlusconi vorrebbe essere l’eventuale garante di europeismo e atlantismo. Non sembra necessario, Giorgia Meloni, già prima dello scioglimento delle Camere, aveva assicurato la fedeltà all’alleanza atlantica, la scelta di sostenere l’Ucraina contro l’invasione russa. Ha fatto spesso riferimento all’europeismo. Non ha bisogno di garanti: è pronta per Palazzo Chigi.
I sondaggi non lasciano dubbi. Però ci attende un mese di campagna elettorale. Tutto si giocherà su quel 40-45 per cento di incerti e di potenziali astenuti. Quella è la vera terra di conquista. Soprattutto per Letta e Meloni.

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