Politica

Elezioni politiche, chi sale e chi scende nel silenzio dei sondaggi

La corsa al voto, il silenzio dei sondaggi crea un po' di suspense per un risultato che appare scontato. L'editoriale di Giuseppe Sanzotta.

La corsa al voto, il silenzio dei sondaggi crea un po’ di suspense per un risultato che appare scontato.

L’ex segretario del Pd Bersani in tv annuncia che la Destra non vincerà. Franceschini, Pd, rassicura le truppe: stiamo recuperando. Del resto anche Letta nel ribadire la necessità del voto utile (cioè votare solo per lui) conferma che ora la partita si è riaperta. C’è un pizzico di verità o sono soltanto sparate propagandistiche? Ci vorrebbero le Ghisleri o i Pagnoncelli (i sondaggisti) per smentirli, ma la legge vieta i sondaggi nella fase finale della campagna elettorale, così ognuno può pensare quel che vuole, o peggio dire quel che vuole tanto dopo il voto sarà tutto dimenticato. La politica ha la memoria corta. Qualche anno fa Fini disse severo, con Bossi non prenderò neppure un caffè, poi fecero un governo insieme. Per Di Maio il Pd era il partito di Bibbiano, cioè il peggio del peggio, ora se sarà eletto è perché il seggio lo garantisce proprio il Pd. Solo qualche mese fa tra Calenda e Renzi la polemica era durissima, adesso stanno insieme. O meglio Renzi ha mandato avanti Calenda e si è messo in disparte. Chissà perché? E così Calenda impazza sui social e in tv per ri/lanciare Draghi a Palazzo Chigi. Peccato che il premier non solo non è candidato, ma evita accuratamente di lasciarsi coinvolgere nella campagna elettorale e non sembra interessato a un futuro a Palazzo Chigi. Non si era mai vista una cosa simile.

C’è Fratoianni che annuncia sui social il trionfo di consensi tra i giovani. Un bollettino della vittoria prima della battaglia. Diaz lo fece dopo la vittoria non dopo Caporetto (anche se allora il comandante era Cadorna).
In campo c’è anche quel Rizzo, comunista mai pentito, che regolarmente, prima del covid si recava sulla piazza Rossa di  Mosca ogni 7 novembre per celebrare la rivoluzione. Scena un poco patetica. Invece è volgare il suo brindisi per la morte di Gorbaciov, l’uomo che aveva liquidato l’Unione Sovietica. Rizzo per andare in Parlamento avrebbe bisogno dell’aiuto del cielo, ma lassù non gode di buona fama, così non raggiungerà quella soglia minima del 3 per cento necessaria per avere eletti.
Difficilmente raggiungerà quella soglia anche l’ex Pm ed ex sindaco di Napoli De Magistris che con Ingroia ha la sua lista Italia sovrana e popolare. La coppia di ex pm  ha ingaggiato anche Gina Lollobrigida che “correrà” per il Senato anche dopo essersi rotto il femore. Ma la coppia ha ingaggiato anche lo straniero, il francese Melenchon, leader della sinistra francese per dare una mano.

A proposito di stranieri non poteva mancare l’ennesima, per l’Italia, accusa di un intervento finanziario straniero. L’accusa viene dagli Usa: Putin finanzia dei partiti occidentali. Occhi puntati su Salvini per quelle vecchie magliette con il faccione del nuovo zar. Ma Salvini smentisce e minaccia querele. Del resto dal copasir arriva la smentita: non ci sono italiani sospettati di aver preso soldi. C’è da giurarci che qualcuno, nonostante le smentite e le assicurazioni, cercherà di utilizzare a proprio uso anche questo.
Poi c’è Berlusconi che vorrebbe allenare il suo Monza dopo aver licenziato l’allenatore, intanto ha scoperto TikTok. Il suo ‘salve ragazzi’ servirà a guadagnare voti? Ne avrebbe bisogno. Qualche settimana fa si era detto certo che Forza Italia avrebbe raggiunto il 20 per cento. In fondo Berlusconi è un sognatore, ma il 26 settembre del sogno, come capita sesso, non ricorderà niente nessuno.
Che dire di Conte? Presidente del Consiglio con due maggioranze diverse non ha mai digerito di essere stato sostituito da Draghi. Palazzo Chigi gli manca e si vede. Così si è scoperto un po’ barricadero, lo si nota perché spesso lascia a casa la cravatta. Basterà per essere credibile al popolo del vaffa?

Per finire i due contendenti Letta e Meloni. Erano stati definiti Sandro e Raimondo della politica italiana. Però, pur con garbo, si scontrano spesso. Letta aveva in mente il campo largo, un San Siro della politica, ora gioca nel campetto a cinque della parrocchia. Sa di perdere, ma, se lo fa con onore, può evitare di lasciare il posto a Bonaccini, presidente della giunta dell’Emilia, così sta cercando di chiamare a raccolta l’antifascismo contro il pericolo fascista. Non gli credono nemmeno le sardine che almeno qualche anno fa scesero in piazza cantando Bella ciao.
Giorgia Meloni non ha bisogno di fare acrobazie, sente la vittoria vicina. Così ha una preoccupazione, logica per chi deve andare a Palazzo Chigi: frenare le aspettative, cioè mettere un freno alle promesse. Lei sa bene qual è il debito pubblico. Così non si può farne altro. Lo dice a Salvini che ha una idea diversa. A volte sembra una allieva di Draghi. C’è chi avanza il sospetto che lei sia in contatto con il premier. Non ci sono conferme, ma la voce non le nuoce, in fondo rassicurerebbe le cancellerie europee. Ma ne ha bisogno? Forse no. Chiunque salirà a Palazzo Chigi dopo il voto sarà per la scelta degli italiani che non hanno bisogno di conferme estere.

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