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Le nuove stanze della poesia, Luciano Erba

15 settembre 2022 | 09:29
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Le nuove stanze della poesia, Luciano Erba

Le poesie di Luciano Erba, nell’anno del centenario dalla nascita, per l’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

Tornano per Mondadori Tutte le poesie di uno dei maggiori poeti della seconda metà del Novecento: come pochi ha saputo ritrarre la sua città, tra storia collettiva e dimensione privata. Parlo di Luciano Erba poeta, critico letterario, traduttore, scrittore e accademico italiano del secondo Novecento, appartenente alla Quarta generazione della Linea Lombarda. Un gruppo di poeti a cui appartengono tra gli altri sei giovani autori compresi nella fortunata antologia pubblicata nel 1952 a cura di Luciano Anceschi con il titolo di Linea lombarda dall’editore Magenta di Varese. Il più noto già allora, classe 1913, era Vittorio Sereni, nato a Luino e residente a Milano, che aveva pubblicato Frontiera (1941 e 1942, seconda edizione accresciuta con il titolo di Poesie) e Diario d’Algeria (1947). Gli altri erano Roberto Rebora (Milano,1910), nipote del grande Clemente Rebora, il ticinese Giorgio Orelli (1921), i milanesi Nelo Risi (1920) , Luciano Erba (1922) e il comasco Renzo Modesti (1920).

Da alcune settimane in questa rubrica sto proponendo al lettore poesie sulla pace commentando i versi ma anche gli scritti e le opere di autentici operatori di pace ,con gli scenari che in questi giorni animano la geopolitica soprattutto in riferimento alla guerra in atto alle porte dell’Europa tra l’invasore russo e il difensore ucraino.

Questa settimana interrompo la sequenza per ricordare i cento anni che il poeta milanese Luciano Erba avrebbe compiuto il 18 settembre prossimo essendo nato nel 1922 e morto il 3 agosto 2010.Francesista, ha insegnato all’Università Cattolica per tutta la vita. Le sue raccolte hanno vinto i maggiori premi, il Viareggio, il Bagutta, il Montale-Librex, il Mondello, il Pen Club. Ma qui lo voglio ricordare per due particolarità . La prima quella di aver saputo parlare di Milano entrando nelle pieghe più nascoste della vita della città .La seconda quella di averlo fatto puntando su un mondo di oggetti rivelatori: bicchieri, fiori, occhiali, la ferrovia. Una città,la sua città reale e nello stesso tempo immaginaria.

In questi giorni l’editore Mondadori nella collana Oscar pubblica tutte le sue poesie.  Nel risvolto di copertina che si può leggere anche on line sul sito della stessa casa editrice si legge: “ Un esercizio poetico che si è dipanato per buona parte del Novecento, dal volume di esordio del 1951, Linea K (ma la prima poesia datata, La nuvola, è del 1937) fino alle ultime plaquette apparse nel 2010. «Un’opera complessiva» scrive Maurizio Cucchi «che si è svolta ed è venuta arricchendosi nell’ampio arco temporale di oltre mezzo secolo, un’epoca in continuo mutamento, di cui ha saputo essere un singolare, saggio e acuto testimone affabile attraverso l’impareggiabile rigore semplice della sua parola.» Ancora oggi la poesia di Luciano Erba, poeta umanissimo e irrequieto, mantiene intatta tutta la freschezza inventiva e la vitalità, l’impeccabile grazia del suo primo apparire, riuscendo ad attrarre un ampio numero di lettori. Aspetti caratteristici dell’affabilità e della sprezzatura del suo stile sono la capacità di dare voce all’immaginazione fanciullesca, talora dissimulando una raffinata cultura, e l’abilità con cui sfugge alle trappole emotive della soggettività preferendole il dato concreto e quotidiano del reale, nel quale sa ritrovare pienezza di senso. Non vanno infine dimenticate la sua ironia, sottile strumento di conoscenza, e una limpidezza e agilità comunicativa che hanno pochi uguali nella nostra tradizione poetica. “

Dunque due specificità ricordavo prima : la vita della città, la Milano dello scorso secolo, e gli oggetti ma anche i guizzi , i fremiti, le atmosfere che la fanno reale e allo stesso tempo la rendono anche fantastica. Nella rivista on line “La presenza di Erato “ Paolo Ruffilli dice : “Luciano Erba si colloca in quella ‘linea lombarda’ che Luciano Anceschi cercò di identificare, nell’omonima antologia del 1952, in quell’esperienza letteraria legata al mondo della borghesia lombarda e della civiltà industriale in cui sono calati i poeti del cosidetto ‘ Lake District ‘ Como-Varese-Luino. Si tratta di un’humus culturale profondamente segnata da una vena realistica e pratica, variamente articolata e risolta in termini ironico-fantastici tali da tradurre, in poesia, la messa a fuoco oggettiva in allusione e in ragguaglio marginale e distratto. Nella poesia di Erba che è sempre regolata su un ordine metrico rigoroso anche se dissimulato, l’andamento discorsivo, lasciato al suo continuum, s’impenna a tratti in elevazioni di tono; il ritmo giambico si capovolge ai cardini del discorso, coincidendo con la condizione di deriva della memoria e mutando in dattilico nei richiami improvvisamente riflessivi. I tratti linguistici sono lasciati ad una libera giustapposizione, in cui potrebbero essere rimescolati in una serie di posizioni come le tessere di un mosaico; sottratti anche in generale, e soprattutto nei componimenti più recenti, alla funzione organizzativa dei segni di interpunzione.

Ma leggiamo Erba del cui interesse su Milano Samuele Fioravanti fa una puntuale analisi. Luciano Erba inizia con gli oggetti di un cosmo qualunque, un mondo semplice eppure importantissimo :

Un cosmo qualunque
Abitano mondi intermedi
spazi di fisica pura
le cose senza prestigio
gli oggetti senza design
la cravatta per il mio compleanno
le Trabant dei paesi dell’est.
Tèrbano, ma che vorrà dire?
Forse meglio di altri
esprimono una loro tensione
un’aura, si diceva una volta
verso quanto ci circonda.

Dove ci sta tutta la quotidianità anche di un’altra poesia:

Il formaggio

Sarà bene parlando di un mio modo
di abitare nel mondo del presente
(un sistema spaziale dove scambio
forma e corpo con quanto mi sta attorno
con le cose alle quali vado incontro
per vivere in loro e loro in me)
sarà bene riveli che tal modo
di stare vicino al quotidiano
mi fu chiaro ab initio una mattina
avevo fame, era tempo di guerra
da parte a parte guardavo nei buchi
di una fetta sottile di formaggio
cosÏ assorto mi sentivo rapito
ed ero un poí di qua e un poí di là.

Per arrivare proprio a quella Milano nella quale egli si muove come un asteroide ma che, ad un certo punto gli diventa così familiare, tanto da fargli scrivere :

Abito […]
in un casone di periferia
con un terrazzo e doppi ascensori
[…]
con sotto tutta la falconeria
dei Torriani, magari degli Erba.
[…]
Questo mio alloggio e altri alloggi
libri stoviglie inquilini
questo era azzurro, era spazio
(Erba 1989)

Nell’articolo uscito su Gardenia, Lunardi tenta persino una comparazione fra la scrittura del poeta e l’arredo del «terrazzo come scacchiere compositivo, dal piccolo al grande», uno scacchiere dove si esprime «il gusto della composizione e dell’armonia, il criterio dell’invenzione e non del calcolo» (Lunardi 1999) Appendice dell’abitazione? Nostalgia di un’assenza, mancanza d’altro? Fortuna di un pezzo di cielo o malinconia della vita in città? […] Che cosa significa coltivare piante non nel
libero terreno ma al terzo, quarto piano, sospese tra aria e nuvole? […] Lì, sul terrazzo, non
ci sono i vegetali ad alto fusto a schermare quelli piccoli dal sole né la libertà […] di vagare
nel buio spazio della terra. / Da dove vengono le specie che abitano il terrazzo, che cosa le
ha portate fin qua sopra? […] Il terrazzo degli Erba (cioè di Luciano e la moglie Mimia) è un
microcosmo […], custode della memoria biografica (ivi: 8).

Erba stesso aveva abbozzato una riflessione simile in una poesia del 1983, Il pubblico
e il privato, in cui la convergenza tra spunto biografico e gestione dello spazio pubblico veniva a concretizzarsi nella cura del verde in quota, nella Milano amministrata
dai socialisti fra il 1951 e il 1993.

Sulle spallette della sopraelevata
dove uomini in blu hanno fissato
dei lunghi cassoni di cemento
per piantare del verde e qualche fiore
e far più umana la grande città
(ma se neppure un’erba selvatica
ha voglia di attecchire e di fiorire
nei vasi del sindaco sociale!)
(Erba 1983)

Ma non solo il verde o l’architettura della sua città Milano interessa Luciano Erba ,di più molto di più ,gli interessano le minuzie quotidiane e i paesaggi metropolitani.
Ottavio Rossani su il Corriere della sera ha scritto . “Ha redatto nella sua poesia un “alfabeto delle cose”, che non serve a indicare percorsi reali, ma a ritirarsi nel sogno o in una dimensione mentale che lo salva dalle frustrazioni e dai timori esistenziali, come il pensiero della morte. Egli stesso annota:”amo frequentare i territori di frontiera, i paesi contraddittori, le contrade incerte… poco chiari forse, ma per ciò stesso, e in ragione del loro anonimato, favorevoli a certe astrazioni”. E ancora in un verso della raccolta Il nastro di Moebius (Mondadori, 1980): “… già navigo come in un astratto asteroide”, come se il suo intento fosse quello di vivere qualcosa d’altro rispetto a ciò che scrive. Soprattutto nelle ultime poesie (Nella terra di mezzo, Mondadori, 2000) registra per frammenti un racconto del vivere attraverso la numerazione di cose e impressioni, svela per accumulazione la tragedia esistenziale, ingentilita da un contorno d’ironia.”

Nel dubbio che la vita sia “solo un povero monologo/ di domande e risposte fatte in casa”,ecco nascere anche una geografia immaginaria , in cui cose e pensieri che il poeta esplora sono momenti“ in un sistema di relatività”che è appunto la relatività delle cose della sua città e che tutta traspare in definitiva in questa sua poesia con la quale concludiamo questo accenno di ricordo di Luciano Erba appunto in occasione della pubblicazione di tutte le sue poesie da parte di Mondadori a cento anni dalla sua nascita

Il tranviere metafisico

Ritorna a volte il sogno in cui mi avviene
di manovrare un tram senza rotaie
tra campi di patate e fichi verdi
nel coltivato le ruote non sprofondano
schivo spaventapasseri e capanni
vado incontro a settembre, verso ottobre
i passeggeri sono i miei defunti.
Al risveglio rispunta il dubbio antico
se questa vita non sia evento del caso
e il nostro solo un povero monologo
di domande e risposte fatte in casa.
Credo, non credo, quando credo vorrei
portarmi all’al di là un po’ di qua
anche la cicatrice che mi segna
una gamba e mi fa compagnia.
Già, ma allora? Sembra dica in excelsis
un’altra voce.
Altra?
Da: L’ippopotamo (Einaudi, 1989)