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Le nuove stanze della poesia, La guerra di Piero

22 settembre 2022 | 09:51
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Le nuove stanze della poesia, La guerra di Piero

La guerra di Piero, la canzone di De Andrè sotto la lente di Valter Marcone, per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia.

“Sparagli Piero, sparagli ora /E dopo un colpo sparagli ancora /Fino a che tu non lo vedrai esangue/
Cadere in terra a coprire il suo sangue.” Questa è la guerra di Piero. L’anonimo soldato di De Andrè che esita a sparere e quindi deve essere esortato con forza. Sparare ad un nemico,un “ un uomo in fondo alla valle/con il suo stesso identico umore /Ma la divisa di un altro colore” . Una nemico che a sua volta, a differenza, non ha esitazione. Perchè ha paura . Perchè ha la sua stessa paura : “imbracciata l’artiglieria “ spara a differenza di Piero che cade a terra e la sua vita ha termine proprio in un giorno di maggio. In “Tutto Fabrizio De Andrè “ del 1966 fu inserita per la prima volta la ballata del genere folk rock “La guerra di Piero”. In questo testo che eguaglia l’emozione e i sentimenti dei versi di una vera poesia, De Andrè racconta una storia affidandosi a strofe (tredici in tutto ) ognuna composta da quattro endecasillabi.

La narrazione avvincente per l’incalzare di un pathos tutto particolare: la morte di un soldato circondato dalla natura che è vita, quella stessa vita che lui ha temporeggiato a togliere al suo nemico rimanendo ucciso da quest’ultimo. Una sequenza straordinaria, stringente e contingente che sembra sbalzare chi ascolta in un altro mondo. Un soldato esita a sparare al suo nemico e per questo perde la vita. Una morale semplicissima: la vita, quella degli altri va sempre rispettata anche a costo della propria vita. Fu la storia dello zio sopravvissuto all’internamento in un campo di concentramento durante la Seconda guerra mondiale ad ispirare il cantautore genovese che riesce a restituire, attraverso momenti incalzanti, una storia, quella dello zio, emblema forse di tutti quei soldati che dai campi di battaglia, dai campi di internamento e sterminio, dai campi di prigionia , non fecero più ritorno .

Si sentono in questa composizione di De Andrè i richiami ad altre poesie, come “Le dormeur du val” di Arthur Rimbaud, oppure “Dove vola l’avvoltoio” di Italo Calvino. E’ noto come il retroterra culturale di tutta l’opera di De Andrè sia ampio per tutta una serie di contributi che si ritrovano nei suoi testi . E soprattutto nella sua musica che richiama quella del cantautore francese Georges Brassens, compresa la traduzione in italiano di alcuni brani di quell’autore, la frequentazione assidua degli amici Luigi Tenco, Gino Paoli e Umberto Bindi, tutti appartenenti a quella che viene definita la “Scuola genovese”.
Cantautori e musicisti che si incontravano e riunivano sul finire degli anni Cinquanta nel quartiere residenziale “ Foce” a Genova nei pressi del Cinema Aurora in Via Cecchi o ai tavolini del Bar Igea in Corso Torino. Una generazione di giovani artisti ,pronti a dare nuovo impulso alla muiìsica italiana se non addirittura a rivoluzionarla. Un gruppo anche con rapporti amicali composto da Gian Franco e Gian Piero Reverberi, Giorgio Calabrese, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi, Fabrizio De André. Il primo album di Fabrizio De Andrè è del 1966. Nei successivi venti anni fino al 1984 incide 11 album in studio e 2 raccolte. In queste sue opere musicali nei suoi testi si ritrova tutta la realtà che lo circonda. A proposito de “La guerra di Piero” ho ricordato che questo testo e la musica rivelano un certo tipo di retroterra. Per esempio “Le dormeur du val” che è un classico sonetto in verso alessandrino secondo la tradizione poetica francese. Le parole del testo raccontano una scena di morte e di vita allo stesso tempo in un grande contrasto che suscita emozione e commozione : il corpo immobile di un soldato disteso a terra e la natura rigogliosa che è del tutto animata e presente. Dicono infatti due strofe quel sonetto:

Un giovane soldato, la bocca aperta, il capo nudo,
E la nuca immersa nel fresco nasturzio azzurro
Dorme; è steso nell’erba, sotto le nuvole,
Pallido nel suo verde letto dove la luce piove.
Ha i piedi fra i gladioli, dorme. Sorridendo come
Sorriderebbe un bimbo malato, fa una dormita.
Natura, cullalo tiepidamente. Ha freddo.
Magnificando appunto uno scenario in cui la natura ha un ruolo descrittivo interessante e preponderante come avviene nella prima strofa de La guerra di Piero:

Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma son mille papaveri rossi.

“Le dormeur du val” è una composizione di Rimbaud che ci mostra la drammaticità della guerra, che toglie la vita in modo ingiusto . Non solo ai combattenti sul campo di battaglia , ai soldati, ma anche ai civili come purtroppo è sempre avvenuto ma oggi in misura maggiore stando per esempio all’esperienza della guerra in Siria per esempio ma soprattutto nell’attuale conflitto Russia Ucraina. Rimbaud, con la sua maestria non solo poetica ci offre una lezione di vita che in definitiva ci ricorda che nulla è più deprecabile della sorte di una creatura che muore a causa della guerra.

Il testo La guerra di Piero è narrato da due voci: Piero, il protagonista, e il narratore esterno, ma che in alcuni momenti entra nella narrazione attraverso delle esortazioni rivolte proprio a Piero, immedesimandosi nella situazione e perciò provocando anche un maggior coinvolgimento nel lettore/ascoltatore. Dicevo all’inizio, Piero esita nello sparare al suo nemico che vedendolo ha la sua stessa paura ma nessuna esitazione. Piero cade a terra e De Andrè commenta : “Fermati Piero, fermati adesso/ Lascia che il vento ti passi un po’ addosso/Dei morti in battaglia ti porti la voce/Chi diede la vita ebbe in cambio una croce.” Quanti morti in battaglia dal tempo dei tempi, da quando l’uomo ha inventato la guerra. Ma quanti morti solo nel secolo scorso, il Novecento ,il cosiddetto secolo breve che conta un numero di vittime di guerra tre volte superiore a quello di tutte le guerre combattute dal primo secolo a. C. fino al 1899. Complessivamente, si stimano a 26 milioni i caduti della Grande Guerra e almeno a 20 milioni le persone menomate, disabili o traumatizzate in modo irreversibile. La metà di questi morti erano civili. Nella prima guerra mondiale, il 14% della popolazione europea fu chiamata alle armi contro l’1% di arruolati al tempo delle guerre napoleoniche. La vastità della seconda guerra mondiale ridimensionò la portata della prima e rese definitivamente evidente una nuova modalità del conflitto armato. L’Italia combatte tre guerre – La guerra fascista. 1940-1943,– La guerra di Resistenza. 1943-1945,– La guerra all’estero. 1940-1945. Due guerre mondiali e le successive guerre condannate dal mondo della cultura per la disumanità, l’inutilità, la stupidità. Si sono alzate voci contro la guerra e contro le guerre che hanno dato all’umanità opere artistiche immortali . Man mano nel tempo l’eroismo in guerra nel tempo è stato celebrato e osannato , è scaduto dal mito ed è stato raccontato a volte come un inutile sacrificio.

La guerra di Piero, benchè raccontata come un atto di eroismo, non fa eccezione. Non si tratta infatti del gesto temerario dell’eroe che perde la vita per la patria in un’impresa militare rischiosa, ma del gesto coraggioso e istintivo di un soldato che, per non veder morire il nemico, esita a sparargli: questa esitazione gli costa la vita.

Fabrizio de André, La guerra di Piero

Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma son mille papaveri rossi.

Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente

Così dicevi ed era d’inverno
E come gli altri verso l’inferno
Te ne vai triste come chi deve
Il vento ti sputa in faccia la neve

Fermati Piero, fermati adesso
Lascia che il vento ti passi un po’ addosso
Dei morti in battaglia ti porti la voce
Chi diede la vita ebbe in cambio una croce

Ma tu no lo udisti e il tempo passava
Con le stagioni a passo di giava
Ed arrivasti a passar la frontiera
In un bel giorno di primavera

E mentre marciavi con l’anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore

Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue

E se gli sparo in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore

E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l’artiglieria
Non ti ricambia la cortesia

Cadesti in terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chiedere perdono per ogni peccato

Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato un ritorno

Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio
Ninetta bella, dritto all’inferno
Avrei preferito andarci in inverno

E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi il fucile
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole

Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi