Crisi - non spegniamo la luce

Terremoto, Covid e guerra: la crisi a L’Aquila è un’altra storia

Aziende in crisi, imprenditori schiacciati dal fisco. Le bollette, le cartelle e gli incassi che non sono più gli stessi. Non spegniamo la luce: raccontaci la tua storia.

Non spegniamo la luce.
Non lasciamo morire le aziende e le botteghe artigiane, soffocate dalla crisi.

CRISI – Mentre sul fronte dell’est europeo la guerra non si ferma, in Italia ci prepariamo ad una battaglia senza armi, quella degli imprenditori e delle famiglie contro il caro bollette. A L’Aquila è una storia diversa.

La quotidianità a L’Aquila, completamente riscritta già dopo il 2009, è a stento sopravvissuta ai 2 anni di pandemia e, adesso, non ce la può fare ad affrontare questo ennesimo disastro economico.
I risparmi sono finiti; l’energia è finita; la speranza di riuscire a farcela nonostante tutto e tutti è svanita.
La disperazione ha preso il sopravvento. Gli aquilani hanno cercato di non scoraggiarsi e di reinventarsi dopo il 2009, hanno già scelto di salvare gli stipendi dei propri dipendenti a discapito di Iva e tasse, quindi stanno già affrontando il peso di queste cartelle e di questi strascichi burocratici. Hanno tentato di tenere botta al Covid… ora non hanno più speranze contro il costo della GUERRA.

crisi commercio

Bollette alle stelle, cartelle esattoriali “di un’altra vita” e, non ultimi, i costi delle materie prime quadruplicati. Quanti chiuderanno per non rischiare di essere rincorsi al pari di un fuorilegge? Raccontateci la vostra storia: non spegniamo la luce.

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Solo pochi giorni fa Il Capoluogo ha raccolto l’allarme di numerosi ristoratori in crisi. Professionisti che hanno investito, con la loro attività, a L’Aquila e dintorni. Il delicato momento storico che stiamo vivendo porta a sfoghi, racconti, storie di difficoltà, di attività che si arrendono e di città che si risvegliano, ogni giorno, più povere. Povere di imprenditori e, quindi, di servizi, commercio, attrazioni…
Per ogni serranda che si chiude, ci sono tante persone che restano senza lavoro, ma quel che è peggio è che la burocrazia non si ferma.
Con la chiusura delle attività inizia il massacro delle incombenze, delle multe, delle cartelle, delle gabelle non pagate.
Il fisco continua a inseguirti, finché non sarà stato versato anche l’ultimo centesimo. La legge va rispettata, le tasse vanno pagate. Ma chi te lo dice? Un esercito di dipendenti pubblici la cui vita non è cambiata affatto, che applica la legge, oggi come nel 2008. Cioè come se non fosse successo nulla!

A queste storie Il Capoluogo vuol dare spazio, per far arrivare forte e chiara la voce di chi ha avuto lo spirito e il coraggio di investire nel suo Paese e si è ritrovato imprigionato dietro a un groviglio di norme, tasse, multe e cartelle esattoriali. Con le ingiunzioni di pagamento sempre puntualissime e con i ristori – in tempi di emergenza e crisi straordinarie – mai puntuali e mai, soprattutto, sufficienti. 

Nell’immediato post sisma, la nostra redazione aveva raccolto numerose lettere di imprenditori che si sono ritrovati costretti a dover scegliere se pagare una cosa o un’altra: gli stipendi ai dipendenti, i contributi o l’IVA?
Questa la domanda più comune per la realtà aquilana sconvolta dal terremoto. Una situazione che non si è verificata nel primo anno con le tasse sospese, ma che – negli anni successivi – ha dovuto affrontare lo sforzo della città che si è ridisegnata e reinventata. Con piccoli, medi e grandi imprenditori che sono tornati a produrre, a dare lavoro, a scommettere in prima persona su una città da ricostruire da capo.

Poi è arrivato il Covid19 e sono arrivate le restrizioni, con mesi di blocco totale delle attività e quindi degli introiti.
La normalità – riacquistata dopo anni di incertezze, limitazioni, lutti e nuovi fallimenti – è stata per l’ennesima volta scossa dalla guerra e dalle sue conseguenze. Tra queste conseguenze, purtroppo, ci sono tante, troppe luci che si spengono: e non lo fanno – tanto per restare in tema – per risparmiare sulla bolletta. No. Si spengono per non riaccendersi più.
Perché le attività stanno soffocando sotto il peso di una fiscalità pesantissima e di utenze ormai soggette ad un rincaro indiscriminato.
Un imprenditore che decide di chiudere lo fa perché non riesce più a sostenere i costi della sua attività.

In questo preciso momento storico, logicamente, in tanti stanno lamentando il caro bollette, ma non si dimentichi che – oltre ai citati rincari eccezionali di energia elettrica e gas – si arriva da due anni di Covid19: cioè da due anni di ricavi ridotti all’osso, di grandi sacrifici e di risparmi inevitabilmente intaccati, se non pesantemente ridimensionati. Perché le tasse sono state pagate ugualmente.

E dopo la chiusura? Un imprenditore in meno che paga le tasse e posti di lavoro in meno. Ma non finisce qui.
Quello stesso Stato – veloce nel rintracciarti quando c’è da pagare, eppure lento a rintracciarti quando c’è da ristorare – sguinzaglia la schiera dei burocrati pronti allo stalking esattoriale. È qui che parte una rincorsa che dura anche anni, mentre i costi “dovuti” allo Stato, da quell’imprenditore che un lavoro non lo ha più, lievitano a dismisura.
Il rumore di quella serranda ormai chiusa non finisce mai. Si porta dietro uno strascico lunghissimo. È la punizione per avere investito nel proprio Paese? Per aver creduto che fosse possibile non essere lasciati soli di fronte a una crisi come questa?
Diamo voce a chi non ce l’ha.
Non spegniamo la luce: raccontaci la tua storia.

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