L'approfondimento

Depressione, una prigione emotiva che può distruggere: perché parlarne è importante

Depressione: "non ha alcun interesse", "è triste", "è depresso perché è un debole". Poca conoscenza, tanti luoghi comuni da sfatare su una sindrome da riconoscere e accogliere. La terapia per uscire dalla prigionia emotiva

Si parla tanto, in questi giorni, di depressione. Non un semplice stato d’animo di tristezza, ma una sindrome con sintomi ben precisi. Un disagio profondo che non dura un’ora, né un giorno e che, soprattutto va riconosciuto con consapevolezza e senza imbarazzi. Come uscire dalla prigione?

La depressione è un tema, in questi giorni, trattato da numerosi quotidiani nazionali e trasmissioni tv: dalla morte della giovanissima Shanti De Corte, 23enne belga sopravvissuta a un attentato terroristico, che ha chiesto e ottenuto l’eutanasia perché soffriva di stress post traumatico e di profonda depressione, al caso Marco Bellavia, offeso e isolato all’interno della Casa del Grande Fratello Vip dopo essersi aperto sui suoi problemi di salute mentale. Quando si parla di depressione, tuttavia, è importante innanzitutto distinguere concetti, episodi e situazioni ed è altrettanto importante fare attenzione ai cosiddetti luoghi comuni. Non bisogna, infatti, confondere la depressione con uno stato d’animo di tristezza, anche momentaneo.
“Si può parlare di vera sindrome depressiva quando si è in presenza di una condizione psicopatologica caratterizzata da sintomi ben precisi, che includono altri elementi del vissuto di una persona e del suo comportamento. Quando si è in presenza, quindi, di un gruppo di sintomi che definiscono un quadro clinico specifico, spiega al Capoluogo la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.
Tutti i disagi ed i disturbi psichici sono, infatti, richiami del nostro mondo intrapsichico che vanno ascoltati, accolti e riconosciuti dalla nostra consapevolezza“.

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Il mezzo per superare una depressione non è quello di combatterla o evitarla, ma di penetrarla. È molto meglio lasciare emergere questi pensieri oscuri, accoglierli, non per rimuginarci sopra, ma per chiarirceli. Molto spesso questi pensieri neri, che erano prigionieri della profondità dell’anima, arrecano il pane di cui abbiamo bisogno. Lo scopo reale di una depressione è di metterci in contatto con la vita interiore (M. L. Von Franz).

Depressione: la regressione e la prigione

Le malattie – scrive James Hillman – servono a tenerci in stretto contatto con la parte più profonda di noi, altrimenti diventeremmo estranei a noi stessi. La depressione va considerata come un fenomeno inconscio di compensazione, il cui contenuto, per raggiungere la sua piena efficacia, dovrebbe essere reso cosciente”, spiega ancora Chiara Gioia.
La depressione, cioè, fa riferimento a una tendenza dell’individuo di tornare ad uno stato psichico passato, stato che coincide con una realtà esterna. Quindi, nel momento in cui c’è un evento attuale che aziona la depressione, quel soggetto è come se regredisse, andando a pensare al suo modo di essere e di stare di qualche anno prima. Ma non si può pretendere, oggi, di tornare a quello stato di ieri, poiché l’uomo è dinamicità, è in costante evoluzione nel corso della sua esistenza. Ecco perché la depressione va sempre e comunque accolta“.

“In terapia, quando arriva un paziente depresso, per prima cosa si cerca di capire cosa voglia dire e cosa indichi quell’ansia o quel malessere”. 

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Non solo regressione e voglia di tornare ‘al prima’.
“Questo disagio depressivo costringe la persona a una condizione di ‘prigionia emotiva’, portandola ad allontanarsi dal mondo.
La prigione è data dall’individuo stesso, dal suo mondo interno, dalla sensazione di non poter più fare ritorno.
È
come se non esistesse nulla nella realtà esterna che possa sollecitare l’interesse del depresso, neanche un’idea di progettualità. A livello sociale, del collettivo, spesso si sente della cosiddetta ‘mancanza di interessi’ che caratterizzerebbe le persone depresse: qui non facciamo altro che confrontarci con un banalissimo luogo comune, che riesce a spostare l’attenzione solo sulla punta dell’iceberg. La depressione distrugge gli interessi della persona, li sgretola e per quanti sforzi l’individuo compia, per quanto impegno possa metterci, per quanto aiuto possa ricevere, i suoi interessi e le sue solide attività non sono più afferrabili. Uno stato depressivo non lascia spazio alla forza d’animo, alle motivazioni, alla capacità di progettare”.

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“In questa cupa sensazione di disperato abbandono l’unico ‘desiderio’ che è possibile avvertire è che l’incubo finisca il prima possibile“.

L’oscurità.

“Lo stato di prostrazione e abbattimento costringono gioco-forza l’individuo a confrontarsi con gli aspetti più oscuri, segreti e imprevedibili della sua personalità – continua la psicologa e psicoterapeuta – Gli elementi che permettono di comprendere di aver ‘toccato il fondo’ sono soggettivi, ma in genere diventano evidenti quando riusciamo ad essere consapevoli di aver calpestato noi stessi, di esserci lasciati risucchiare da una condizione di degrado personale e psicologico“.

“Un aspetto interessante della depressione – conclude Chiara Gioia – è dato dal contrasto tra la sterilità di giorni trascorsi come creature prigioniere della propria vita e la grande fertilità del momento in cui si decide di ricominciare a vivere.
In quel momento, infatti, l’individuo porta sulle proprie spalle un pesante carico: si tratta di tutte le esperienze psicologiche e delle riflessioni generate dalla depressione stessa. Che non sono una zavorra, ma un prezioso bagaglio che l’individuo potrà decidere di mettere a frutto. Da una depressione non si emerge mai come si era prima di sprofondarvi, la depressione è soprattutto metamorfosi e, spesso, arricchimento interiore. Non vi sono formule semplici per capire cosa possa rappresentare un particolare episodio depressivo per una data persona: ogni episodio di depressione contiene una propria matrice di significati”.

L’importante è uscirne. 

 

Il Capoluogo propone una rubrica di approfondimenti curata dalla psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia, attraverso appuntamenti settimanali. La psicologia e la terapia, per troppo persone, restano ancora un tabù. Intraprendere un percorso di terapia non vuol dire soffrire di una malattia, tuttavia sono ancora molti i luoghi comuni sulla psicoterapia e i pregiudizi su chi decide di fare delle sedute dallo psicologo. Fare terapia vuol dire, semplicemente, capirsi e mettere al primo posto il proprio benessere.

 

 

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