Crisi - non spegniamo la luce

Terremoto, pandemia e guerra: il racconto di un imprenditore aquilano soffocato dalle tasse

Come si sopravvive economicamente a un terremoto, una pandemia e ai costi di una guerra? Il racconto di un imprenditore: "Il mio incubo inizia nel 2016, quando scelgo di pagare i miei dipendenti non riuscendo a versare l'IVA"

Il mio incubo inizia nel 2016 e non finisce. Sembra non finire mai.
Inizia quando, da imprenditore, mi trovo di fronte a una scelta: pagare dipendenti e contributi o versare l’IVA. Ho scelto i dipendenti: così, sei anni e una pandemia dopo, mi ritrovo l’Agenzia delle Entrate bussare alla porta. Quell’IVA adesso è diventata un mostro: 40mila euro da pagare. Pena il pignoramento dello stipendio. Mi chiedo, in Italia quali diritti ha un imprenditore?

Il racconto di un imprenditore – Terremoto, pandemia, guerra e caro bollette. La crisi a L’Aquila è tutta un’altra storia. Una storia di fallimenti, cadute, scommesse finite male, dipendenti lasciati a casa. È la storia di “uno Stato che sembra aver dimenticato l’emergenza che L’Aquila ha vissuto. Uno Stato che attende, ma anni dopo torna alla carica per riscuotere, sulle macerie di aziende che non ce l’hanno fatta, anche per colpa sua”.
Il Capoluogo dà voce a chi non ce l’ha, per non spegnere la luce su chi è in difficoltà.

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Questa è la storia di un imprenditore e della sua piccola azienda di servizi.

“La mia vita cambia nel 2016. Ero titolare di un’azienda di servizi con quattro dipendenti e, dopo il terremoto del 2009, la difficile e lenta ripresa e, soprattutto, la crisi economica del biennio 2014/2015, mi sono ritrovato in grande difficoltà. Far quadrare il bilancio diventava sempre più un’impresa a tratti impossibile. Come spesso accade, allora, mi sono ritrovato a dover scegliere. I soldi erano pochi, le spese tante. Da un lato gli stipendi dei miei dipendenti, con i relativi contributi, dall’altro lato l’IVA da versare allo Stato.
11mila euro a fronte di un fatturato di appena 50mila euro: risorse che bastavano a coprire le spese per i dipendenti, perché i contributi costano e non versarli significherebbe, per un imprenditore, rischiare una condanna penale”,
racconta un lettore alla nostra redazione.

“Così scelgo consapevolmente di non pagare 11mila euro di IVA, salvaguardando stipendi e contributi. Quell’anno, in realtà, saltammo anche qualche stipendio, ma i dipendenti compresero la situazione, accettando i provvedimenti con serenità. Abbiamo salvato l’azienda, nell’immediato, senza pagare l’IVA di due annualità, il 2016 e il 2017. I controlli sono arrivati oggi, nel 2022. Ma non c’è solo l’IVA, nel mentre è scattata anche una multa da parte dell’Agenzia delle Entrate: 9 mila euro di sanzione.
Agli 11mila euro di Iva, quindi, si sommano 9mila euro di multa, che portano il totale a 20mila euro da pagare. Cifra da moltiplicare per due, quanti sono gli anni in cui l’imposta non è stata versata. Allora eccomi qua, dopo mille difficoltà, dopo oltre due anni di Covid19, mi ritrovo solo – con l’azienda poi definitivamente chiusa – in una situazione economica ben peggiore di quella del 2016, in compagnia delle sole cartelle esattoriali da 20mila euro ciascuna. Con cosa pagherò?”,
si sfoga l’imprenditore raccontando la sua storia.

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“Non so ancora se per pagare dovrò sacrificare la macchina o addirittura la casa, oltre ai miei risparmi. So soltanto che sono tuttora un libero professionista e che, per tale ragione, il mio stipendio può essere tranquillamente pignorato.
Al contrario, se fossi stato un dipendente pubblico avrei rischiato al massimo il pignoramento di un quinto del salario o del conto corrente.
Questa è l’Italia: il rispetto c’è solo per i dipendenti pubblici, mentre l’imprenditore viene trattato come un ladro. È il Paese in cui si considera normale che – con lo stipendio pignorato – si arrivi al punto in cui non si riesce più a dar da mangiare ai propri figli. È veramente questa l’Italia che vogliamo?”. 

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