Sisma 6 aprile

Via Campo di Fossa: stesso crollo, sentenze diverse

Due sentenze diverse per via Campo di Fossa: nel 2021"la popolazione non aveva alcun elemento per poter ritenere che a una prima scossa ne sarebbe potuta seguire una successiva più potente".

Stesso crollo, sentenze diverse per via Campo di Fossa dove morirono 24 persone la notte del sisma del 6 aprile 2009. Il giudizio riguardava lo stesso palazzo, ma era stato formulato da un altro magistrato.

“Mancando di conoscenze tecnico-specialistiche, la popolazione non aveva alcun elemento per poter ritenere che a una prima scossa ne sarebbe potuta seguire una successiva più potente a così breve distanza temporale”. E, dunque, secondo questa sentenza dell’aprile 2021 del giudice del Tribunale dell’Aquila Emanuele Petronio, le due studentesse Maria Urbano, 20 anni e Carmen Romano, 21, due delle 24 vittime del crollo del condominio di via Campo di Fossa 6B, non avevano alcuna colpa nell’aver deciso di restare in casa nella drammatica notte del sisma dell’Aquila, il 6 aprile 2009. Una sentenza diametralmente opposta a quella choc della collega Monica Croci che, il 9 ottobre scorso, in una causa civile del tutto simile e che riguarda il crollo dello stesso palazzo, ha sancito che le vittime hanno una colpa – in concorso -, fissata a una percentuale del 30 per cento, per non essere uscite di casa dopo le due scosse (3.9 e 3.5) che hanno preceduto quella principale delle 3.32.

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La sentenza del 9 ottobre ha indignato gli aquilani e l’Italia intera; nel pomeriggio di mercoledì diverse persone si sono ritrovate al Parco della Memoria, costruito per onorare le 309 vittime del 2009, per una manifestazione spontanea. Maria Urbano e Carmen Romano erano due studentesse, amiche, trasferite dalla Campania a L’Aquila per studiare. Maria si era iscritta a Ingegneria e il giorno dopo il sisma avrebbe dovuto sostenere un esame; Carmen frequentava Economia e Commercio e la settimana prima della tragedia era tornata a casa, proprio per la paura delle continue scosse, domenica sera aveva deciso di rientrare. Pochi giorni e poi sarebbero tornate a casa per Pasqua. Vivevano insieme a via Campo di Fossa, in una doppia, come migliaia di studenti universitari. I familiari delle due ragazze – come riporta Il Messaggero – nella causa per il risarcimento, hanno citato la locataria dell’appartamento e il condominio (difeso dall’avvocato Luciano Dell’Orso). Il legale ha poi chiamato in causa gli enti, in particolare il ministero degli Interni (a cui fanno capo Prefettura e Regione) e quello delle Infrastrutture e dei Trasporti (a cui rispondono Genio civile e Provincia). In questo aspetto le due cause differiscono. In quella che ha scatenato le polemiche – nella quale sono confluiti quattro procedimenti simili – i familiari hanno citato i ministeri, i quali a loro volta hanno chiamato in causa il condominio. Anche nel 2021 il giudice, a seguito delle perizie dei consulenti tecnici, era giunto a sentenziare “le condotte difformi dalle prescrizioni normative in capo a ognuna delle figure professionali coinvolte nella realizzazione dell’edificio”, condotte “in nesso eziologico” con il crollo. Insomma, quel condominio presentava gravi carenze strutturali, dal progetto alla costruzione. E su questo il giudice Petronio si è concentrato, liquidando invece l’ipotesi del concorso colposo delle ragazze, per non essere uscite dall’edificio dopo le prime scosse, come “condotta che non può ritenersi violativa di alcuna precisa regola cautelare”: la popolazione non aveva elementi tecnici e conoscenze per decidere. Ragionamento che, qualora fosse stato noto, non deve aver convinto il giudice Monica Croci che, invece, ha ritenuto “fondata l’eccezione del concorso di colpa delle vittime, costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire – così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa – nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6, concorso che può stimarsi nella misura del 30 per cento, con conseguente proporzionale riduzione del credito risarcitorio”. Una sentenza che “non rispetta la memoria di chi, sotto le macerie del 6 aprile 2009, perse la vita”: così le tante persone scese in presidio al parco della Memoria e indignate sui social.

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