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Omicidio di Barisciano, chiesto l’ergastolo per Paolucci

L'AQUILA - Processo per l'omicidio di Barisciano alle battute finali. Il Pm chiede l'ergastolo per Gianmarco Paolucci.

L’AQUILA – Processo per l’omicidio di Barisciano alle battute finali. Il Pm chiede l’ergastolo per Gianmarco Paolucci.

Omicidio di Barisciano, al termine della sua requisitoria, il pm rappresentante della pubblica accusa, la dottoressa Simonetta Ciccarelli, ha chiesto alla Corte d’Assise del Tribunale dell’Aquila di condannare Gianmarco Paolucci all’ergastolo per l’omicidio di Paolo D’Amico. Questa mattina, l’ultima udienza in ordine di tempo, con la discussione finale e le arringhe da parte dello stesso pm e della difesa del giovane aquilano, rappresentata dagli avvocati Mauro Ceci e Licia Sardo. Il processo, a questo punto, può dirsi sostanzialmente concluso e si attende la sentenza della Corte d’Assise, formata dal presidente del Tribunale Alessandra Ilari, il giudice a latere Niccolò Guasconi e sei giudici popolari.
In apertura di udienza, la difesa ha rinunciato all’audizione dell’ultimo teste, la Corte ha riammesso in giudizio la stampa di due pagine di tabulati telefonici della vittima, delle 4500 escluse dal processo su eccezione della difesa, in quanto il relativo dvd è stato consegnato troppo tardi. A seguire, è stata dichiarata chiusa l’istruttoria, con la parola al pm per la discussione finale.

tribunale l'aquila aula a omicidio di barisciano

La pubblica accusa, ha tenuto a precisare che non si tratta di un processo di tipo “indiziario”, in quanto accanto agli indizi che in fase di discussione sono stati illustrati, la corrispondenza del DNA rappresenta una “prova piena che non va sottoposta a giudizio di gravità, come potrebbe essere per gli indizi”. Lo stesso pm ha poi sottolineato come non sia stata costruita un’accusa attorno a un sospettato, che fine alla scoperta del DNA non c’era, ma le indagini sono state ampie e hanno percorso tutte le piste percorribili. È stata quindi la volta della ricostruzione di tutta la vicenda, dalla scoperta del cadavere alle successive indagini, fino all’apertura del procedimento a carico di Paolucci per l’omicidio di Barisciano.
Al termine della requisitoria, il pm ha chiesto la condanna all’ergastolo, con le aggravanti dei futili motivi e della crudeltà.

La parte civile, rappresentata dall’avvocato Francesco Valentini, si è associata alla richiesta dell’accusa, sottolineando come nel caso del noto omicidio Gambirasio, la prova del DNA è stata sufficiente alla condanna.

A seguire, l’arringa difensiva, con l’avvocato Ceci che ha puntato il dito contro l’assenza di movente certo, rispetto alle ipotesi messe in campo e soprattutto sulle incongruenze testimoniali delle due persone che hanno scoperto il corpo insieme ai familiari, tra cui una persona che stava effettuando dei lavori nell’abitazione della vittima. Dubbi anche sul numero degli operai che vi lavoravano, non tutti ascoltati – secondo quanto sottolineato dalla difesa – in sede di indagine e processo. L’avvocato ha poi sottolineato come la Procura non abbia considerato le minacce che la vittima aveva ricevuto da ignoti da Roma.
Inoltre, la Difesa ha rimarcato come l’imputato non fosse persona nota o attenzionata per attività di spaccio, a cui farebbe invece riferimento uno dei possibili moventi messi in campo dalla Procura. Tra gli altri rilievi, quelli relativi alla presenza di due DNA ignoti, una su una scatola di scarpe al piano superiore della casa e una su una maniglia del garage. Una posizione considerata degna di attenzione da parte della Difesa.
Per quanto riguarda il DNA dell’imputato sui pantaloni della vittima, l’avvocato Ceci ha parlato di possibilità di contaminazione avvenuta prima del prelievo, avvenuto in sede di autopsia, ricordando la mancanza di certezza assoluta, ma di probabilità, dovuta alla mistura con il DNA della vittima. Secondo la difesa, l’alta probabilità non esclude l’altra per cui la traccia non appartenga all’imputato, in quanto non traccia singola, ma mistura.
Contestata anche la sussistenza delle eventuali aggravanti di crudeltà e futili motivi.
La difesa ha quindi chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto e in subordine l’applicazione del minimo della pena e le attenuanti generiche, e il non riconoscimento delle delle aggravanti. In quest’ultimo caso, senza il riconoscimento delle aggravanti, inoltre, accedere agli sconti di pena previsti per il rito abbreviato che inizialmente non è stato possibile chiedere per via appunto delle stesse aggravanti contestate.
Infine, la parola all’avvocato Licia Sardo per le sue conclusioni e il rinvio al 2 novembre per la sentenza.

L’omicidio di Barisciano.

Era il 24 novembre 2019, quando, presso la propria abitazione di Barisciano, è stato ritrovato privo di vita il 55enne Paolo D’Amico, dipendente dell’ASM. A ritrovare il corpo, alcuni familiari che si erano recati a casa dell’uomo, visto che non riuscivano a mettersi in contatto con lui. Dalla finestra, hanno scorto un corpo a terra e hanno quindi allertato le forze dell’ordine. Sul posto, i carabinieri e gli operatori del 118, che non hanno potuto far altro che constatare il decesso. Sul corpo della vittima, però, erano già evidenti i segni di un’aggressione. Sono quindi partite le indagini dei carabinieri, supportati dai RIS, per individuare l’identità dell’aggressore. Secondo quanto ricostruito successivamente durante le indagini e le prime fasi processuali, dal luogo dell’omicidio è sparito il telefono e il portafogli della vittima, insieme ad alcune piante di marijuana che la stessa vittima coltivava in garage. Con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, però, la sim contenuta nel telefono scomparso è stata duplicata ed è stato possibile analizzare i contatti telefonici della vittima. Così, mentre i Carabinieri acquisivano informazioni dai contatti rilevati, i RIS attenzionavano alcuni reperti, tra cui i pantaloni della vittima che, all’altezza della caviglie, presentavano una mistura di DNA, uno della vittima e l’altro del presunto aggressore. Bisognava però associare un nome a quel DNA; così sono stati prelevati diversi campioni dalle persone considerate “sospettate”, tra cui il campione del giovane aquilano Gianmarco Paolucci, prelevato con la “scusa” di un alcooltest, durante quello che sembrava un normale controllo di routine. La corrispondenza definita dai RIS “altamente probabile” del DNA di Paolucci con quello sui pantaloni della vittima, ha fatto scattare l’arresto, insieme ad altri elementi indiziari, tra cui l’aggancio di una cella compatibile con l’abitazione di Paolo D’amico da parte del telefono dell’imputato.

Il processo.

Nel corso delle udienze per il processo relativo all’omicidio di Barisciano, intanto, si sono susseguite le testimonianze di periti, colleghi di lavoro di vittima e imputato, carabinieri, RIS, per ricostruire le vicende legate all’omicidio. A fine giugno, dai medici legali è arrivata la conferma della compatibilità dei due attrezzi sequestrati sul luogo del delitto, uno scalpello e una mazzetta da cantiere. Su entrambi i RIS hanno riscontrato sostanze di tipo ematico appartenenti alla vittima, ma mentre nel caso dello scalpello erano presenti sia sulla punta che sul manico, per quanto riguarda la mazzetta sono state riscontrate solo sul manico e non sulla parte contundente, che secondo le ipotesi avrebbe dovuto impattare con il cranio della vittima. Si è dibattuto anche sull’ampiezza delle ferite, in quanto diverse avevano una lunghezza di 2 cm, a fronte di una punta di scalpello ampia 1,6, mentre le due ferite principali all’emitorace misuravano circa 5/6 cm, una grandezza che non convince la difesa, seppur i medici legali abbiamo giudicato compatibili le stesse, in base alle angolazioni dei colpi inferti. I RIS, invece, hanno affrontato la questione dell’analisi dei reperti riguardanti vari ambiti investigativi. Negativo l’esito delle analisi per quanto riguarda presunte tracce ematiche o organiche repertate nell’abitazione di Bagno dell’imputato, mentre nelle auto nelle sue disponibilità (una di proprietà e una appartenente alla fidanzata) sono state sì trovate tracce ematiche, ma non riconducibili alla vittima. Negativo anche l’esito dell’esame delle scarpe inizialmente sequestrate e ritenute compatibili con l’orma di sangue rinvenuta sulla scena del crimine: la suola delle scarpe sequestrate in fase di arresto risulta con forme diverse dall’orma sulla scena del crimine. A collegare l’imputato alla scena del crimine, però, una “mistura” di DNA rinvenuta sui pantaloni della vittima, all’altezza delle caviglie. Dei due DNA riscontrati, uno apparterrebbe alla vittima e uno con “alta probabilità” all’imputato. Gli investigatori hanno spiegato la presenza del DNA dell’imputato in quella posizione, come risultato del trascinamento del corpo all’interno dell’abitazione, dopo l’aggressione. Ma ci sono anche altri profili rilevati sulla scena del crimine, due dei quali ancora ignoti. Nel posacenere della cucina sono stati trovati mozziconi di sigarette riconducibili in un caso alla donna che frequentava l’abitazione per motivi di lavoro, essendo addetta alle pulizie, e in un altro a un uomo che si recava a casa della vittima per questioni legate al consumo di marijuana. Due invece i profili ancora senza nome: quello rilevato grazie alle tracce trovate sulla maniglia della porta del garage, quella interna prima della porta scorrevole esterna, e uno – una traccia ematica – su una scatola che conteneva scarpe della vittima che però mancano dalla scena del crimine.
Prima della audizione dei testi della difesa, poi, l’imputato si è valso della facoltà di non rispondere, mentre sono state sottolineate le condizioni economiche dell’imputato che secondo la ricostruzione dell’accusa avrebbe avuto difficoltà a causa delle frequentazioni con centri scommesse nei quali scommetteva in maniera piuttosto pesante. Altra testimonianza, da parte di un funzionario di pg, che confermerebbe che l’imputato potrebbe essere sia destrimane che mancino, mentre l’imputato ha sempre sostenuto, con le conferme di alcuni amici e colleghi di essere mancino. Da parte sua, l’accusa ha invece sottolineato che pur se fosse davvero mancino, nella sua attività di macellaio avrebbe comunque imparato a utilizzare la destra. Questione non di poco, visto che dall’autopsia emerge che a colpire D’Amico sia stata proprio una persona destrimane. Nell’ultima udienza 4500 pagine di tabulati del telefono della vittima non sono state ammesse a processo, in quanto consegnate in tempi non idonei.

omicidio paolo d'amico barisciano: indagini dei Carabinieri

 

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