Cronaca

Omicidio di Barisciano, la versione di Gianmarco Paolucci

L'AQUILA - Il 2 novembre ultima udienza del processo per l'omicidio di Barisciano. L'imputato intenzionato a rendere dichiarazioni spontanee prima della sentenza.

L’AQUILA – Il 2 novembre ultima udienza del processo per l’omicidio di Barisciano. L’imputato Gianmarco Paolucci intenzionato a rendere dichiarazioni spontanee prima della sentenza.

È fissata per mercoledì 2 novembre l’ultima udienza per l’omicidio di Barisciano, che vede imputato il giovane aquilano Gianmarco Paolucci per l’omicidio di Paolo D’Amico. In quella sede, la Corte d’Assise formata dal presidente del Tribunale Alessandra Ilari, il giudice a latere Niccolò Guasconi e sei giudici popolari, prima della Camera di Consiglio per la sentenza, potrebbe sentire le dichiarazioni spontanee dell’imputato, che già nell’ultima udienza del 19 ottobre, in cui l’accusa ha chiesto la condanna all’ergastolo, aveva espresso intenzione di renderle. La Corte ha quindi aggiornato la seduta, sia per le dichiarazioni spontanee di Paolucci, che per le repliche della pubblica accusa, rappresentata dal pubblico ministero, la dottoressa Simonetta Ciccarelli, e della difesa, rappresentata dagli avvocati Mauro Ceci e Licia Sardo.
Al termine, la sentenza relativa all’omicidio di Barisciano, per cui la Corte dovrà valutare quanto emerso nel corso del processo e quanto rappresentato dalle parti.

L’accusa ritiene di avere in mano la “prova regina” della colpevolezza di Gianmarco Paolucci, ovvero la traccia di DNA presente sui pantaloni della vittima, all’altezza delle caviglie. Per gli investigatori e la Procura, la traccia in quella posizione si spiegherebbe con l’attività di trascinamento del corpo messa in atto dall’assassino, al fine di liberarsi la via di fuga. Ad evidenza del trascinamento, la posizione del corpo, rinvenuto a terra, con i pantaloni leggermente sfilati, nonostante la cinta, così com’era sfilato uno dei due calzini (la vittima è stata ritrovata senza scarpe). Anche il pile indossato dall’uomo risultava tirato verso la parte superiore del dorso, per effetto del trascinamento. Sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, un primo tentativo di spostare il corpo, sarebbe riscontrabile anche dagli strappi sotto le ascelle del giubbino indossato dalla vittima. Non riuscendo a spostare il corpo in questo modo, il colpevole sarebbe passato al trascinamento dalle caviglie. Da qui la traccia di DNA con corrispondenza “altamente probabile” con il profilo di Paolucci. Secondo la parte civile, rappresentata dall’avvocato Francesco Valentini, intenzionata a chiedere circa 1,7 milioni di euro di risarcimento per la madre e il fratello della vittima, questo sarebbe sufficiente a condannare Palucci, per un noto precedente, relativo a un caso di cronaca nazionale. Il riferimento è al delitto di Yara Gambirasio, per il quale è stato condannato Giuseppe Bossetti. Secondo quanto sottolineato dalla parte civile, in quel caso è bastata una corrispondenza probabilistica del DNA inferiore per giungere comunque alla condanna.

Non la pensa così la difesa, che ha parlato di possibili contaminazioni, dal momento che il DNA non è stato prelevato sul posto, ma solo in un secondo momento, in sede di autopsia. Inoltre, la difesa sottolinea come la traccia analizzata si sia rivelata una “mistura” e non traccia singola, particolare che renderebbe la corrispondenza meno inequivocabile di quanto vorrebbe l’accusa. Allo stesso modo, gli avvocati di Paolucci hanno segnalato la singolarità per cui la traccia è stata trovata solo sui pantaloni della vittima e in nessuna altra parte. Né sulle altre parti del corpo di D’Amico, che secondo la ricostruzione degli inquirenti avrebbe subito un precedente tentativo di spostamento, né sulle armi bianche utilizzate per l’omicidio (il cesello e la mazzetta da cantiere), né su altre superfici del luogo dell’omicidio. Ad ogni modo, l’alta probabilità di corrispondenza non escluderebbe comunque al 100% il contrario.

Attorno alla questione DNA, che per l’accusa non rappresenta un elemento indiziario, ma una prova, ruotano gli altri aspetti emersi dal processo. Dalla presunta presenza di Paolucci sul luogo dell’omicidio, nell’arco temporale in cui lo stesso accadeva, ai rapporti con la vittima e alle situazioni economiche di entrambi. La difesa ha anche puntato l’attenzione su due tracce di DNA di cui non sono state trovate corrispondenze e restano quindi di ignoti: una goccia di sangue in una scatola di scarpe vuota e una traccia su una maniglia del garage. Dal canto suo, l’accusa ha “rimproverato” all’imputato un atteggiamento poco collaborativo al raggiungimento della verità, dalle presunte incongruenze emerse durante le indagini alla decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere durante tutto il processo. Nell’ultima udienza, però, la voce di Paolucci potrebbe risuonare dell’Aula magna del Tribunale dell’Aquila, avendo egli stesso espresso questa intenzione in sede di dichiarazioni spontanee.

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