Eccellenze

Zafferano dell’Aquila, una giornata fra i solchi a raccogliere oro rosso

Entra nel vivo la raccolta dello zafferano nella piana di Navelli: fra i campi con il giovane agricoltore Simone di Persio.

Entra nel vivo la raccolta dello zafferano nella piana di Navelli: fra i campi con il giovane agricoltore Simone di Persio.

È ancora buio e c’è la nebbia. L’oro rosso è già sorto. Le piantine di zafferano sono ancora ricoperte di brina notturna e la temperatura è davvero bassa nel mese di ottobre nell’Aquilano. Per raccogliere questa preziosa spezia bisogna andare quando i fiori sono ancora chiusi e il sole ancora non è spuntato. Fa freddo e le piantine di zafferano sono piccoli ciuffetti di erba simili a capelli, a raso del terreno; tanto da dover stare sempre chinati. Si usano i polpastrelli di pollice e indice per estrarre il fiorellino viola e dopo un po’ quasi si ha la sensazione di perdere la sensibilità, ma si continua perché i solchi sono lunghi e vanno finiti. Ad allietare la silenziosa raccolta di questo prodotto, protetto e avvolto dai serrati petali, è l’arrivo del sole che finalmente sorge. Non scalda, non ancora almeno. Ma colora il suolo e fa brillare ancor di più i pistilli più audaci che spuntano curiosi dai fiori che stanno per aprirsi.
Ai microfoni del Capoluogo, il giovane agricoltore di Barisciano, Simone Di Persio, spiega come avviene la raccolta dello zafferano nelle zone dell’altopiano di Navelli, dove i più fanno parte della Cooperativa dell’Altopiano di Navelli e devono seguire delle precise regole perché questo prodotto mantenga la sua autenticità: “I fiori dello zafferano si raccolgono quando sono ancora chiusi, perché la raccolta è più veloce e siccome si fa a mano, ma ‘in maniera meccanica’, non si rischia di rallentare il lavoro. E poi così non si perde l’aroma della spezia. Finita la raccolta, che noi facciamo in cesti di vimini, si stendono i fiori su un tavolo e si comincia il processo detto della ‘sfioritura’. Consiste nell’estrarre i pistilli, o stigmi, le parti rosse insomma, da ogni fiore che, con pollice e indice, viene fatto ruotare. Dopo la sfioritura si deve procedere con l’essiccazione, seguendo il Disciplinare”.

zafferano dell'aquila raccolta

Il Disciplinare che devono seguire i soci della Cooperativa Altopiano di Navelli stabilisce innanzitutto la zona geografica entro la quale si può produrre lo zafferano di origine protetta, DOP, dell’Aquila; dove rientrano 14 comuni. Inoltre, il Disciplinare codifica tutte le norme che i produttori devono osservare tanto sul campo, che nell’atto della trasformazione, nel confezionamento, fino all’etichettatura del prodotto: “Da Disciplinare, noi agricoltori che facciamo parte della Cooperativa, dobbiamo usare la brace per far asciugare lo zafferano. In particolare, il fuoco è stato fatto con legna di mandorlo o quercia perché il loro fumo non rilascia odori forti che potrebbero alterarne il naturale aroma. Quindi, a una distanza di 15 centimetri dalla brace non viva, in un setaccio (quello tipico della farina) vanno messi i pistilli e si girano piano piano a mano, finché non si ritira la loro umidità. Alla fine, quasi si seccano diciamo”.

zafferano dell'aquila raccolta

Gli stimmi, o pistilli dello zafferano infatti contengono un alto contenuto di acqua, più dell’80%, quindi il peso del pistillo scende incredibilmente da quando si raccoglie a dopo che viene essiccato. Racconta Simone: “Per fare un grammo di zafferano ci vogliono circa 200 fiori”. E sorridendo aggiunge: “Molte persone che vengono qui a Navelli per vedere come si lavora lo zafferano mi chiedono: ‘ma come si capisce quando è pronto, quando è secco al punto giusto?’ Io ogni volta rispondo che si capisce con il tatto, con l’esperienza. Non c’è altro modo”.
“Lo zafferano subisce il processo dell’essicazione in questo modo può durare nel tempo per essere consumato quando si vuole. L’importante è mantenerlo lontano da luce, calore e umidità altrimenti si potrebbe rovinare”.

zafferano dell'aquila raccolta

Lo zafferano venne importato dalla Spagna, sotto forma di bulbi, da un frate domenicano intorno al 1200 e a lui è intitolato il Palazzo Santucci a Navelli. Per la costruzione della Chiesa di San Bernardino a L’Aquila, intorno alla seconda metà del 1400, venne usata una parte delle tasse sullo zafferano. La produzione e vendita dello zafferano permisero alla città dell’Aquila di vivere un periodo molto florido. Nella seconda metà del 1500 inizia però un periodo di decadenza del commercio e della stessa città dell’Aquila, la “leggenda” vuole che, il merito di salvare lo zafferano sia attribuibile a Silvio Salvatore Sarra, fondatore insieme ad altri della Cooperativa Altopiano di Navelli. Ad oggi non esistono agevolazioni meccaniche che ne facilitino la manodopera. Sottolinea Simone: “Il lavoro dello zafferano è tutto manuale e proprio per questo ci vuole tanta pazienza, tanto tempo e molta, moltissima passione”.

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