Personaggi

Giulio Votta a Santiago: Sui trampoli per salvare l’arte di strada

Il cammino di Giulio Votta, sui trampoli, a Santiago. "Anche noi artisti di strada siamo dei professionisti, non dovete dimenticarci!".

Un viaggio iniziatico, un percorso tra spiritualità e arte: questo è stato il cammino di Santiago di Giulio Votta, l’eclettico artista aquilano che ha percorso 160 km sui trampoli.

Giulio Votta è uno straordinario attore di teatro, un artista di strada di talento, un attore completo che ha fatto dell’arte la sua ragione di vita e che ha deciso di mettersi in cammino per Santiago portando con sé i trampoli con i quali ha girato tutta Europa. Sono passati 4 mesi da quel viaggio, da quel 29 giugno, da quel video davanti la piazza dove si trova la Cattedrale di San Giacomo a Santiago de Compostela, ma le emozioni sono ancora vive e impresse nelle parole di Giulio che ha deciso di compiere il cammino, “Per pulire la mia anima dopo la tristezza di due anni di pandemia, dopo un periodo nero e buio per un settore come quello dello spettacolo che ci ha messo letteralmente in ginocchio. Ho preso i trampoli, ho fatto lo zaino e sono partito, per ritrovare me stesso, per cercare delle risposte ad alcune domande”.
Un viaggio faticoso, perchè è vero che Giulio Votta conosce da decenni l’antica arte dei trampoli, ma i sentieri che portano a Santiago sono spesso strade poco battute, un percorso difficile, anche dal punto di vista emotivo, commovente ed impegnativo, “Non tanto per la fatica fisica, quanto per quella necessità di ritrovare me stesso. Durante il cammino ho incrociato occhi, sguardi, mani e sorrisi che non dimenticherò mai. Insieme a me c’erano centinaia di persone che si stavano mettendo alla prova: chi aveva la bicicletta, chi era a piedi, ognuno nel proprio zaino aveva emozioni e sentimenti che voleva condividere con gli altri viaggiatori. Ho cercato di capire fin dove potessi spingermi, cercando di trovare nella fatica lo sprone per andare avanti. Ho capito, durante quei 160 km, che bisogna sempre credere nei proprio sogni, perchè alla fine la vita ha qualcosa di bello in serbo per tutti”.

cammino di santiago Giulio Votta

Partito da L’Aquila il 15 giugno, il 16 è iniziato il viaggio sui trampoli, 160 km attraverso il tratto galizziano del cammino, iniziato a Cebreiro e terminato a Santiago de Compostela che il Capoluogo ha voluto seguire, quasi giorno per giorno, per sostenerlo, per condividere le sue emozioni.  “Non dimenticherò mai le persone che ho incontrato e che in quei giorni mi hanno sostenuto. I trampoli hanno provocato tanti sorrisi, non di scherno, ma di approvazione e questo mi dava la spinta ad andare avanti, a proseguire nonostante la fatica. C’era mio figlio a casa che faceva il tifo per me, la mia famiglia, i miei amici di sempre. Ho fatto tanti incontri importanti in quei giorni che mi hanno consentito un’apertura mentale straordinaria. Durante le pause mi ritrovavo negli ostelli con dei perfetti sconosciuti con cui è stato spontaneo aprirsi, raccontando cose del proprio vissuto, anche intime, che non avresti raccontato neanche a te stesso in maniera naturale. Mi sono stupito di me stesso, sembravo un’altra persona, perchè sono naturalmente riservato e molto discreto”. Il 29 giugno l’arrivo a Santiago, insieme a migliaia di ragazzi e ragazze, uomini e donne, da tutto il mondo. “Non ci cono parole per descrivere la potente energia di quel posto: voci diverse, accomunate da una stessa motivazione. In quel momento il carico del viaggio mi è apparso davanti come la scena di un film e sono scomparse la paure, i dubbi, lo sconforto dei giorni precedenti. Ho rivisto me bambino che si affacciava alla vita e ho pensato a mio figlio che, nell’innocenza dei suoi 8 anni, mi aveva già detto che ci saremmo tornati insieme, ovviamente sui trampoli, io e lui”.

Ma cosa lo ha spinto a mollare tutto per una decina di giorni e andare a Santiago, il luogo per eccellenza dove ogni giorno si ritrovano migliaia di pellegrini da tutto il mondo? E chi è Giulio Votta?

Giulio Votta, 45 anni, è un insegnante purtroppo ancora precario. La sua carriera artistica è iniziata a 16 anni, a L’Aquila, nello storico teatro San Filippo gestito dalla compagnia dell’Uovo dove si era iscritto al corso di tecniche attoriali. Ha alle spalle un percorso lungo e intenso durante il quale ha raccolto tante soddisfazioni, qualche porta sbattuta in faccia in malo modo, ma dovunque è andato, è stato sempre acclamato dal pubblico con affetto. La vera gavetta è iniziata con il circo Leris Colombaioni, una delle famiglie circensi più famose e antiche del Centro Italia, una storica famiglia di clown di tradizione, notissimi in tutto il mondo come maestri del movimento comico. I Colombaioni hanno lavorato con mostri sacri italiani come Federico Fellini e Dario Fo, nonchè con riformatori del teatro come Jerzy Grotowski o Eugenio Barba. “Il nostro era un circo senza animali – ricorda Giulio – c’erano gli uomini e le loro professionalità. Maghi, acrobati, clown… Loro mi hanno fatto lavorare, mi hanno formato, e io in cambio ho messo a disposizione la mia persona. Abitavo in una piccola roulotte e li seguivo in giro per l’Italia”. Dopo il circo, anche un periodo di formazione all’estero: “Decisi di trasferirmi in Danimarca, dove ho studiato teatro per tre anni, soggiornandovi per brevi periodi con la compagnia di Barba. Sono stati anni difficili, fatti di tante soddisfazioni, ma è comunque un mestiere duro. Spesso si riceveva in cambio solo vitto e alloggio e per me che volevo essere indipendente non era facile. Oggi che ho 45 anni e ho un figlio di 8, guardandomi indietro mi reputo una persona fortunata e rifarei comunque tutto da capo, perchè gavetta e formazione sono imprescindibili per un artista o un qualunque professionista”. Dopo la Danimarca, fondamentale per la sua formazione, è stato anche l’incontro con il Teatro Proskenion, una compagnia che fa teatro di improvvisazione e di ricerca, con sede a Reggio Calabria. “Ho avuto questa opportunità grazie a una collaborazione con l’Università dell’Aquila, con la cattedra di studi teatrali diretta da Ferdinando Taviani e Mirella Schino. Tornato all’Aquila Giulio, dopo il terremoto del 6 aprile 2009, ha messo su  con Cecilia Cruciani la Casa del Teatro, un vero punto di riferimento con tante attività, soprattutto per i più piccoli. “Anche se da qualche anno la collaborazione con la Casa del Teatro si è conclusa, è stata una bellissima esperienza, formativa, importante, che mi ha fatto capire quanto sia fondamentale far approcciare i più piccoli all’arte, fin dalla tenera età. Per me l’arte e il teatro sono bisogni veri, primordiali, unici!”. Di pari passo con il teatro, per Giulio c’è anche un grande amore per la musica. “Due forme d’arte quasi complementari, che stanno bene insieme. Suono diversi strumenti, li colleziono, perchè per me la musica è magia, è terapia, tocca le corde dell’anima”.

Giulio Votta, il cammino di Santiago sui trampoli: “Un viaggio tra arte e fede”

Dopo tanti sacrifici, dopo un terremoto, il Covid ha chiuso cinema e teatri, e per il settore di Giulio è stata una vera mazzata, una voragine difficile da colmare, anche adesso, due anni dopo. Sono stati quindi la musica e l’arte a fare da traino nella scelta di andare a Santiago sui trampoli: ma c’è stata anche la pandemia a creare questo bisogno. “Il lavoro degli artisti è, ancora oggi, molto bistrattato, specie se si tratta di ‘artisti di strada’ come me. La nostra viene vista come una ‘non professione’ quando in realtà è un lavoro a tutti gli effetti. Dobbiamo combattere tanto, ogni giorno, perchè vengano riconosciuti i nostri diritti come essere umani: durante due anni di chiusure non abbiamo ricevuto altro che un’elemosina e l’arte non è accattonaggio. Il teatro, lo spettacolo di strada è tra le arti più antiche del mondo: già nel Medioevo le vecchie carovane di girovaghi andavano nelle piazze per far divertire, o nelle corti per fare da contorno alle feste. All’epoca barattavano il proprio lavoro con un sacco di patate, una gallina, un fiasco di vino. Oggi il baratto no c’è più e da parte nostra c’è ancora voglia, nonostante tutto, di far vibrare le corde dell’anima, di suscitare emozioni. Il teatro è presenza, profumi e colori, e non si può fare o guardare dietro uno schermo. Il telefono, la tv, possono essere un palliativo, ma non la medicina risolutiva. Sono stati anni difficili per tutti: la mancanza di lavoro, la crisi nera che si è abbattuta sul comparto spettacolo, ha costretto migliaia di persone a non lavorare per circa 2 anni. Sono salito quindi sui trampoli per vedere il mondo, questo mondo dove sembrava per un periodo che non ci fosse più posto per me e la mia arte… da un’altra prospettiva. Sono partito animato dal sostegno profondo verso tutti i miei colleghi che non hanno avuto la mia stessa fortuna di poter continuare a lavorare potendo contare sullo stipendio delle supplenze a scuola, quando il teatro, il cinema e la musica si sono fermati. Noi artisti siamo stati considerati lavoratori di serie B, cittadini inutili e non validi. Io sono riuscito a non soccombere perchè avevo la scuola: per molti non è stato così. Nel teatro non ci sono solo gli attori, ci sono i costumisti, gli operatori, i tecnici e i fonici: migliaia di persone che hanno dovuto giocoforza incrociare le braccia e dopo 2 anni ancora non riescono a ripartire come si deve. Io dovevo farcela, lo dovevo a me stesso, lo dovevo a quel ragazzino che a 16 anni salì timidamente sul palcoscenico del Teatro San Filippo e lo dovevo a mio figlio di 8 anni che aveva bisogno di me e del mio sostegno, anche economico. Il nostro settore in questi due anni non ha avuto aiuti se non davvero delle ‘mance’ e non è giusto. Siamo prima di tutto esseri umani, con una dignità e soprattutto abbiamo diritto di poter lavorare dopo anni di studi e di gavetta”. 

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