Cronaca

Omicidio di Barisciano, il giorno della sentenza: Paolucci rischia l’ergastolo

Omicidio di Barisciano, per Paolucci è il giorno più lungo: dichiarazioni spontanee e poi la sentenza. Il Pm ha chiesto l'ergastolo.

L’AQUILA – Ultima udienza in Corte d’Assise per l’omicidio di Barisciano. Per Gianmarco Paolucci è il giorno della sentenza. Il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna all’ergastolo.

È il giorno più lungo per Gianmarco Paolucci, il giovane aquilano imputato nel processo per l’omicidio di Barisciano. Il giovane è accusato di aver ucciso il 55enne Paolo D’Amico, dipendente ASM, nella propria abitazione, in una zona isolata di Barisciano. Il corpo era stato ritrovato privo di vita il 24  novembre 2019, l’arresto di Paolucci, a febbraio 2021, dopo la comparazione del suo DNA con quello ritrovato sulla scena del crimine, sui pantaloni della vittima.
Nell’ultima udienza del 19 ottobre, il Pubblico Ministero, la dottoressa Simonetta Ciccarelli, ha chiesto per l’imputato la condanna all’ergastolo, con il riconoscimento delle aggravanti relative a crudeltà e futili motivi. La difesa, rappresentata dagli avvocati Mauro Ceci e Licia Sardo, ha invece chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto e in subordine l’applicazione del minimo della pena e le attenuanti generiche, con il non riconoscimento delle delle aggravanti. In quest’ultimo caso, senza il riconoscimento delle aggravanti, inoltre, è stato richiesto di accedere agli sconti di pena previsti per il rito abbreviato che inizialmente non è stato possibile chiedere per via appunto delle stesse aggravanti contestate.

Per quanto riguarda la condanna per l’omicidio di Barisciano, l’accusa ritiene di avere in mano la “prova regina” rappresentata dalla presenza del DNA dell’imputato sui pantaloni della vittima. Per gli investigatori e la Procura, la traccia rinvenuta all’altezza delle caviglie si spiegherebbe con l’attività di trascinamento del corpo messa in atto dall’assassino, al fine di liberarsi la via di fuga. Ad evidenza del trascinamento, la posizione del corpo, rinvenuto a terra, con i pantaloni leggermente sfilati, nonostante la cinta, così com’era sfilato uno dei due calzini (la vittima è stata ritrovata senza scarpe). Anche il pile indossato dall’uomo risultava tirato verso la parte superiore del dorso, per effetto del trascinamento. Sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, un primo tentativo di spostare il corpo, sarebbe riscontrabile anche dagli strappi sotto le ascelle del giubbino indossato dalla vittima. Non riuscendo a spostare il corpo in questo modo, il colpevole sarebbe passato al trascinamento dalle caviglie. Da qui la traccia di DNA con corrispondenza “altamente probabile” con il profilo di Paolucci. Secondo la parte civile, rappresentata dall’avvocato Francesco Valentini, intenzionata a chiedere circa 1,7 milioni di euro di risarcimento per la madre e il fratello della vittima, questo sarebbe sufficiente a condannare Palucci, per un noto precedente, relativo a un caso di cronaca nazionale. Il riferimento è al delitto di Yara Gambirasio, per il quale è stato condannato Giuseppe Bossetti. Secondo quanto sottolineato dalla parte civile, in quel caso è bastata una corrispondenza probabilistica del DNA inferiore per giungere comunque alla condanna. Per la stessa accusa, indicativa anche la posizione del telefono dell’imputato che secondo le perizie avrebbe agganciato una cella telefonica compatibile con la zona dell’abitazione della vittima, nell’arco temporale individuato come quello in cui l’omicidio è avvenuto. Il Pm ha anche rimproverato all’imputato una condotta poco collaborativa al raggiungimento della verità, oltre alle incongruenze emerse durante le deposizioni davanti ai carabinieri.

Da parte sua, la Difesa ritiene che quella del DNA non possa essere considerata prova certa al 100% e ha parlato di possibili contaminazioni, dal momento che il DNA non è stato prelevato sul posto, ma solo in un secondo momento, in sede di autopsia. Inoltre, la difesa ha sottolineato come la traccia analizzata si sia rivelata una “mistura” e non traccia singola, particolare che renderebbe la corrispondenza meno inequivocabile di quanto vorrebbe l’accusa. Allo stesso modo, gli avvocati di Paolucci hanno segnalato la singolarità per cui la traccia è stata trovata solo sui pantaloni della vittima e in nessuna altra parte. Né sulle altre parti del corpo di D’Amico, che secondo la ricostruzione degli inquirenti avrebbe subito un precedente tentativo di spostamento, né sulle armi bianche utilizzate per l’omicidio (il cesello e la mazzetta da cantiere), né su altre superfici del luogo dell’omicidio. Ad ogni modo, l’alta probabilità di corrispondenza non escluderebbe comunque al 100% il contrario.

Per le aggravanti, invece, l’accusa ha chiesto quelle relative a crudeltà e futili motivi. La prima, per il numero di colpi inferti, la seconda in quanto il movente del cosiddetto omicidio di Barisciano sarebbe da individuare nell’ambito di consumo e cessione di stupefacenti o debiti non saldati. La Difesa, oltre alla colpevolezza dell’imputato, contesta in subordine anche le aggravanti, in quanto l’ultimo colpo sarebbe stato inferto alla vittima quando era ancora viva, quindi non ci sarebbe stato accanimento oltre l’atto stesso dell’omicidio, passaggio necessario secondo alcune sentenze della Cassazione per rilevare l’aggravante della “crudeltà”. Per la Difesa, infine, non sarebbero ravvisabili i futili motivi, in quanto il movente non sarebbe comunque emerso in maniera chiara.

A questo punto, non resta che attendere la decisione della Corte d’Assise, formata dal presidente del Tribunale Alessandra Ilari, il giudice a latere Niccolò Guasconi e sei giudici popolari. Prima della sentenza, sempre nell’udienza odierna l’imputato dovrebbe rendere alcune dichiarazioni spontanee, mentre accusa e difesa sono chiamate alle repliche.

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