L'approfondimento

Suicidio, nel post pandemia sempre più richieste di aiuto: i pericoli del dolore muto

Suicidio, nella prima metà del 2021 quasi 3mila persone si sono rivolte al Telefono Amico perché pensavano a un gesto estremo, o preoccupate per il possibile suicidio di un proprio caro. Perché?

Se si digita la parola suicidio su Google, il più noto motore di ricerca, il risultato è il seguente

suicidio

Aiuto. Chiedere aiuto è l’unica soluzione per non arrendersi.
Nessuno può realmente conoscere i sentimenti, le emozioni e i disagi più profondi che vive una persona che pensa al suicidio o che, nei peggiori casi, quel suicidio lo mette in atto.
Possiamo provare a comprenderli, tentare di immedesimarci… ma c’è bisogno di un aiuto e, in molti casi, il tempo per aiutare è poco. Potrebbe trattarsi anche di frazioni di secondi.
Spesso è inutile anche chiedersi “Perché?”.
In Italia si registrano ogni anno circa 4000 morti per suicidio. Il trend storico del tasso di mortalità per suicidio mostra nel nostro Paese una riduzione a partire dalla metà degli anni Ottanta, che si accentua – soprattutto per gli uomini – nella seconda metà degli anni Novanta. Tuttavia, dopo il minimo storico raggiunto negli anni 2006 e 2007, questa tendenza alla riduzione ha subito un arresto. Nel 2008, anno in cui cominciano a farsi manifesti gli effetti della crisi economico-finanziaria, analogamente a quanto osservato in altri Paesi europei e negli Stati Uniti, anche in Italia il tasso comincia ad aumentare tra gli uomini nelle classi di età centrali. Poi è arrivata la pandemia, altro fattore che va considerato nell’analisi dell’andamento suicidario.

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Sono diversi i suicidi raccontati nelle ultime settimane dalla cronaca, locale e nazionale.
Tornando ai dati, nella prima metà del 2021 sono state quasi 3mila le persone che si sono rivolte all’organizzazione di volontariato Telefono Amico Italia perché attraversate dal pensiero del suicidio, o preoccupate per il possibile suicidio di un proprio caro: quasi il triplo rispetto alle segnalazioni del periodo pre Covid. Con una tendenza al peggioramento legata al protrarsi dell’emergenza. Confrontando il primo semestre del 2020 e quello del 2021 emerge, infatti, un aumento delle segnalazioni legate al suicidio di oltre il 50%. Nonostante i timori di aumenti drammatici dei suicidi, però, a livello internazionale (l’Italia sta elaborando i dati del 2020) il trend è in linea con gli altri anni o in alcuni casi in diminuzione, secondo quanto rileva il professor Maurizio Pompili, ordinario di Psichiatria della Sapienza Università di Roma e direttore del Servizio di prevenzione del Suicidio dell’Azienda ospedaliera Sant’Andrea.

L’effetto negativo della pandemia sulla Salute mentale, comunque, ha subito una nuova impennata, come spiegato anche dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi.

Abbiamo provato a capirne di più ascoltando la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.

Non è sempre e solo depressione.
“Iniziamo con il dire che non esiste una struttura di personalità ed una specifica psicodinamica connessa al suicidio.
Non possiamo parlare di persone ‘portate’ al suicidio, il discorso è ben più articolato. La nostra psiche è costituita da tanti personaggi psichici: questi vanno ad attivare i diversi ruoli che abbiamo. Quando c’è l’assolutizzazione di uno di questi personaggi, vuol dire che tutti gli altri vengono soffocati e viene a mancare l’equilibrio psichico; quindi non si può, in automatico, associare uno specifico tratto della personalità al suicidio. Non possiamo etichettare tutto come ‘depressione che ha portato al suicidio’. Ogni caso va valutato a sé: perché i pensieri e le azioni di una persona dipendono da tanti altri fattori, compresi appunto nella sua psiche“, ci spiega Chiara Gioia.

Il vuoto. 
“In genere il suicidio viene associato a molte altre forme di psicopatologia, eppure nulla può davvero razionalmente spiegare un gesto che lascia solo un grande vuoto. Oramai è quotidiano ascoltare e/o leggere news dell’ultimo minuto che riportano un atto suicidario da parte di più o meno giovani e, tante volte, si sente parlare di persone morte suicide che non avevano mai ‘mostrato e/o dato da pensare’ che potessero ‘compiere un atto del genere’.
Per cercare di comprendere di cosa stiamo parlando, dello spessore e allo stesso tempo della delicatezza di tale dinamica, è opportuno soffermarsi sulla psiche che ogni individuo possiede. La quale psiche, cioè il nostro mondo interiore – quello più intimo, viscerale, nascosto – è spesso offuscato da meccanismi di difesa che ogni essere umano ha e che tende ad attivare davanti alle più disparate difficoltà e ai disagi“.
I disagi generano “dei ‘buchi psichici’, delle crepe che diventano il precipizio, per altri il burrone dove cadere
In realtà essi potrebbero essere delle opportunità per evolvere, dinamicizzarsi, uscire dallo ‘stagno’ in cui ci si sente impantanati: solo che la via più semplice, senza rendersene conto, è quell’alternativa difensiva alla rimozione, cioè la scissione e/o il diniego“. 

Negare i disagi affrontati “può dare la sensazione di essere usciti fuori da quel dolore, ma non è affatto così.
Perché il dolore va afrrontato, analizzato, vissuto, sviscerato. Bisogna interfacciassi con il dolore, altrimenti quel problema, che ci illudevamo di aver superato, si ripresenterà. Da qui, l’alternanza di periodi connotati da alti e bassi e le fasi depressive“. 

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I pericoli del dolore muto.
La permanenza troppo lunga in quei ‘buchi psichici’, sopra citati, o la continua ricaduta in un disagio potrebbero condurre alcune persone al suicidio. Gesto che si porta dietro una consapevolezza, un dolore muto, esasperato, mai affrontato, soprattutto mai narrato: perché dove non c’è una narrazione non può esserci neanche la presenza di un altro individuo che possa ascoltare, accogliere, condividere. Quindi un amico, un compagno, un familiare, o un esperto analista per giungere ad un’elaborazione“.

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Continua la psicologa e psicoterapeuta, “Il suicidio, in questo senso, diventa quindi quell’atto compiuto in un mondo che si svuota, che cambia la sua significazione, come direbbe lo psicoanalista e saggista Massimo Recalcati riferendosi alle ‘perdite amorose narcisistiche’; un atto compiuto in una solitudine percepita che, per chi non ha vissuto questo processo, può risultare inafferrabile“.

“Dove non c’è pensabilità non c’è vita”, sottolinea Chiara Gioia, che spiega: Tutto quello che noi mettiamo in atto esiste già prima nella nostra psiche come immagine. Ciò che si pensa è ciò che esiste ed è attivo già nella nostra mente.
Quindi, se nel nostro mondo interiore è attivo l’immaginario del suicidio e non lo affronto, né analizzo, tendo a letteralizzaerlo, a concretizzarlo”. 

Il cambiamento impossibile.
Legata al suicidio vi è la disperazione e la desolazione inerenti l’aspettativa di un cambiamento associato alla certezza di non poterlo realizzare. Anche il senso di colpa è considerato una delle componenti affettive della desolazione, che deriva dall’odio verso sé stessi, dal bisogno di punirsi per il proprio modo di essere.
Il suicidio, quindi, scaturirebbe da una struttura psichica particolare in grado di esplodere sotto la spinta di stimoli personali ed ambientali. L’individuo coraggioso sceglie di vivere e di essere sé stesso, conoscendo realmente ciò che egli è.
Il suicido è il paradigma della nostra indipendenza da chiunque altro e quindi è anche egoismo, che va inteso come piccolo seme dell’individualità’
È il suicidio stesso che ci insegna che ogni caso è differente e pertanto, la sua causa è anch’essa differente. Deve perciò essere diversificato l’approccio alla comprensione della sofferenza di ciascun soggetto.
Da un punto di vista analitico ciò significa non soltanto osservare con attenzione la ‘crepa’ per come essa appare: necessario diventa osservare, narrare, differenziare, stilare ‘la storia di quel buco psichico’, di cosa si contorna e delle risonanze che genera; questa è la via per giungere a comprendere le disfunzioni psichiche.
Non è un caso se il suicidio o il pensiero di atti suicidari – conclude Chiara Gioia – spesso si caratterizzano dal senso di vuoto e di solitudine che quelle stesse persone soffrono“.

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