Cultura

Tutti i Santi giorni, 2 novembre: commemorazione dei defunti

La commemorazione dei defunti per la rubrica "Tutti i Santi giorni" del 2 novembre.

La commemorazione dei defunti per la rubrica “Tutti i Santi giorni” del 2 novembre.

Il 2 novembre si commemorano i fedeli defunti. La base teologica su cui la celebrazione si fonda è la dottrina secondo cui le anime dei fedeli che nel momento della morte non erano perfettamente purificate dai peccati veniali, o non avevano espiato pienamente le colpe del passato, non possono accedere al Regno dei Cieli e che i devoti in terra possono aiutarli con la preghiera, l’elemosina e, soprattutto, con il sacrificio della Messa. Nei primi cinque secoli del cristianesimo i nomi dei fratelli deceduti venivano inseriti nei dittici. Di una commemorazione collettiva dei fedeli defunti si ha testimonianza in Sant’Agostino, che nel De cura gerenda pro mortuis parla di preghiere che la Chiesa recitava in una celebrazione generale di tutti i fedeli defunti. La commemorazione liturgica appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti: Amalario Fortunato di Metz, vescovo di Treveri, poneva già la memoria il giorno successivo a quella dei Santi che erano già in cielo. La festività, però, venne celebrata per la prima volta nel cristianesimo nel 998, per disposizione di Odilone di Mercoeur, abate di Cluny, che ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 novembre come giorno solenne per la “Commemorazione dei defunti”, con celebrazione della Messa, con salmi elemosine e canti. A partire dal XIII secolo, con il nome di “Anniversarium Omnium Animarum”, la festa era ormai riconosciuta da tutta la Chiesa Occidentale, apparendo per la prima volta in veste ufficiale nell’Ordo Romanus XIV, composto dal cardinale diacono Napoleone Orsini e dal cardinale Giacomo Caetani Stefaneschi, poco prima del trasferimento della sede pontificia ad Avignone, dove venne ampliato nel 1311, per ordine del papa Clemente V.

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Il tema della morte ha interessato l’uomo fin dalle sue origini, riflettendosi chiaramente nell’arte e nella letteratura sin dalle epoche più remote. Nel Medioevo temuto non era soltanto il momento del trapasso, ma anche la dannazione eterna; pertanto, la produzione artistica fu fortemente influenzata dall’angoscia del peccato, del macabro, della morte, la cui iconografia cominciò a diffondersi dal XIII secolo. Fu allora che la Chiesa accolse all’interno dei luoghi di culto una serie di temi illustrativi finalizzati a incutere timore con l’intento pedagogico del “Memento mori” – ricordati che devi morire -, volto a portare i fedeli alla riflessione. Uno dei principali soggetti rappresentati è l’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, narrazione a sfondo allegorico correlata in letteratura al Dits des trois morts et trois vifs, di Baudouin de Condé del 1275. Il tema, spesso con varianti locali, rappresenta tre cavalieri che, nel corso di una battuta di caccia al falcone, incontrano tre morti viventi, da cui vengono ammoniti con le parole: “Ciò che noi siamo ora, lo diventerete voi domani”. I morti sono rappresentati quasi sempre allo stesso modo: vestiti di brandelli di sudario e in diverso stato di decomposizione; a volte possono recare strumenti quali arco, frecce e falce, con cui minacciano i viventi, questi ultimi esponenti del potere profano e religioso: nobili, sovrani, alti prelati, cavalieri. In Abruzzo, uno splendido esempio a fresco si conserva nella basilica di Santa Maria Assunta ad Atri. Un altro tema presente nell’iconografia della morte e che incontrò maggior successo in Italia, è quello del Trionfo della morte che anticipa di poco la grande ondata di peste nera del 1348. Le scene rappresentate ricordano quelle dei Giudizi universali e vedono una morte non aggressiva né minacciosa, ma sovrana – tanto che spesso indossa una corona – che veglia sulle genti. Il terzo motivo iconografico legato alla morte è quello della Danza Macabra: una processione di esseri umani diversi per età, sesso e condizione economica e sociale che vengono accompagnati ciascuno da uno scheletro in una danza senza fine. Questo soggetto si sviluppò fra il XIII e il XV secolo in particolar modo nell’Europa centrale, anche se ne troviamo attestazioni pure in Francia. In Italia da ricordare è la Danza Macabra di Clusone, realizzata da Giacomo Borlone de Buschis fra il 1484 e il 1485 per l’oratorio dei Disciplini. Quest’opera racchiude tutte e tre le iconografie già trattate: i cavalieri che fuggono dalle frecce della morte, il trionfo della morte e la danza.

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