25 novembre 2022

Violenza contro le donne, chi ha paura delle streghe?

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, dalle streghe alle scarpe rosse: una storia che continua a non insegnare.

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Dalle streghe del Medioevo alle scarpe rosse di Lidia, una storia che continua a non insegnare.

stréga s. f. [lat. strǐga, der. (come variante pop.) di strix -igis «civetta»]. – 1. a. Secondo la mitologia popolare, essere soprannaturale immaginato con aspetto femminile o donna reale che svolge un’attività di magia nera e comunque dirige gli eccezionali poteri che le vengono attribuiti ai danni di altre persone.
n. 2. 2. fig. a. spreg. Donna o ragazza cattiva e maligna.
pl. streghe

“Alla fine le ho solo detto di stare zitta, ché non capisce niente.”
“Va be’, l’ho chiamata puttana, ma dovevate vedere come si atteggiava con quello. E poi, oh, la fidanzata è la mia, mica la vostra. Fatevi i fatti vostri.”
“E sì, le ho spaccato il telefono a terra, ma sono messaggi da scambiarsi, quelli?”
“Ho capito, le ho dato uno schiaffo, ma se già sto urlando statti zitta, che mi urli sopra?”
“Sì, l’ho picchiata, ma ero ubriaco. E poi, oh, come fa perdere la pazienza lei… pare ‘na strega.”
“E va be’, l’ho ammazzata, ma mi tradiva. Che dovevo fare? L’onore è una cosa seria, lo dice anche la legge.”
“Ma chi la gestisce una così? Si deve per forza rinchiudere in manicomio.”
“Torturarla era necessario, mischiava erbe strane che avevano effetti inspiegabili. Dovevamo capire.”
“L’abbiamo bruciata in pubblica piazza, certo. Era incinta e non era sposata, quello che c’era nel suo grembo non poteva essere altro che il figlio del Demonio. Che altro potevamo fare?”

Tracce dell’esistenza delle streghe in Abruzzo risalgono al primo millennio a. C., quando i Marsi, popolazione italica di lingua osco-umbra, si stanziarono sulle rive del Lago del Fucino. Qui veniva praticato il culto della divinità principale, Angizia, la dea serpente, il cui santuario sorgeva presso Lucus Angitiae, l’attuale Luco dei Marsi. Secondo gli autori antichi, era figlia di Eata, insieme alle sorelle Circe e Medea; per Virgilio è signora dei serpenti che riesce ad ammansire con i suoi carmina: da loro è in grado di estrarre il veleno, che utilizza a scopi curativi. A lei si deve l’invenzione dell’arte magica e la tradizione narra che insegnò al suo popolo, i Marsi, l’erboristeria, la magia, la capacità di incantare i rettili e il potere guaritore, tanto che questa terra fu considerata culla della stregoneria. Ancora sul finire del XVIII secolo si hanno testimonianze di come questa leggenda fosse ben radicata nella Marsica. Richard Colt Hoare, archeologo scrittore e viaggiatore inglese, racconta come, nelle notti di luna piena, le streghe uscissero dalle acque del lago e spingessero le donne a folli notti di passione, che portavano a nascite indesiderate; la gente del luogo, per proteggersi da questi malefici, si rivolgeva a Sant’Agnese, la santa accusata di stregoneria e arsa sul rogo.

Ma se in antichità il potere taumaturgico di alcune donne era considerato dote da ammirare e a cui rivolgersi per ottenere guarigioni inspiegabili, nel corso della storia, in particolare tra il XIII e il XVII secolo, le presunte streghe – i cui poteri si volevano derivare da un patto col diavolo – furono vittime di persecuzioni, processi sommari e torture, spesso culminanti con la morte sul rogo. Sebbene in Abruzzo non fu mai allestito un vero e proprio Tribunale dell’Inquisizione e furono i Vescovi delle varie Diocesi, con il beneplacito del Santo Uffizio, a tenere in piedi i processi, anche nella nostra regione si verificarono episodi deprecabili che andarono a colpire povere donne, “colpevoli” solo di essere difficilmente inquadrabili nella società, accusate ingiustamente di essere streghe. Una delle prime vittime di cui si ha memoria scritta è stata Ernestina Di Pompeo, nata a Campli nel 1598 da umile famiglia; a 17 anni la giovane apprese dalla zia materna Berenice, ostetrica del paese, le arti dell’alchimia e della farmacia, che mise a disposizione della comunità. Ma Ernestina fu accusata di essere meretrice: ebbe una figlia, Francesca, dopo una relazione fuori dal matrimonio con un giovane del luogo che non volle riconoscere la paternità; la bimba all’età di un anno cominciò a soffrire di crisi epilettiche infantili, viste all’epoca come maleficio. Così la donna fu accusata di stregoneria, chiusa in carcere, spogliata, torturata e processata, per finire a 21 anni bruciata viva sul rogo; anche la piccola Francesca, con l’accusa di essere posseduta dal Diavolo, fu condannata allo stesso destino della madre.

Tra il 1661 e il 1668, a Chieti, si colloca la vicenda legata a Angela Occhio d’Vrocca, occhio di gallina. Secondo gli atti del processo per magia tenuto contro la strega, Angela fu accusata di essere autrice di malie contro tale Ignazio Rapattuni, ex amante della figlia Giovanna, il quale da “sette anni circa si ritrova maliato stroppio dentro d’un fondo di letto”. Denunciata al Santo Uffizio per non aver rimosso la “fattura”, tra gli incartamenti spiccano i verbali degli interrogatori di alcuni testimoni, tra cui quello del vicino di casa che dichiarò di aver sentito in giro che Angela è una “malissima donna e tiene nome di pubblica fattucchiera e donna di malissimo vita…. che abbia fatta (la fattura) per cause che detto Ignatio (Rapattuni) conosceva carnalmente detta Giovanna sua figlia e perché sempre bastonava e maltrattava essa Angela….”. I documenti non proseguono oltre nel narrare la vicenda della povera donna, a cui furono imputate capacità di stregoneria per avere occhi simili a quelli di una gallina; sorprende, ma fino a un certo punto, che nessuno degli accusatori della strega sia mai intervenuto per proteggerla dalle angherie dell’amante violento della figlia.

In tempi più recenti, fu Dino Buzzati a occuparsi di una strega abruzzese quando, in cerca dell’Italia misteriosa per i suoi reportage sul Corriere della sera, si fermò a Teramo nel 1965 ed ebbe dall’amico Franco Manocchia informazioni sulla “strega Melinda”, morta tre anni prima a 93 anni, nella sua misera casa in uno sperduto paese alle pendici del Gran Sasso. La sua, una storia come tante, di povertà e disperazione. Sedotta e abbandonata a 15 anni da un giovanotto di Penne partito militare, Melinda preparò la sua prima fattura a legare su indicazione di una “commara”: una ciocca dei suoi capelli, un bottone del corpetto e un pezzo di stoffa imbevuto del suo sangue mestruale, lasciati sul letto per il ritorno dal fronte del giovane; la fattura andò a buon fine, ma il soldato ripartì e morì in guerra. Dall’unione la donna ebbe due gemelli. Sola e senza aiuto, decise di darsi alla stregoneria: da un magarone di Forcella apprese l’arte di fare le fatture buone e da un altro di Montepradone, in provincia di Ascoli Piceno, quelle cattive. Così Melinda per oltre 70 anni visse facendo i suoi sortilegi, ma la sua fu una vita assai triste, odiata e temuta dalla gente, tanto che i due figli, appena poco più che adolescenti, decisero di emigrare e tagliare tutti i legami con quella madre che tanto aveva faticato per crescerli da sola. Secondo la tradizione, per lei una sola possibilità di salvezza, se al momento della morte, quando il diavolo aspetta alla porta, qualcuno apre un buco nel tetto da dove l’anima possa fuggire.
Per quella storia, si può giusto sperare che qualcuno abbia aperto quel buco nel tetto. Per il futuro, non ci sono più scuse.

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