Generazione Neet, non chiamateli giovani da divano

27 novembre 2022 | 08:39
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Generazione Neet, non chiamateli giovani da divano

Si fa presto a dire ‘neet’: sono giovani, non studiano e non lavorano, ma non sono svogliati. Sono fragili, sfiduciati ed esclusi da tutto.

Non studiano, non lavorano, non si integrano con la società, ma sono ragazzi tutt’altro che sdraiati: fragili, inoccupati e sfiduciati. Sono la generazione Neet, un vero e proprio “esercito” di ragazzi e ragazze. Perché non riescono a inserirsi nel lavoro? Affrontiamo il problema con il supporto del professore Ferdinando Di Orio, già rettore dell’ateneo aquilano e da anni in prima linea con l’associazione Veronica Gaia Di Orio, per contrastare la depressione giovanile.

I Neet in Italia attualmente sono 3 milioni e rappresentano l’11% della popolazione: sono laureati, diplomati che non hanno iniziato a lavorare dopo aver completato gli studi, “Esclusi da ogni possibilità per varie motivazioni, molte di carattere economico legate al nostro mercato. Rispetto ad altri Paesi in Europa da questo punto di vista siamo ancora molto penalizzati. Quello che si percepisce è una sensazione di incapacità a dare risposte a questi giovani, tendergli una mano in un momento così difficile e delicato per la loro vita”, spiega al Capoluogo.it il professor Ferdinando Di Orio che, va ricordato, è sensibile da sempre alle tematiche legate alla depressioni e ai disagi giovanili. Ha aperto a L’Aquila e ad Avezzano due centri di ascolto nel ricordo di Veronica Gaia Di Orio, promettente ricercatrice universitaria scomparsa prematuramente nel 2017.
Proprio sui giovani più fragili e sul rapporto tra inattività e livello d’istruzione inoltre si è concentrato l’ultimo rapporto presentato da ActionAid“Neet tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche”. E se i giovanissimi tra i 15 e i 19 anni diventano ‘Neet’ perché abbandonano la scuola, nella fascia tra i 25 e i 29 anni c’è un’alta percentuale di ex occupati che possiedono, al contrario, un alto livello di istruzione. Partendo da questo presupposto, il rapporto di Actionaid ha provato a scomporre il fenomeno, suggerendo che solo in questo modo sia possibile individuare nuove politiche pubbliche che tengano conto di tale complessità.

“È facile dire ‘Non vogliono fare nulla’, non è vero, tanti che si rivolgono ai nostri centri d’ascolto per avere una parola di conforto, non trovano l’opportunità pur cercando ogni giorno. le uniche ‘occasioni’ sono stage gratuiti, lavori a nero sottopagati, contratti di collaborazione senza alcuna possibilità di rinnovo, o ancora lavori a partita Iva senza nessuna tutela. Partono da esclusi, dopo aver speso denaro e risorse per studiare e formarsi, per approdare poi in un mercato che già così come è tutt’altro che dinamico”, continua Di Orio. “Diciamo in continuazione ai nostri giovani di impegnarsi di più, senza però dargli gli strumenti e assicurargli le prospettive adeguate per crearsi un loro posto nel mondo. Sono insoddisfatti della società, delle opportunità che hanno intorno.  Qualche anno fa si gettarono le basi per creare il progetto Garanzia Giovani, sembrava un’oasi felice, ma non ha funzionato. In Italia il programma di Bruxelles destinato ad ampliare le competenze dei Neet finora si è rivelato una missione fallita”. Infatti, nonostante il rifinanziamento della seconda fase con oltre 1,2 miliardi fino a fine 2020 – dopo gli 1,5 miliardi dei primi tre anni – dei risultati di Garanzia Giovani a oggi si sa poco o nulla. Se non che l’Italia continua a essere maglia nera in Europa con oltre 2 milioni di Neet sotto i 30 anni, superando i 3 milioni se si arriva a 34 anni.

Quale può essere quindi la soluzione per aiutare concretamente i giovani? “Innanzitutto dalle famiglie dovrebbe partire l’impulso a iniziare una terapia, un sostegno adeguato per rimanere in piedi e non sprofondare. Dal punto di vista pratico, cominciare a censire questa fascia di giovani nelle nostre città e creare degli incontri con la finalità di capire dove sia il ‘blocco’, creare una banca dati che vada a incrociare domande e offerte, anche perchè la maggior parte dei Neet in Italia è inattiva: non solo non studia, non si forma e non ha lavoro, ma non è in grado di trovare un’occupazione o di un’occasione formativa, perchè manca l’offerta adeguata. Dobbiamo fare qualcosa di concreto per le future generazioni adesso, e dobbiamo essere noi a farlo, altrimenti chi si occuperà di questa emergenza? Rischiamo di bollarli per sempre, di lasciarli vittime e prede del pregiudizio quando sappiamo benissimo che non lavorano e non studiano non per ignavia, ma per evidenti lacune e responsabilità di chi non è stato capace di creare le giuste opportunità. Entro in contatto ogni giorno con molti di loro  attraverso i nostri centri di ascolto e la sensazione diffusa e amareggiante è quella di trovarsi davanti una grande risorsa sprecata. È un’emergenza sociale di cui tutti noi dobbiamo farci carico, facendo ognuno la propria parte: non abbandoniamoli al loro destino, non giriamo la testa da un’altra parte. Esistono, sono il nostro futuro, sono e saranno sempre i nostri figli, i nostri amici, i nostri nipoti, che si aspettavano di più da una società che invece continua ad escluderli”.