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Falsi o veri poeti: è solo questione di buono o cattivo umore?

1 dicembre 2022 | 12:58
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Falsi o veri poeti: è solo questione di buono o cattivo umore?

Poesie sui social: un fenomeno caratterizzato da una martellante invasione per esempio su Facebook. Ne parliamo con Valter Marcone nell’appuntamento della rubrica le nuove stanze della poesia.

Falsi o veri poeti: è solo questione di buono o cattivo umore? Scrive poi Alfonso Berardinelli in Poesia e non poesia :”Già dire leggere è un eufemismo, perché leggere la maggior parte di queste poesie è difficile”.

Non meno difficile è quindi informarsi perché dai testi antologizzati si ricava poco, non bastano a farsi un’idea degli autori, mentre i libri interi sono ridondanti e fuori misura, perché dopo le prime pagine si sa già tutto. È un problema di consistenza? Il testo singolo non regge, sembra rimandare ad altro. Ma non regge neppure il libro, che si aggrappa, per esistere, a non più di tre o quattro poesie riuscite. Leggere poeti italiani contemporanei è quasi sempre esasperante. Non si capisce perché quella parola sta lì, non si capisce perché dopo quella frase c’è quell’altra, non si capisce perché si va a capo (ma questo è un vecchio problema della modernità), non si capisce perché il testo finisce a quel punto, non prima, non dopo. È veramente strano che con tante scuole di scrittura creativa, nessuno sia riuscito, in questi ultimi dieci anni, a insegnare il minimo di tecnica utile.

Una preoccupazione legittima che si fa veramente ingombrante di fronte all’inserimento di poesie nei social. Un fenomeno caratterizzato da una martellante invasione per esempio su Facebook ( con relative condivisioni e tag ) di continui inserimenti di poesie di ogni genere e di ogni autore. A valanga spesso senza alcuna citazione dell’opera da cui sono tratte specie per quanto riguarda poeti che fanno parte in qualche modo della storia della letteratura.

Allora la domanda che viene spontanea è capire da che parte sta la poesia, che cosa è la poesia e quali sono i veri e i falsi poeti. Molto è stato scritto su questo argomento ma probabilmente questo aspetto della riflessione inizia con la rottura totale di ogni equilibrio proprio con il primo libro ‘parolibero’ nella storia della Poesia. Ad opera di Marinetti e alla risposta data da Mallarmè con un’opera altrettanto di rottura ma con intenti del tutto opposti a quello di Marinetti . Sull’onda di quelle sperimentazioni ,ma che nulla hanno di sperimentale, spesso le poesie di oggi sono righe di prosa spezzettate e incolonnate al centro della pagina per dare l’apparenza di versi. Mancano infatti il ritmo e la musicalità, e una poesia senza ritmo e senza musicalità non è poesia. E soprattutto c’è una pletora ridondante di poeti sui social che fa pensare che quelli che scrivono poesia sono dieci volte di più in percentuale di quanti la leggono. Certo ,alzi la mano chi da adolescente non ha scritto una poesia. Composizioni scolastiche ma anche composizioni per il proprio imberbe primo amore o per avvenimenti, ricorrenze ,moti dell’animo. Ma da qui a mettere assieme un proprio linguaggio che mostri un segno significativo per suscitare le emozioni del lettore secondo me ce ne passa. Sui social si fa prima a cliccare su “ mi piace” che a leggere per intero una poesia e quindi a rifletterci sopra. E’ il destino di tutti noi che proponiamo poesia ,la nostra e quella degli altri. Senza tener conto che probabilmante per usare il titolo di un libro che ha riscosso abbastanza successo ed è stato per questo sicuramente letto da molti : “la poesia salva la vita”. Probabilmente scrivere una poesia ci aiuta in molti momenti della vita. Ma è il discorso della scrittura di sé , fondamentale per tutt’altre considerazioni, che qui non posso affrontare per ragioni di spazio, che determina appunto la necessità di scrivere. Scrivere per sé dunque con un timido obiettivo di condivisione che si limita alla testimonianza. E niente altro, solo questo e niente altro lo scrivere poesie nel novanta per cento dei poeti “ di giornata”.

Alessandro Carrera nel suo libro “I poeti sono impossibili” ci ricorda una cosa importante: Orazio, Francisco de Quevedo, Pietro Giordani, Osip Mandel’stam e Montale si erano espressi in proposito con analogo pessimismo.
Orazio lamentava che i poeti fossero innumerevoli. Quevedo scriveva che “Dio aveva mandato un’epidemia di poeti in Spagna per punirci dei nostri peccati; due secoli dopo Pietro Giordani si lamentava con Leopardi che ormai chiunque sapesse leggere e scrivere si riteneva in grado di impugnare carta e penna e gettar giù versi a profusione; Osip Mandel’stam constatava con scoramento l’esistenza di un miserabile esercito di poeti che aveva invaso la Mosca rivoluzionaria”. Montale scrisse che “se Guglielmo Giannini, invece di fondare il movimento dell’Uomo Qualunque, avesse fondato il partito del Poeta Qualunque, con obbligo dello Stato di stampare a proprie spese i versi di ogni cittadino, avrebbe mandato almeno un centinaio di deputati in Parlamento”.

Benedetto Croce, nel 1922, pubblicò un saggio intitolato Poesia e non poesia, nel quale già allora lamentava ‘l’individualismo arbitrario di artistico capriccio e di falsa genialità’, e dopo avere elencato i vari tipi di poesia (letteraria, oratoria, epica, tragica, popolare, erotica, prosastica e dialettale) sosteneva che quella dell’Alfieri, con tutto il vigore e la sapienza che lui ci metteva dentro e con la fama che s’era conquistato, era ‘oratoria appassionata’, ma non poesia. E quanto a Leopardi, il ‘poeta filosofo’, che ha commosso sino alle lacrime migliaia o milioni di giovani, diceva che la filosofia quando è ottimistica o pessimistica è pseudofilosofia, o ‘filosofia a uso privato’. E concludeva il suo discorso con una verità che è rimasta scolpita nella mia mente, e su cui dovrebbero meditare tutti, specialmente i politici e la Chiesa: ‘Di tutto si può dir bene o male, salvo che della realtà e della vita, la quale crea essa e adopera ai suoi fini le categorie del bene e del male, onde la lode o il biasimo che l’uomo infligge alla realtà non hanno nel fondo altra consistenza che quella di un moto passionale, cagionato da buono o da cattivo umore’”.

Scrivono su L’Opinione delle libertà Mario Scaffidi e Renato Siniscalchi a proposito della nascita della poesia e della sua storia secolare : “Sembra che la sua origine risalga al XVIII secolo avanti Cristo e che, non essendo ancora nata la scrittura, sia stata tramandata a voce. Il primo teorizzatore è stato Democrito di Abdera, che definiva il poeta un ‘invasato da uno spirito sacro’ e la Poesia uno ‘straniamento’, cioè l’uscire dalla ‘prosaicità’ della vita, un liberarsi dal suo quotidiano tran tran. Platone nell’Apologia di Socrate diceva che i poeti concepiscono le loro opere ϕύσει τινὶ καὶ ἐνθουσιάζοντες, spinti da un ‘entusiasmo’ proveniente da un dio. Come tutte le cose in ogni campo dell’attività umana, anche il concetto di Poesia nel corso dei secoli ha subìto dei mutamenti, specialmente nella letteratura italiana”.
“Ricordo che nel Seicento, in Italia, il fine della Poesia era la meraviglia: ‘È del poeta il fin la meraviglia, chi non sa far stupir vada alla striglia’, diceva Giambattista Marino”.
“In seguito il contenuto della Poesia divenne il ‘sentimento’, l’‘ideale’, a cui successivamente si contrapposero la ‘realtà’, il ‘sociale’ e così via. Ogni genere di poesia, infatti, ha una sua prerogativa particolare. Poi ci sono i poeti che badano ai contenuti e quelli che si preoccupano della forma, come Vincenzo Monti, definito da Leopardi ‘poeta dell’orecchio e della immaginazione, ma non del cuore’”. Fino a Zang Tumb Tuuum, di Marinetti, del 1914, è stato il primo libro ‘parolibero’ nella storia della Poesia. Spesso le poesie di oggi sono righe di prosa spezzettate e incolonnate al centro della pagina per dare l’apparenza di versi. Mancano infatti il ritmo e la musicalità, e una poesia senza ritmo e senza musicalità non è poesia.

“Scartando ora tutte le stupide definizioni e tutti i confusi verbalismi dei professori, io vi dichiaro che il lirismo è la facoltà rarissima di inebbriarsi della vita e di inebbriarla di noi stessi. La facoltà di cambiare in vino l’acqua torbida della vita che ci avvolge e ci attraversa. La facoltà di colorare il mondo coi colori specialissimi del nostro io mutevole…” (F.T. Marinetti, Ditruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà, in Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914; pag. 9).
E’ questo che distingue Zang Tumb Tuum da Un coup de dés… di Stéphane Mallarmé, pubblicato per la prima volta in volume qualche mese dopo, il 10 luglio 1914: Un coup de dès jamais n’abolira le hasard. Poème, a cura del genero Edmond Bonniot (Paris, Editions de la Nouvelle Revue Française). Un libro in grande formato 33×25 cm. la cui sobria copertina, giocata sul rosso e nero del titolo e dei filetti che lo inquadrano, caratteristica delle edizioni Gallimard, non lascia minimamente trasparire il contenuto: parole che si snodano nello spazio bianco della pagina a evocare silenzi assenze illuminazioni, sottratte all’obbligo di voler significare qualcosa. Mallarmé l’aveva concepito nel testo e nella disposizione tipografica nel 1897, pubblicandolo sulla rivista londinese Cosmopolis (n. 17, Londra, Armand Colin, maggio 1897, pp. 419-417):

L’intento di Mallarmé, anch’esso cruciale e concentrato sull’importanza della costruzione tipografica, è opposto a quello di Marinetti: in Mallarmé il rapporto fra testo e pagina tende a un ordine e a un equilibrio essenziali, giocato sul filo del nulla, una sorta di liberazione dal tedio della vita: il libro, per quanto sia perfido il gioco fra l’essere e il nulla, rimane contenitore di un pensiero. In Marinetti al contrario è coinvolgimento vitale, contaminazione dello spazio intellettuale da parte della realtà con la sua miscela di bene e male, bellezza e orrore, banalità e genio:
“Il libro deve essere l’espressione futurista del nostro pensiero futurista… Combatto in questo l’estetica decorativa e preziosa di Mallarmé e le sue ricerche della parola rara, dell’aggettivo unico, insostituibile, elegante, suggestivo, squisito… Combatto inoltre l’ideale statico di Mallarmé, con questa rivoluzione tipografica che mi permette di imprimere alle parole (già libere, dinamiche e siluranti) tutte le velocità, quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole e degli atomi” (F.T. Marinetti, Ditruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà, in Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914; pp. 25-26).