Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, poesie di guerra di Ungaretti

Le poesie di guerra di Giuseppe Ungaretti per l'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

La poesia sulla guerra più conosciuta di Giuseppe Ungaretti è “Veglia”

VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la bocca
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d’amore
Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.
Il poeta in questa poesia non contempla il corpo del suo commilitone morto con le mani congelate e la bocca storta nel rigor mortis ma scrive con i suoi versi una lettera d’amore alla vita. Non sono mai tanto attaccato alla vita. La volontà di vivere prende il sopravvento .
Giuseppe Ungaretti come altri intellettuali allo scoppio della Prima Guerra mondiale si arruolò, per far fede al suo interventismo nel 19° Reggimento di fanteria della Brigata “Brescia”. Combatté per due anni nelle trincee del Carso dove fu appunto combattuta una guerra di posizione e di logoramento .
In quei due anni scrisse sul suo taccuino le poesie pubblicate nel 1916 su interessamento del giovane ufficiale Ettore Serra che le fa stampare nella raccolta Il Porto sepolto. Le poesie di guerra faranno parte poi della raccolta , Allegria di naufragi del 1919 e segnano non solo l’inizio della sua fama letteraria ma quello di una vera e propria rivoluzione della poesia italiana.

SONO UNA CREATURA
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa pietra
Del S. Michele
Così fredda
Così dura
Così prosciugata
Così refrattaria
Così totalmente
Disanimata
Come questa pietra
È il mio pianto
Che non si vede
La morte
Si sconta
Vivendo.
Il poeta non è più un uomo in carne ed ossa. La sua natura è diventata simile a quella della dura e fredda pietra del monte S. Michele. Prosciugata e senz’anima . Non è più nemmeno capace di pianto. Non ci sono più nemmeno le lacrime che a volte in determinate situazione riescono a creare uno sfogo. Francesco Puccio autore di manuali di letteratura italiana scrive :
«La forza interiore e la calda umanità di un uomo che dinnanzi alle brutture della guerra non ha mai smesso di amare e di vivere in sé il dolore altrui; la storia di un uomo che ha assimilato sul corpo e sullo spirito le forme del paesaggio carsico. Un paesaggio arido, brullo, arso, impermeabile e disumanizzante che gli è rimasto scolpito nel cuore e gli ha prosciugato anche le lagrime per piangere» (pag. 444-445).

SAN MARTINO SUL CARSO
Valloncello dell’albero isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore
Il paese più straziato
La guerra arreca danni, distruzione e morte. Tra i morti i suoi commilitoni e la poesia ci dice tutto lo strazio e il dolore di quelle morti che sono ormai tante cicatrici nel suo cuore
GIROVAGO
Campo di Mailly maggio 1918
In nessuna
Parte
Di terra
Mi posso
Accasare
A ogni
Nuovo
Clima
Che incontro
Mi trovo
Languente
Che
Una volta
Già gli ero stato
Assuefatto
E me ne stacco sempre
Straniero
Nascendo
Tornato da epoche troppo
Vissute
Godere un solo
Minuto di vita
Iniziale
Cerco un paese
Innocente
Il poeta ora va alla ricerca di una vita prima di quella grande tragedia della guerra. Una vita di prima ,innocente e non in grado di nuocere. L’esperienza della guerra, le sue cicatrici, il dolore patito rappresentano per il poeta una condizione di vita che non gli permette ora e mai più di ambientarsi . Si sente straniero in un mondo in cui nessun paese è esente da quella belligeranza che tanti lutti e tanti dolori ha provocato. Il poeta stesso ci fornisce un’interpretazione personale di questa lirica.
«Girovago. Questa poesia composta in Francia dov’ero stato trasferito con il mio reggimento, insiste sull’emozione che provo quando ho coscienza di non appartenere a un particolare luogo o tempo. Indica anche un altro dei miei temi, quello dell’innocenza, della quale l’uomo invano cerca traccia in sé o negli altri sulla terra.» (da Vita d’un uomo pagina 526).
SOLDATI
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
D’autunno
Sugli alberi
Le foglie.
In questi brevi versi è espressa tutta la precarietà e l’attesa del soldato. La foglia sul ramo decimato, fragile e indebolita nel vento d’autunno che la minaccia, attende, caduca, vulnerabile come il soldato, dopo una lunga stagione di guerra.

L’allegria di naufragi è la raccolta di poesie più conosciuta . Viene pubblicata a Firenze, dall’editore Vallecchi, nel 1919. In essa, il poeta sviluppa il nucleo originario dei testi pubblicati ne Il porto sepolto nel 1916, in una rarissima edizione di sole ottanta copie, fatta stampare durante un congedo dal fronte. Una terza edizione del testo, con modifiche e varianti nei testi, è del 1923 quando l’autore recupera il titolo de Il porto sepolto. Ulteriori modifiche ci sono nell’edizione del 1931, il cui titolo è solo L’Allegria: da questo momento Ungaretti non smette mai di rimaneggiare e modificare il volume, pubblicandolo nuovamente nel 1931 (con il titolo L’Allegria), nel 1936 e nel 1942 (all’interno della raccolta Vita d’un uomo), fino ad arrivare alla versione del 1969, anno precedente a quello della morte del poeta. L’allegria di naufraghi è dunque un diario e quindi ha un valore anche autobiografico così come appare dalla scansione in capitoli dell’opera (rispettivamente: Ultime, Il porto sepolto, Naufragi, Girovago, Prime). Ungaretti qui esprimele sue prime prove poetiche che nella guerra poi trovano una prima stagione che evolverà in Sentimento del tempo. Ungaretti spiega e commenta l’origine e il significato dei titoli di due raccolte (Il porto sepolto e L’Allegria di naufragi), che vengono considerati strani dai lettori:
Verso i sedici anni, ho conosciuto due giovani ingegneri francesi i fratelli Thuile, Jean e Hanri Thuile. Mi parlavano di un porto, sommerso, che doveva precedere l’epoca tolemaica, provando che Alessandria era già un porto già prima d’Alessandro, che già prima di Alessandro era una città. Il titolo del mio primo libro deriva da quel porto: Il porto sepolto.(Da: Vita di un uomo)
In una nota alla poesia Il porto sepolto – la seconda della sezione dopo In memoria – Ungaretti approfondisce ulteriormente il significato della strana espressione precisando che il porto sepolto è ciò che di segreto rimane in noi, indecifrabile.

La parola, è per il poeta un veicolo fondamentale nella riscoperta dell’io, per cui quelle composizioni hanno una struttura particolare : liriche brevi e scarne in cui appunto la parola può svolgere il suo ruolo di palingenesi e di trasformazione di una esperienza di grande forza comunicativi. Sembra che tra una parola e l’altra ci sia un silenzio assordante . La parola nuda, dopo aver smontato ogni forma metrica risulta icastica .
LO stesso Ungaretti spiega il senso dell’espressione in un articolo sulla rivista «La Fiera Letteraria» del 1955: “Se la parola fu nuda è […] era perché in primo luogo l’uomo si sentiva uomo, religiosamente uomo, e quella gli sembrava la rivoluzione che necessariamente dovesse in quelle circostanze storiche muoversi dalle parole. Le condizioni della poesia nostra e degli altri paesi allora non reclamavano del resto altre riforme se non questa fondamentale”.
Una tecnica mutuata da Paul Valery e Stephane Mallarmè , una importante novità nella lirica italiana e che quindi influenzeranno in maniera significativa la poesia dei decenni successivi.
In definitiva ecco il giudizio di Giulio Ferroni professore emerito alla Sapienza che nel 1991 ha pubblicato una Storia della letteratura italiana nel volume Il Novecento scrive : “ . È la guerra mondiale che spinge il poeta (interventista e volontario) a un drammatico confronto con il proprio io di uomo e di combattente di fronte a una realtà esterna ostile e minacciosa, in cui la distruzione causata dalle azioni belliche sembra saldarsi con l’estraneità e l’ostilità della natura. La guerra appare come qualcosa di assoluto e ineluttabile, è il male che colpisce l’esistenza dell’uomo, a livello individuale collettivo. La poesia è l’unico mezzo per affermare la propria dignità e umanità, per ritrovare se stessi dopo la catastrofe. Il paesaggio delle aride petraie del Carso pone l’uomo di fronte alla sua fragilità, lo riporta al grado zero della vita.
In questo azzeramento dell’essere, l’io riafferma tragicamente la propria vitalità, insiste a cercarsi e a cercare valori segreti e inafferrabili (attraverso le analogie che sa trovare tra la sua stessa condizione e le diverse apparenze del paesaggio), ad attaccarsi a brandelli di illusioni che permettano la sopravvivenza (“Ungaretti / uomo di pena / ti basta un’illusione / per farti coraggio”)»

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888. Nel 1912 si trasferisce a Parigi. Interventista, si arruola volontario e combatte sul Carso dove scopre ben presto il dramma della guerra. Nel 1918 combatte sul fronte francese. Nel 1916 pubblica, grazie all’amico Ettore Serra, Il porto sepolto in 80 esemplari. Nel 1919 pubblica Allegria di naufragi. Nel 1923 ripubblica le poesie di Allegria di naufragi con il primo titolo, Il porto sepolto, con la prefazione di Benito ussolini. Nel 1936 si trasferisce a San Paolo del Brasile a insegnare letteratura italiana e nel 1942 torna in Italia, nominato Accademico d’Italia e professore per “chiara fama” di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università “la Sapienza” di Roma. Torna a scrivere poesie sull’insensatezza della guerra nella raccolta Il Dolore del 1947. Nel 1969 l’intera opera poetica è raccolta col titolo Vita d’un

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