Politica

Mancati risarcimenti per ingiusta detenzione nell’interrogazione di Ilaria Cucchi, Giulio Petrilli: “Motivo di soddisfazione”

Interrogazione a risposta scritta sui mancati risarcimenti per ingiusta detenzione a firma dei senatori Ilaria Cucchi e Giuseppe De Cristofaro.

Presentata un’interrogazione a risposta scritta sui mancati risarcimenti per ingiusta detenzione a firma dei senatori Ilaria Cucchi e Giuseppe De Cristofaro.

La senatrice Ilaria Cucchi e il Senatore Giuseppe De Cristofaro di Sinistra  Italiana Verdi hanno presentato oggi una interrogazione a risposta scritta al Ministro della Giustizia Nordio. Lo rende noto Giulio Petrilli, portavoce del “Comitato per il risarcimento per ingiusta detenzione a tutti gli assolti”. “Il tema – spiega Petrilli – è appunto relativo ai i mancati risarcimenti per ingiusta detenzione. Entrambi sviluppano una riflessione importante sul tema. Oltre alla mia vicenda personale, prestano attenzione alle persone invisibili che seppur assolte non hanno avuto nessun risarcimento. Al di là di come finirà questa battaglia, è motivo di soddisfazione politica e umana il fatto che Ilaria Cucchi e Giuseppe De Cristofaro abbiano fatto questa interrogazione. Danno a me e tanti altri tanta forza per andare avanti”.

Il testo dell’interrogazione

Premesso che:
il diritto alla riparazione per la ingiusta detenzione è riconosciuto, in particolare, dall’art. 24, comma 4, Cost. secondo il quale è previsto che la legge determini «le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari», ammettendo in via implicita l’ineliminabile fallibilità dello Stato ed imponendo, contestualmente, l’obbligo di rifondere il pregiudizio provocato contra ius;
quanto al profilo sovranazionale, l’art. 5, §5, CEDU e l’art. 9, §5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici riconoscono il diritto ad una riparazione (enforceable right to compensation) a chiunque sia stato illegittimamente arrestato o detenuto;
il concetto di “riparazione” – prescelto dal legislatore costituzionale – è poi confluito negli artt. 314 e 643 c.p.p. relativi alla riparazione, rispettivamente, per l’ingiusta detenzione e dell’errore giudiziario;
nel dettaglio, il codice di rito riconosce tale diritto in due diverse ipotesi: l’una, sancita dagli artt. 314 e 315 c.p.p., opera qualora la restrizione della libertà personale, subìta per ragioni cautelari, si sia rivelata ex post infondata nel merito ovvero risulti applicata in assenza delle condizioni di legge; l’altra, disciplinata dagli artt. 643 e ss. c.p.p., mira a ristorare il soggetto che, condannato con sentenza irrevocabile, sia stato successivamente prosciolto in sede di revisione;
in relazione alla riparazione per ingiusta detenzione, il primo comma dell’art. 314 c.p.p. legittima a proporne l’istanza colui il quale sia stato ristretto a fini cautelari, senza avervi dato causa o concorso a dare causa per dolo o colpa grave, e successivamente sia stato prosciolto nel merito, in via definitiva, con una delle formule tassativamente previste dalla stessa norma. Il secondo comma del medesimo articolo, invece, estende il ristoro in favore del soggetto prosciolto per qualsiasi causa nonché a beneficio del condannato, qualora risulti, con decisione irrevocabile, che la misura cautelare custodiale è stata applicata o mantenuta in assenza delle condizioni imposte dagli artt. 273 e 280 c.p.p.;
com’è intuibile, la platea dei potenziali beneficiari del rimedio in esame risulta particolarmente estesa, tanto più che per espressa previsione normativa, infatti, le due «patologie» contemplate dal richiamato art. 314 c.p.p. operano anche in favore di soggetti destinatari di un provvedimento di archiviazione ovvero di una sentenza di non luogo a procedere;
da numerose fonti di stampa si apprende che dal 1991 al 31 dicembre 2021 i casi di ingiusta detenzione ammonterebbero a oltre 30 mila: in media, circa mille l’anno;
dai dati contenuti nella Relazione annuale sulle “Misure cautelari personali e riparazione per ingiusta detenzione – 2021” presentata lo scorso anno al Parlamento dal ministero interrogato, emerge che i provvedimenti di riparazione per ingiusta detenzioni nel 2020 siano stati 750, mentre nel 2021 si sono fermati a 565 ed è diminuito anche l’importo medio corrisposto: è stato pari a poco più di 43mila euro, a fronte dei quasi 50mila euro del 2020;
di contro, non si hanno notizie numeriche precise circa le persone che, pur assolte, non hanno potuto usufruire di questo beneficio perché ritenuti, non risarcibili in ragione della particolare condotta tenuta, caratterizzata da dolo o colpa, come disposto dal primo comma dell’art. 314 quale elemento ostativo al risarcimento;
fonti di stampa riportano di migliaia di persone dall’introduzione della norma, ma parrebbero non esistere dati certi e ufficiali.

Considerato che:
la norma sull’ingiusta detenzione risponde ad un dovere di giustizia e umanità che lo Stato deve assumere, anche in conformità con i principi costituzionali con particolare riferimento a quelli espressi attraverso l’art.24 Cost.;
la procedura presenta molteplici criticità, fra tutte il numero eccessivamente elevato di richieste respinte rispetto a quelle ritualmente presentate, anche a causa dell’ampio margine di discrezionalità che il comma 1 dell’articolo 314 c.p.p. riconosce al Giudicante;
occorre tutelare le prerogative dei magistrati incaricati presso le corti d’appello, a cui è affidata la competenza e la responsabilità di valutare le istanze; occorre altresì riconoscere e tutelare il diritto al risarcimento di migliaia di individui che hanno patito disagi e sofferenze a causa dell’ingiusta detenzione;
da ultimo, particolarmente significativo risulta essere il caso dell’aquilano Giulio Petrilli, arrestato il 23 dicembre del 1980, a 21 anni, con l’accusa di partecipazione a banda armata per un presunto coinvolgimento nell’organizzazione terroristica Prima Linea;
detenuto per 5 anni e 8 mesi, nel regime speciale riservato ai terroristi, è stato poi assolto dai giudici della Corte d’Appello e tale proscioglimento è divenuto definitivo in Cassazione nel 1989;
ciononostante, la sua richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione è stata sempre negata proprio in base al primo comma dell’articolo 314 del Codice di procedura penale poiché avrebbe avuto frequentazioni “poco raccomandabili” e quindi adottato una condotta in qualche modo definibile “colposa”;

tutto ciò premesso e considerato, si chiede di sapere:
se non ritenga opportuno intervenire per avviare le interlocuzioni necessarie alla modifica della norma contenuta nell’art. 314 del codice di procedura penale, introducendo una formulazione che consenta l’effettivo risarcimento di tutti coloro che hanno subito un’ingiusta detenzione, limitando al contempo la discrezionalità del Giudicante nella valutazione della condotta tenuta dal detenuto;
quali altre azioni intenda adottare per rendere il procedimento di risarcimento per ingiusta detenzione celere ed efficace, nel rispetto delle prerogative costituzionali nazionali e internazionali.

Ilaria Cucchi, Giuseppe De Cristofaro.

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