Natale 2022 - l'approfondimento

Natale, quanto ci costi: il consumismo sfrenato rischia di farci dimenticare i riti

Quante cose abbiamo acquistato per questo Natale? Le festività, non solo natalizie, segnano il trionfo del consumismo. "Non usiamo più le cose, ma le consumiamo. Con il rischio che queste consumino noi".

Gli addobbi, la musica, le luci, i pacchi regalo curati nei minimi dettagli: a Natale la parola d’ordine sembra sempre sola una. Comprare. Tra regali, nuovi abiti, calzature e prodotti tipici, le festività natalizie hanno un grande protagonista: uno sfrenato consumismo. “Si consuma e non si usa più. Così si perdono riti e tradizioni”.

Quante cose abbiamo acquistato per questo Natale? E per quello scorso? Probabilmente tantissime e la storia si ripete, di anno in anno.
L’atmosfera del periodo, del resto, sembra ormai portare tutti sulla stessa strada. Quella di un consumismo inarrestabile, tra doni per le persone care, nuovi abiti per trascorrere momenti speciali insieme, prodotti ed eccellenze da gustare a tavola, immersi in giochi a carte e tombolate. Allora si spende, perché Natale del resto c’è una volta l’anno. E anche quell’oggetto ancora poco usato, diventa vecchio e da sostituire con un nuovo arrivo. Il consumismo tipico del Natale si lega all’assenza di riti“: l’intervista alla psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.

L’assenza dei rituali

Il consumismo e l’assenza di una vita simbolica, fatta di riti, ci privano della capacità di pensarci nel mondo e di sentirci parte di una comunità. Il Natale, forse il momento più intimo e spirituale – autentica occasione di riflessione sul senso della vita – è anche il momento che segna l’arrivo di un messaggio di nuova speranza. Ma il rito, nell’ottica di questa festa, ad oggi che posizione occupa? Considerandoli come un’azione simbolica che tramanda e rappresenta quei valori alla base di ogni comunità, i riti riescono a creare una comunità senza comunicazione. Ma forse, oggi, domina una comunicazione senza comunità“, illustra l’esperta alla nostra redazione.

Il simbolo, dal greco symbolon, indica originariamente il segno di riconoscimento tra ospiti. L’ospite spezza a metà una tavoletta d’argilla e ne dà un pezzo all’altra persona, in segno di ospitalità appunto. In tal modo il simbolo serve per il riconoscimento.
La percezione simbolica, intesa come riconoscimento, percepisce ciò che dura; oggi il mondo è povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica, per cui non consentono il riconoscimento. Regna l’omologazione, il confondersi di identità. Di conseguenza, viene sempre meno la differenziazione, a causa di un ‘consumismo’ che implica necessariamente mostrare un habitus senza identità. Questo è il prodotto del consumismo che dà vita al vuoto: un vuoto disfunzionale. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità, stabilizzando la vita. L’esperienza della durata diminuisce, mentre la contingenza aumenta radicalmente. Perché proprio i riti sono nel tempo e lo rendono abitabile“.

I riti per riempire il tempo di ognuno, quindi, e per dare senso e stabilità alla vita.

“Parafrasando Antoine de Saint-Exupéry – continua Chiara Gioia –potremmo dire che i riti sono nella vita ciò che le cose sono nello spazio. Per Hannah Arendt è la resistenza delle cose a offrire loro un’«indipendenza dagli uomini».
Le cose hanno «la funzione di stabilizzare la vita umana». L’attuale coazione a produrre sottrae alle cose la loro resistenza: essa distrugge consapevolmente la durata allo scopo di produrre di piú, di costringere a un maggior consumo.

E dal momento che la stessa coazione a produrre destabilizza la vita, smontando ciò che dura nella vita stessa, essa distrugge anche la resistenza della vita, sebbene quest’ultima si allunghi. Lo smarthphone oggi è emblema del consumismo: basti pensare che i suoi contenuti mediali, che richiamano di continuo la nostra attenzione, sono l’esatto contrario del sé. Sono l’enfasi del collettivo, soffocano sempre più il processo d’individuazione di ogni singolo. Il suo cambiare rapidamente non consente alcun indugio”.

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Il consumismo: da utilizzatori a consumatori. Cosa è cambiato?

L’inquietudine propria di un apparecchio come lo smartphone lo rende una non-cosa. Inoltre, il suo utilizzo diventa costrittivo, invece da un oggetto non dovrebbe scaturire alcuna costrizione. Sono le forme rituali che, come la cortesia, rendono possibile non solo un bel rapporto interpersonale, ma anche un bel rapporto delicato, rispettoso, funzionale con le cose. Secondo l’ottica del rituale, le cose non vengono consumate o spese, bensí usate: cosí possono anche invecchiare. In preda alla coazione a produrre, invece, ci rapportiamo alle cose e al mondo non come utilizzatori, bensí come consumatori. Di ritorno, le cose e il mondo consumano noi.
Il consumo senza limiti destabilizza la vita
– conclude Chiara Gioia – Le pratiche rituali fanno sí che ci rapportiamo armoniosamente non solo con le altre persone, ma anche con tutto ciò che l’uomo stesso produce”.

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