Le nuove stanze della poesia, Emily Dickinson e la pace

5 gennaio 2023 | 14:11
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Le nuove stanze della poesia, Emily Dickinson e la pace

L’appuntamento con la rubrica di Valter Marcone, Le nuove stanze della poesia: le poesie della pace di Emily Dickinson.

L’appuntamento con la rubrica di Valter Marcone, Le nuove stanze della poesia: le poesie della pace di Emily Dickinson.

La pace a volte significa pace interiore, quando affrontiamo lotte interiori. Nella sua poesia in due strofe, qui rappresentata con più punteggiatura originale rispetto ad alcune raccolte, Emily Dickinson usa l’immagine del mare per rappresentare le onde della pace e della lotta. La poesia stessa ha, nella sua struttura, qualcosa del flusso e riflusso del mare.
A volte la pace sembra esserci, ma come quelli su una nave naufragata potrebbero pensare di aver trovato terra in mezzo all’oceano, può anche essere un’illusione. Molti avvistamenti illusori di “pace” arriveranno prima che venga raggiunta la vera pace.
La poesia doveva probabilmente essere sulla pace interiore, ma la pace nel mondo può anche essere illusoria.

Molte volte ho pensato che la pace fosse arrivata
Quando la pace era lontana …
Come gli Uomini Distrutti – ritengono che avvistino la Terra –
Al centro del mare
E lottare fannullone, ma per dimostrare
Disperatamente come io …
Quante coste fittizie –
Prima che il porto sia …

A proposito della guerra russo ucraina, la domanda che da tempo tutti si pongono è: quante possibilità ci sono per una pace in Ucraina? Arriverà la pace per questo popolo e questa terra alle porte dell’Europa. Il 24 febbraio le truppe della  Russia sono entrate nel territorio ucraino scatenando la guerra  alle porte dell’Europa. «Ci sarà un inevitabile rallentamento delle operazioni belliche dovuto al freddo. La sfida per la diplomazia è che questo rallentamento possa trasformarsi in dei cessate il fuoco negoziati.” In realtà, dopo dieci mesi di  guerra, nemmeno le festività   natalizie hanno portato ad un rallentamento delle operazioni belliche. Anzi dopo la notte di capodanno  in cui  durante una pioggia di fuoco anche su Kiev, con 42 obiettivi aerei – 41 droni e un missile – lanciati dai russi,  gli ucraini hanno risposto e hanno colpito “un alloggio militare” russo a Makiivka, nella regione di Donetsk occupata dalle forze di Mosca. Secondo i media ucraini sarebbero morti centinaia di soldati russi, si parla di seicento militari,  mentre il ministero della Difesa di Mosca riferisce di 63 vittime confermate. Strage a cui  i russi stanno rispondendo con una intensità di fuoco  rinnovata . Una situazione che allontana. a detta del ministro degli esteri turchi ,le poche speranze di pace anche se Erdogan  ha in agenda colloqui  a questo scopo con Putin e Zelensky.
Intanto il Presidente Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno agli italiani ricorda così questa guerra. “Il 2022 è stato l’anno della folle guerra scatenata dalla Federazione russa. La risposta dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente è stata un pieno sostegno al Paese aggredito e al popolo ucraino, il quale con coraggio sta difendendo la propria libertà e i propri diritti. (…)Si prova profonda tristezza per le tante vite umane perdute e perché, ogni giorno, vengono distrutte case, ospedali, scuole, teatri, trasformando città e paesi in un cumulo di rovine.  Vengono bruciate, per armamenti, immani quantità di risorse finanziarie che, se destinate alla fame nel mondo, alla lotta alle malattie o alla povertà, sarebbero di sollievo per l’umanità. Di questi ulteriori gravi danni, la responsabilità ricade interamente su chi ha aggredito e non su chi si difende o su chi lo aiuta a difendersi. Pensiamoci: se l’aggressione avesse successo, altre la seguirebbero, con altre guerre, dai confini imprevedibili. Non ci rassegniamo a questo presente. Il futuro non può essere questo. “
Una guerra per la quale auspica una pace a cui aspira l’intera Europa ma nella giustizia e nella libertà .”La pace è parte fondativa dell’identità europea e, fin dall’inizio del conflitto, l’Europa cerca spiragli per raggiungerla nella giustizia e nella libertà. La speranza di pace è fondata anche sul rifiuto di una visione che fa tornare indietro la storia, di un oscurantismo fuori dal tempo e dalla ragione. Si basa soprattutto sulla forza della libertà. Sulla volontà di affermare la civiltà dei diritti. “

Il futuro della pace. Proprio come afferma la Dickinson un fluire e rifluire come le onde del mare. Da sempre in un moto quasi perpetuo. Secondo il Global Peace Index l’indice globale stilato  dall’Institute for Economics and Peace, che classifica 163 Stati in base ai loro livelli di pace.  Il mondo è stato un po’ meno violento nell’ultimo anno rispetto al precedente. Siamo insomma di fronte a un mondo sempre più diviso, con aree di conflitto “dimenticate” dove la situazione peggiora, spingendo chi ci vive a fuggire altrove. Siria, Libia, Iraq, Sud Sudan, Yemen e Afghanistan sono i Paesi dove la violenza è aumentata in modo più allarmante.
Un mondo tra pace e guerra come ci ricorda Lucio Caracciolo direttore di Limes che dice:  “Se il mare attorno a noi s’incendiasse e la circolazione da e verso gli oceani ne fosse pregiudicata, il nostro Paese si troverebbe a lottare per la sopravvivenza”  scrivendolo a chiare lettere  in “La pace è finita”  (Feltrinelli, 2022), un attento, informatissimo e riflessivo pamphlet  che mette in guardia gli Stati, a partire dal nostro, dalla confortevole quanto perniciosa illusione che ci si possa disinteressare di geopolitica.
Il libro si chiude con l’invito a trarre spunto dal realismo del trattato di Versailles “prima che la guerra in Ucraina dilaghi fuori controllo o che scoppi il conflitto per  Taiwan ” non necessariamente per arrivare a una “vera pace – orizzonte coperto da troppe nubi – ma verso una successione di tregue e intese limitate, sulla base della garanzia reciproca non scritta ma effettiva della rinuncia a sovvertire il regime avverso, fosse solo per non doversi caricare i costi della gestione di un popolo umiliato e offeso”. Con l’auspicio che l’Italia possa promuovere un tale percorso.

Guerra e pace. “Molte volte pensavo che la pace fosse arrivata” e molte volte nella storia dell’umanità ci si è dovuti ricredere.
“Com’è tutto silenzioso, quieto e solenne, non come quando correvo, – pensò il principe Andrej, – non come quando correvamo, gridavamo e ci battevamo; non come quando il francese e l’artigliere si contendevano lo scovolo, con le facce furiose e spaventate: le nuvole scorrono in modo completamente diverso in questo cielo alto e infinito. Ma come ho fatto a non vederlo prima, questo cielo alto, e come sono felice di averlo finalmente conosciuto. Sì! Tutto è vano, tutto inganno, tranne questo cielo infinito. Non c’è niente, niente all’infuori di questo. Ma non c’è neppure questo, non c’è nient’altro che silenzio, pace ritrovata. E grazie a Dio!”. “È sempre guerra”. Irreparabile e dolente la conclusione di Lev Tolstoj in “Guerra e Pace”, l’epopea narrativa più autentica della letteratura moderna, sullo sfondo della crisi europea degli inizi dell’Ottocento.
Scrive  Giuseppe Panissidi il 4 Aprile 2022 su Micromega : “Molti decenni prima, nel 1795, al culmine dell’Aufklärung, l’Illuminismo in Germania, aveva visto la luce uno straordinario progetto sulla “pace perpetua”. Nasceva dall’idea profonda di Immanuel Kant, secondo cui l’uomo tende per natura al mantenimento della vita e alla realizzazione dell’umanità sotto la guida della legge morale, ovvero della “ragion pratica”. Dunque, una condizione stabile di pace non solo è conforme alla natura, ma costituisce altresì un dovere per l’uomo.
Se non che – punctum dolens – sul piano ideale e teorico, il progetto filosofico-politico sconta tutta l’impervietà dello statuto dell’umano, dal momento che la pace perpetua non può che concretarsi in un trattato fra nazioni, finalizzato all’istituzione di un ordinamento cosmopolitico, volto a liberare il mondo dalla guerra e a sottometterlo alla sovranità della legge e del diritto. “
L’autore esamina in un lungo excursus tutte le idee  su questo tema da quelle di Rouseeau ,richiamando Dante e poi Erasmo  e le idee della rivoluzione francese fino ad Hegel e Habermas. Insomma un modo per dire con Erasmo del Lamento della pace:   “La grande maggioranza dei popoli detesta la guerra e invoca la pace. Sono ben pochi oramai coloro la cui empia infelicità dipende dall’infelicità generale, e dunque bramano la guerra. Se sia giusto o meno che la loro malvagità prevalga sull’aspirazione di tutti i buoni, giudicatelo voi stessi. Vedete che fino ad ora si sono mostrati inutili i trattati, inconcludente la forza, la punizione. Adesso provate invece quale non sia l’efficacia della concordia e della generosità. Da guerra nasce guerra, vendetta provoca vendetta. Adesso sia la bontà a generare bontà, la generosità solleciti ad essere generosi, e si giudichi più regale chi avrà rinunciato ai propri diritti”.

Così, ante litteram, Kant opera la demarcazione sostanziale tra la pace e la guerra, e concepisce la tregua come una parentesi, una situazione tipica della guerra. Nella quale, infatti, una volta terminate le ostilità, permane la minaccia che possano riaprirsi, sul versante della e come guerra. Soltanto nella guerra si può verificare la tregua. Dunque, la tregua, per quanto prodromica, nelle condizioni date, resta altro dalla pace. Kant non era un utopista, almeno non nel senso usuale del termine, lucidamente consapevole, com’era, che il solo imperativo della ragione non è sufficiente a persuadere il “legno storto” dell’umanità a cercare la pace.

Epperò, è alla pace che va annesso quell’alto valore morale che un’improvvida tradizione culturale attribuisce invece alla guerra, che, nel testo di G. F. Hegel, “preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua”. Il conflitto, quale modalità della relazione tra uomini e Stati, la vittoria, la sconfitta non sono i soli modi in cui possa dispiegarsi la Ragione. E la Storia, nella sua ricca complessità, non si identifica univocamente con un “tribunale” che sancisce come la guerra debba essere la risolutrice dei conflitti tra gli Stati, nel “regno animale dello Spirito”, alla stregua della metafora speculativa hegeliana.

Dice il Dizionario Treccani sulla vita di Emily Dickinson : Poetessa nata a Amherst (Massachusetts) il 10 dicembre 1830 e morta ivi il 15 maggio 1886. Visse una vita priva d’eventi esteriori, a parte la crisi d’una repentina passione nel 1854, per un ecclesiastico più anziano e ammogliato, Charles Wadsworth, passione cui la D. reagì, soffocandola e conducendo da allora in poi vita segregata.
Solo quattro delle sue poesie furono pubblicate, non per sua iniziativa, mentre visse; solo con l’edizione postuma dei Poems, Boston 1890, s’iniziò lenta la fama, che doveva salire ad altezze prodigiose col 1924, in occasione della pubblicazione della sua vita e delle sue lettere, e più col 1929, alla scoperta di un cospicuo gruppo di poesie inedite (Further Poems)
Una interessante ricostruzione della sua biografia e del valore  letterario delle sue poesi si può leggere  nell’articolo di  Eva Luna Mascolino  del  2 dicembre 2022 su Il Libraio .it   che appunto  mette in evidenza tra le altre cose : “Quando, dopo il suo decesso, la sorella scopre in un cassetto della sua stanza un plico di fogli piegati e cuciti fra loro con ago e filo, viene improvvisamente alla luce la prolifica e sorprendente produzione di Emily Dickinson (si parla di quasi 1800 componimenti), a lungo contesa fra la sua famiglia natale e Susan Gilbert, con il risultato che solo nel 1955 esce la prima edizione critica di tutte le sue poesie a cura di Thomas H. Johnson, seguita nel 1998 da una revisione delle sue liriche a cura di Ralph W. Franklin.