Cultura

Tutti i Santi giorni, 17 gennaio: oggi si festeggia Sant’Antonio abate

"Tutti i Santi giorni" del 17 gennaio: Sant'Antonio abate, la devozione e l'opera di Saturnino Gatti.

“Tutti i Santi giorni” del 17 gennaio: Sant’Antonio abate, la devozione e l’opera di Saturnino Gatti.

Il 17 gennaio ricorre la memoria di Sant’Antonio abate. Per la grande devozione sviluppatasi attorno al Santo, viene indicato popolarmente anche con altri nomi: Sant’Antonio il Grande, Sant’Antonio d’Egitto – sua terra d’origine -, Sant’Antonio del Fuoco, Sant’Antonio del Deserto o Sant’Antonio l’Anacoreta. È considerato l’iniziatore del monachesimo cristiano e a lui si deve la costituzione in forma permanente delle prime famiglie di monaci che, sotto la guida di un padre spirituale (abate, dall’arabo abbà), si consacrano al servizio di Dio.
Principale fonte agiografica è la Vita Antonii pubblicata nel 357 da Sant’Atanasio, vescovo di Alessandria aiutato proprio da Antonio a combattere l’eresia ariana. Altro riferimento alla vita del Santo si trova nella Vita Sanctii Pauli primi eremitae scritta da San Girolamo verso il 375, in cui si narra dell’incontro nel deserto della Tebaide tra Sant’Antonio e San Paolo di Tebe. Il racconto venne successivamente ripreso nei resoconti medievali della vita dei santi, in primis nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Nato a Coma in Egitto intorno al 251, figlio di agiati agricoltori cristiani, rimase poco più che maggiorenne orfano, con un ingente patrimonio da amministrare, ma ben presto capì che non era quella la sua vocazione. Distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella a una comunità femminile, seguì le orme ascetiche di altri anacoreti e si ritirò a vivere nel deserto egiziano dedicandosi alla preghiera, alla povertà e alla castità.
La fama del suo ascetismo divenne fonte di disturbo alla anelata quiete, tanto che fu costretto a riprendere almeno in parte i contatti con il mondo nella veste di predicatore e taumaturgo. Celebri sono i racconti dei tormenti derivati da tentazioni fortissime cui era sottoposto e che riuscì a sconfiggere solo ritirandosi, coperto da un misero panno, in una tomba scavata nella roccia nei pressi del villaggio di Coma. Questo sarebbe il luogo in cui venne aggredito e percosso dal demonio.
Sant’Antonio si spostò poi verso il Mar Rosso sul monte Pispir, nei pressi di una fortezza romana abbandonata, dove visse ritirato per 20 anni, nutrendosi unicamente del pane che gli veniva calato dalla torre due volte l’anno. Raggiunto anche qui dai devoti, fu costretto a rinunciare all’ascesi e a dedicarsi a lenire i sofferenti operando guarigioni ed esorcismi. Diventò padre spirituale di numerose comunità monastiche ritirate in grotte e anfratti, sotto la guida di un eremita più anziano e con Antonio come padre spirituale. In questo modo contribuì all’affermarsi del cenobitismo, la forma comunitaria di vita monastica praticata all’interno di monasteri sotto la guida di un’autorità spirituale, in contrapposizione all’ideale di vita eremitica propria dell’anacoretismo.
Dopo un lungo peregrinare si ritirò presso il Mar Rosso dove pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì, ultracentenario il 17 gennaio del 357. Nel 561 le sue reliquie furono traslate ad Alessandria d’Egitto presso la chiesa di San Giovanni e spostate verso il 635 a Costantinopoli. Nel XI secolo il nobile francese Jocelin de Chateau Neuf le ottenne in dono dall’imperatore e le portò in Francia, dove sono custodite dal 1070 nella chiesa del villaggio di La Motte presso Vienne.

sant'antonio tutti i santi giorni

Il “fuoco di sant’Antonio”.

Si è visto che molti erano i malati che accorrevano per chiedere grazie e salute al Santo, in modo particolare perché afflitti dal fuoco sacro o male degli ardenti, noto anche come fuoco di Sant’Antonio. Si tratta di una malattia provocata da una intossicazione alimentare causata da un fungo che contaminava la segale e che causava febbri altissime, accompagnate da allucinazioni, deliri e bruciori insopportabili.
Anche l’herpes zoster e l’erisipela vengono chiamate comunemente fuoco di Sant’Antonio, patologie caratterizzate da esantemi cutanei molto dolorosi, curate in antichità con il grasso del maiale. Questi animali erano nutriti a spese della comunità e circolavano liberamente nei paesi con al collo una campanella ed è proprio da questa usanza che prende piede l’iconografia del Santo con accanto il maiale con il sonaglio.
La popolarità del Santo spiega la grande diffusione nell’arte delle immagini devozionali. Sant’Antonio fu presto invocato in Occidente come patrono dei macellai e salumai. Nel periodo medievale, il culto trovò espansione per opera dell’ordine degli Ospedalieri Antoniani, che contribuirono a definirne l’iconografia: essa ritrae il santo ormai anziano, mentre incede scuotendo un campanello – come facevano gli Antoniani -, in compagnia del maiale da cui ricavavano il lenimento per il succitato fuoco. Il bastone da pellegrino impugnato dal Santo termina talvolta con una croce a forma di tau che gli Antoniani portavano cucita sul loro abito.

Sant’Antonio Abate e l’Abruzzo, tradizioni e riti propiziatori

Sant’Antonio è inoltre raffigurato in relazione alle tentazioni demoniache, che nell’arte acquistano le più svariate forme, passando dall’oro, alle lusinghe muliebri, per finire alla lotta contro i demoni. Talvolta sullo sfondo compaiono fuochi, rimando appunto alle malattie che prendono impropriamente il suo nome. In realtà è probabile che il riferimento al fuoco sia da attribuire al racconto che vuole Sant’Antonio disposto a recarsi tra le fiamme dell’Inferno per contendere al demonio le anime dei peccatori. Per questo, tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco vengono posti sotto la protezione di sant’Antonio.
È invocato come protettore delle attività agricole (i demoni si premunivano di devastare l’orticello che Sant’Antonio coltivava per il proprio sostentamento) e dell’allevamento: il 17 gennaio è tradizione in molti luoghi benedire gli animali e le stalle e porle sotto la protezione del Santo.

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Nell’immagine di copertina, la terracotta policroma di Sant’Antonio Abate, opera del 1512 di Saturnino Gatti. La statua, a seguito del sisma del 2009, era ridotta in circa 800 frammenti, alcuni microscopici, salvati dalle macerie del Castello dell’Aquila, sede del Museo Nazionale d’Abruzzo. Dopo una preliminare catalogazione dei frammenti e accertata la possibilità di ricomporre la terracotta, ha preso l’avvio un lungo e meticoloso restauro che ha dato vita a un iniziale impensabile livello di leggibilità del manufatto. I tre moduli che compongono la statua sono stati ancorati a una struttura di sostegno mobile, in grado di compensare eventuali movimenti causati da altri fenomeni sismici. L’opera è tutt’ora conservata presso il MuNDA. Intervento di restauro è stato eseguito a cura del Consorzio Le Arti (Dott.sse Antonella Amoruso, Elisabetta Biscarini, Giulia Cervi, Silvia Pissagroia); la struttura di sostegno realizzata dall’Ing. Giovanni Santinelli. RUP Dott.ssa Anna Colangelo, Direttore dei lavori Dott.ssa Caterina Dalia.

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