Dal post sisma a L’Aquila al terremoto in Turchia, la storia di Halime

“Migliaia di persone dormono per strada: ponti, strade, aeroporti distrutti”. Halime, studentessa in Erasmus a L’Aquila nel 2011, racconta il dramma del sisma in Turchia.
“Non avrei mai immaginato di vivere un’esperienza come quella del sisma in Turchia, dopo aver sentito i tanti racconti degli amici aquilani che mi hanno fatta sentire a casa durante l’Erasmus nel 2011. Ho trovato affetto, accoglienza, ho visto che ce la stavate facendo. Spero davvero che adesso anche il mio popolo riesca a rialzarsi, nonostante la distruzione, la morte, la devastazione di queste ore”. Una storia che racconta il dramma che sisma in Turchia e che si intreccia con la vita successiva al 6 aprile a L’Aquila.
Lei è Halime, è una giovane turca che era venuta in città per studiare nel 2011 e aveva sentito i tanti racconti di chi ce l’aveva fatta, si era salvato per un colpo di fortuna o semplicemente perchè era destino. Dopo questa esperienza, formativa, emotiva e toccante, era tornata a casa, ad Hatay, in Turchia, epicentro del terribile sisma di magnitudo 7.9 delle 4:17 ora locale, le 2:17 in Italia del 6 febbraio che ha provocato migliaia di vittime. Il terremoto che ha colpito anche la sua città, ha devastato la Turchia meridionale e la Siria settentrionale. Secondo le prime stime le vittime potrebbero essere più di 10 mila. Su entrambi i lati del confine, i residenti sono stati svegliati nel sonno prima dell’alba e si sono precipitati fuori in una notte invernale fredda, piovosa e nevosa. Tra loro c’erano anche i genitori di Halime.
Halime a L’Aquila si era inserita molto bene: era venuta nel 2011 con il progetto Erasmus, aveva trovato una città ancora mutilata dal sisma, ferita dalla forza distruttrice di quella notte, ma capace di accoglierla, coccolarla, farla sentire a casa. Aveva trovato negli aquilani degli amici ‘forti e gentili’, resilienti, che ancora si barcamenavano con tutte le difficoltà legate alla dislocazione, alla disgregazione sociale e culturale successiva al 6 aprile. Tra loro c’era anche Elio Ursini, dipendente di UnivAq, che ha creato il contatto con IlCapoluogo. Non avrebbe mai potuto immaginare che, 11 anni dopo, avrebbe provato sulla sua pelle l’orrore e la disperazione che aveva sentito raccontare dai ragazzi aquilani.“Sono riuscita, seppur a a fatica a parlare con mia madre e mia sorella: stanno bene, ma hanno perso tutto. La mia città, Hatay, non esiste più. Migliaia di persone sono rimaste uccise sotto le loro case, migliaia sono i feriti che stanno ancora per strada. Si dorme al freddo e senza coperte, c’è il rischio di epidemie e di altre scosse”, spiega Halime al Capoluogo. L’altra notte Halime non era ad Hatay, ma ad Ankara, dove vive per lavoro, una scelta, fatta tempo fa, che forse è stata la sua salvezza. Vorrebbe far venire da lei la sua famiglia, ma per adesso è impossibile.“Oltre ai problemi di comunicazione, è crollato l’aeroporto, sono crollati quasi tutti gli edifici, non ci sono macchine o taxi a disposizione, ci sono state anche esplosioni al gasdotto che trasporta gas naturale che hanno causato grossi incendi, non ancora domati. Le strade sono un cumulo di macerie, sono crollati i ponti, le macchine sono state inghiottite dalle voragini nell’asfalto: avevo visto alcune foto a L’Aquila, ma mai avrei potuto immaginare una cosa del genere, dal vivo. Il mio popolo ha bisogno di aiuto: abbiamo bisogno di tutto! Spero davvero che l’Europa e il mondo facciano qualcosa, perchè siamo al limite!”.












