Anisakis, i rischi nel pesce crudo e come evitarli

Anisakis: i rischi legati al mangiare pesce crudo si possono prevenire, anche per sfatare il mito che consumarlo faccia male. Ne parliamo con la dottoressa Patrizia Saltarelli.
Il pesce crudo piace: che sia sushi, sashimi o un piatto di ostriche è difficile resistere! Ma quali “insidie” può nascondere un piatto di crudo se non è stato trattato correttamente? Il consumo di pesce crudo è collegato al rischio di sviluppare numerose patologie che rappresentano un pericolo per la salute. Il tipo di infezione più diffusa tra quelle dovute al consumo di pesce crudo è la parassitosi intestinale da Anisakis.
Oggi non si registrano epidemie ma le cronache raccontano di sigilli e controlli frequenti delle autorità nelle cucine di ristoranti, soprattutto di sushi all you can eat a basso costo. È di queste ore la tragica notizia del decesso di una donna, una 40enne napoletana residente a Soccavo morta giovedì 9 febbraio poco dopo aver pranzato in un ristorante giapponese. Poche ore dopo il pranzo ha iniziato ad accusare sintomi riconducibili a una tossoinfezione alimentare ed è morta. I possibili rischi di mangiare pesce crudo si possono quasi azzerare con l’abbattimento alla temperatura di 20 gradi sotto zero per almeno 23 ore. Questa procedura è stata resa obbligatoria dalla normativa CE853 del 2004 (anno dell’epidemia di epatite A in Campania). Prima di allora, le corse in ospedale soprattutto nei giorni festivi, quando in alcune aree d’Italia si consuma pesce crudo per tradizione, erano piuttosto frequenti. La qualità del pesce crudo e il metodo di cottura sono fondamentali soprattutto per i benefici derivanti dal consumo. Affrontiamo il problema dell’Anisakis, i rischi e le conseguenze, con la dottoressa Patrizia Saltarelli, responsabile del reparto di Fisiopatologia dell’Apparato Digerente presso l’ospedale San Salvatore dell’Aquila.
L’ingestione di pesce crudo o poco cotto comporta il rischio di infezioni gastrointestinali di batteri, virus, ma anche di parassiti frequentemente presenti nei pesci. “Più di 1 miliardo di persone nel mondo è infettato da una o più specie di parassiti gastrointestinali che causano un’ampia gamma di condizioni cliniche. l’Anisakidosi o Anisakis è la più frequente infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata dall’ingestione di pesce crudo o non sufficientemente cotto contenente le larve dei parassiti”, spiega la dottoressa Saltarelli.
La trasmissione di questi patogeni di origine alimentare è particolarmente legata ai Paesi le cui tradizioni impongono il consumo di pesce crudo o poco cotto:“A livello mondiale i piatti a più alto rischio di Anisakis sono: sushi e sashimi giapponesi, bagoong filippino, aringhe saltate o affumicati olandesi, gravlax scandinavo, lomi lomi e Palu hawaiane, ceviche sudamericana tra (insalata di mare) e boquerones spagnoli en vinagre”. La preparazione di questi piatti può includere i metodi come la salatura la stagionatura, la marinatura, la salamoia, l’affumicatura a 40° generalmente sterilizzanti per altri patogeni, ma non per l’Anisakis.
Come si mantengono i parassiti nell’ambiente marino?“Attraverso un ciclo che coinvolge i mammiferi marini: balene, foche o delfini i quali nel ruolo di ospiti definitivi trattengono i parassiti adulti nel loro intestino e nello stomaco. Attraverso le feci, i mammiferi marini rilasciano le uova che dopo la schiusa vengono ingerite dai primi ospiti intermedi come piccoli crostacei (il Krill) dove si sviluppa la larva al primo stadio. Il krill la sua volta viene mangiato da un secondo ospite intermedio che è un pesce nel quale le larve passano al secondo e terzo stadio larvale”.
Come passa l’infezione all’uomo? “L’uomo si può infettare entrando a far parte del ciclo vitale dell’Anisakis introducendo nell’organismo le larve tramite l’ingestione di pesci e molluschi in particolare cefalopodi crudi o poco cotti. Le larve che infettano l’uomo non si sviluppano diventando parassiti adulti, ma sono destinati a morire. Quindi, nel corpo umano non vengono eliminate le uova alimentando il ciclo del parassita”. È bene precisare che non è possibile una trasmissione da uomo a uomo.
“Le larve di Anisakis – chiarisce la dottoressa Saltarelli – misurano da 1 a 3 cm e sono visibili a occhio nudo nella cavità addominale, nell’intestino, sul fegato, sulle gonadi e nei muscoli dei pesci. Hanno una colorazione che varia dal bianco al rosato con una conformazione sottile spiraliforme”. Quali sono i sintomi più frequenti dell’infezione? “Le infezioni umane causano nella maggior parte dei casi sintomi gastrointestinali acuti (dolori addominali, nausea, vomito diarrea) che si manifestano dopo le 46 ore, ma possono comparire anche dopo 7 giorni dall’ingestione di pesce e che possono essere associati a reazioni immunologiche da lievi a gravi, con sensibilizzazione allergica (orticaria, ponfi, angioedema, fino allo shock anafilattico).L’entità della sintomatologia in ogni caso dipende dalla quantità di parassiti ingeriti dallo stato immunitario del paziente.“Il paziente atopico in ogni caso è più predisposto a reazioni allergiche. I sintomi gastrointestinali possono cronicizzarsi fino ad arrivare a peritonite, pressione intestinale, ascessi addominali. Poiché i segni e i sintomi causati dall’infezione da Anisakis sono molto aspecifici, la diagnosi può risultare difficoltosa: in primis, andrebbe indagata l’alimentazione degli ultimi giorni del paziente. Tuttavia la diagnosi definitiva si ottiene mediante l’esame endoscopico (esofagogastroduodenoscopia, colonscopia) che permetterà di osservare le lesioni causate dal parassita ed eventualmente rimuovere le larve presenti nel lume dell’apparato digerente”.
Quali sono gli esami da fare per accertare l’allergia da Anisakis?“È opportuno eseguire il prick test e l’immunoCAP in grado di rivelare la presenza di immunoglobuline di classe IgE specifiche per Anisakis, in assenza di IgE specifiche verso il cibo consumato”.
Infezione da Anisakis? quale terapia per debellare i parassiti
“La terapia ideale è la rimozione endoscopica dei parassiti dal tratto gastrointestinale, ma non sempre risulta possibile a causa della possibilità di migrazione da parte delle larve grazie agli enzimi proteolitici. Tuttavia in caso di complicanze (ostruzione intestinale, peritonite) è necessario un intervento chirurgico. La terapia medica si basa su un antiparassitario come la l’albendazolo“.
Come trattare il pesce prima di consumarlo per evitare i parassiti
Risulta fondamentale la prevenzione dell’infezione tramite congelamento e cottura di pesci e molluschi. In particolare si consiglia di estrarre le viscere del pesce il prima possibile, in modo da diminuire la possibilità della migrazione delle larve dalla cavità viscerale ai muscoli (porzioni ingerite), assicurarsi che il pesce sia congelato a -18° per almeno 96 ore – tra i congelatori domestici solo quelli a 4 stelle raggiungono tale temperatura – cuocere il pesce mantenendo una temperatura superiore a 60° per almeno 10 minuti. L’abbattimento si effettua tramite un’apparecchiatura tipo freezer che consente di portare l’alimento a temperature tra i -20° e -40° molto velocemente per un tempo variabile dalle poche ore fino a più giorni.