Camere con vista

Il PD svolta a sinistra, il centro non è più di moda

L'editoriale di Giuseppe Sanzotta sulla "svolta a sinistra del PD". Lo scenario post primarie.

La svolta a sinistra del PD: Calenda fa appello ai moderati, ma il centro non è più di moda.

C’era un tempo in cui era forte la convinzione che le elezioni si potevano vincere spostandosi al centro. Era forte la convinzione che l’elettorato fosse in gran parte moderato e dunque determinante per la vittori di uno schieramento. Ma è così ancora oggi? Forse no. Probabilmente i fermenti sociali spingono alla ricerca di soluzioni radicali. Con il venir meno delle ideologie non c’è più la necessità, o il timore, di essere catalogati come fascisti o comunisti. C’è invece il desiderio e la speranza di un forte cambiamento. Un bisogno non sempre reale che coinvolge anche chi in fondo non se la passa poi tanto male, ma subisce il contagio. Così cinque anni fa oltre il 30 per cento degli italiani ha dato fiducia al partito del vaffa, a quel movimento che prometteva di aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno. La Lega con una presenza gridata e aggressiva di Salvini ha conosciuto la sua stagione migliore. Anche alle ultime elezioni gli elettori hanno premiato la forza politica più di destra, più schierata. La sola che non aveva preso parte a governi di salute pubblica. Fratelli d’Italia rappresentava la rottura rispetto al passato. Poco importa se ora, con la responsabilità della guida del Paese, Giorgia Meloni appaia come la presenza più rassicurante. Di lei gli italiani, almeno fino adesso, si fidano. Poi vedremo. Del resto questo non accade solo in Italia. Anche altrove i movimenti più radicali hanno ottenuto ampi successi. Fu così in Brasile con Bolsonaro e negli Usa con Trump. Le sconfitte successive sono frutto della delusione.
Tornando in Italia non pochi si sono stupiti della vittoria di Elly Schlein nelle primarie del partito. Ha sconfitto il superfavorito Bonaccini con una proposta radicale, di rottura rispetto al partito sistema, rassicurante, moderato, pronto a mettere da parte le proposte identitarie nell’interesse (o con la scusa) del bene comune.  Schlein è tutta altra cosa rispetto all’usato sicuro rappresentato da Bonaccini. Lei vuole essere l’opposizione al governo senza alcun freno. Già prima di essere nominata aveva contestato gli apprezzamenti di Letta e Bonaccini nei confronti di Giorgia Meloni. Non darà tregua, e non cercherà accordi, ma rilancerà battaglie identitarie, le proposte del partito. Alcune linee sono state tracciate. Scelte ecologiste e di sinistra. Inoltre è partita all’attacco del  governo e dei sui ministri. Alla prima occasione in Parlamento ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Piantedosi per le sue parole dopo la tragedia dei migranti a Cutro.  Ha usato parole dure. E nella manifestazione di Firenze, dove sarà presente con Conte, prenderà di petto il ministro Valditara per le sue affermazioni dopo gli scontri o il pestaggio davanti a una scuola. Evidente il suo richiamo alla piazza, a quel popolo di sinistra che nutriva sfiducia nei confronti del Pd, considerato un partito di potere. Riuscirà ad animare un partito in difficoltà, incapace di presentarsi some alternativa credibile al centrodestra? Questo lo diranno le prossime elezioni,  in particolare le europee del prossimo anno. Soprattutto si vedrà  che fondamento hanno le speranze di Renzi e Calenda che hanno spalancato le porte ai moderati di centrosinistra a disagio in un partito di sinistra radicale. La prospettiva ha spinto i due leader ad accelerare la formazione di un partito unico che sarà guidato da Calenda avendo scelto Renzi di fare un passo indietro. La coppia, ex Pd, basa la speranza sul fatto che il fronte centrista e moderato sia prevalente rispetto ai radicalismi. Le ultime elezioni non gli hanno dato ragione. La scelta in Lombardia di attirare i moderati di centrodestra dietro la figura di Letizia Moratti è stata un fallimento. Ora cercheranno di ripetere il giochetto nel fronte opposto. Con la politica di oggi è difficile fare previsioni a medio termine, ma non sarebbe un azzardo pensare che anche questo tentativo finirà per deludere gli ottimisti promotori. Forse potranno anche guadagnare qualche consenso in più, ma per fare cosa? Un partito anche del 10 per cento (ed è una previsione ottimistica oggi) cosa può fare? Non può allearsi con la destra, pur condividendo alcune scelte, ma una alleanza sarebbe un suicidio elettorale. Non vuole allearsi con una sinistra sempre più lontana. Allora quale può essere la prospettiva? Un partito moderato di centro può fare testimonianza? Ma di cosa? Non ha una identità definita  come i partiti di destra e di sinistra. Il centro se non governa muore. L’obiettivo era quello di un nuovo governo Draghi, ma questo non è all’orizzonte. Non lo è perché c’è una destra saldamente alla guida del Paese, nonostante le inevitabili fibrillazioni. Non lo è perché questa nuova sinistra non sarebbe disponibile ad accordi come quelli del passato. Il sogno potrebbe essere quello di svuotare il Pd e catturare i moderati nel centrodestra. Se quello è il sogno, il risveglio potrebbe essere traumatico perché basato su una utopia e non sui dati reali. Almeno per il momento il nuovo Pd, a parte il malumore degli sconfitti, sembra poter recuperare consensi tra chi era passato con i 5Stelle. Il centrodestra cresce nei sondaggi e la figura di Giorgia Meloni riscuote ampi consensi, anche tra chi non l’ha votata.

Stando a quanto appare non c’è spazio per le terze forze, non c’è spazio per il vecchio centro. Anche perché la politica italiana potrebbe aver imboccato la strada del bipolarismo. Tanto più se saranno varate le riforme costituzionali annunciate, soprattutto il presidenzialismo. Ma Calenda e Renzi sperano, hanno aperto le porte del fortino e aspettano gli ospiti. Se arriveranno.

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