Le nuove stanze della poesia, trasformare le ferite in parole

Il calendario con le poesie dei detenuti del carcere Opera di Milano per l’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.
Il 21 febbraio è stato presentato il “Calendario poetico”, l’edizione del 2023 nella sala Alessi di Palazzo Marino, a Milano. Un calendario che viene realizzato da oltre dieci anni dai detenuti del carcere di Opera, Milano, che frequentano il laboratorio di scrittura creativa.
Una iniziativa portata avanti da Silvana Cerutti che ogni sabato mattina, si siede intorno al tavolo ovale della struttura penitenziaria e coordina un percorso creativo insieme a un gruppo di persone detenute: “Ci disponiamo tutti intorno a questo tavolone, come fosse un ponte che collega le nostre vite, le nostre esperienze, e in queste tre ore facciamo un pezzo di viaggio insieme”.
All’iniziativa prendono parte dieci volontari, un piccolo gruppo che negli anni si è innamorato del progetto e ha affiancato Ceruti: il giornalista e poeta Alberto Figliolia, da 15 anni co-coordinatore del laboratorio; Gerardo Mastrullo che con la sua casa editrice “La vita felice” ha pubblicato dieci antologie, raccogliendo i testi scritti durante il laboratorio. Queste opere ospitano le prefazioni di alcuni importanti nomi della cultura italiana, e non solo. Tra questi, Umberto Veronesi, Marco Garzonio, Maurizio Cucchi e Vito Mancuso. Infine, il gruppo di volontari può contare sulle fotografie di Margherita Lazzati,
Dice Silvana Ceruti che conosce bene il dolore, la rabbia e la frustrazione delle persone detenute: “Con la poesia è possibile scendere in profondità dentro di sé, tirar fuori quello che dilaga dentro. E questo è fondamentale per chi è in carcere. Se non si riesce a dargli forma, a nominarli, questi sentimenti ti possono rompere. Il “Laboratorio di lettura e scrittura creativa” fondato nel 1994 nel carcere di Milano Opera è un percorso di condivisione di vissuto, di emozioni, a cui partecipano tutti attivamente, siano essi volontari o persone detenute. Silvana Ceruti dopo essersi laureata in pedagogia e in filosofia e aver fatto per anni l’insegnante elementare a Milano, ha scelto di dedicarsi con passione a questo percorso di reinserimento delle persone detenute: “È gratificante. Non è facile fare incontri di questo tipo fuori”, spiega. “Cerchiamo di trasformare le ferite in parola”, spiega Ceruti. In questo modo è possibile ricostruire il rispetto e la stima di sé di cui la prigione può privarti. Sono fondamentali per evitare la recidiva una volta fuori.
“La possibilità di esserci, di pensare, di immaginare e di ricordare fanno parte della propria individualità e sono potenzialità di ogni persona, di ogni cittadino, quindi anche dei detenuti. Anche in carcere è – quindi – possibile creare un tempo ed uno spazio in cui ‘prendere la parola’ e coscienza della propria esistenza” (C. Benelli, “Narrazioni e autobiografie in carcere: formazione ed autoformazione nei luoghi di detenzione”, Rivista Elettronica di Scienze Umane e Sociali, 3, 3, luglio/settembre 2005)
E’ questo in sostanza l’insegnamento che ci viene da questa esperienza portata avanti nel carcere di Opera che ha dato vita alla realizzazione di un calendario in questo caso ma che poteva essere un libro, un video, una rappresentazione teatrale, insomma una modalità per portare fuori dal carcere quella esperienza. In un laboratorio similare condotto nella Casa circondariale di Treviso il cui resoconto viene descritto nell’articolo “Le parole per dirlo”,su itals.it riprende quello di un intervento di Ornella Favero, direttrice della rivista “Ristretti orizzonti,” dedicato alla scrittura in carcere. Il saggio della Favero (2007) ha costituito il filo conduttore del laboratorio di poesia e scrittura creativa che condotto nell’A.S. 2007-2008. Il gruppo di lavoro in quell’occasione è partito da un interrogativo: “Che cos’è la poesia?”, al quale ha cercato di rispondere con l’attività del laboratorio stesso . L’obiettivo principale era, in questa fase, aiutare i partecipanti a liberare la propria creatività, stimolando il desiderio di leggere poesia, favorendo nello stesso tempo la nascita di un clima positivo nel gruppo. E’ stato proposto, per avviare la discussione, la lettura di due liriche, una di Sandro Penna (1976) e una di Emily Dickinson (1997).
I componimenti parlano entrambi della poesia e della sua funzione, da punti di vista diversi. Penna sottolinea l’impossibilità o l’incapacità, talvolta, di esprimersi, e la solitudine che ne deriva, ma chiude con un senso di speranza: il vecchio “pieno di amore” forse rimane da solo nel freddo gennaio, ma i suoi sentimenti rimangono ricchi, sebbene ancora rinchiusi dentro di sé. La Dickinson pone invece l’accento sulla forza che la parola poetica acquista nel momento in cui viene pronunciata, non è più solo del suo autore ma trova una vita propria, viene consegnata agli altri, che potranno interpretarla, goderne e farne tesoro. Due modi diversi di sentire la poesia e di intendere la potenza della comunicazione.
Era un mattino di un dolce gennaio
Era un mattino di un dolce gennaio
pieno di sole. E la mia vita apparve
nel silenzio ricolma di parole.
Così non fu, perché le mie parole
furono scarse, e forse senza sole.
Ma resta nel mattino di gennaio
forse già un vecchio, ma pieno di amore.
(S. Penna)
Una parola è morta
Una parola è morta
quando è pronunciata,
ci dice qualcuno.
Io dico invece
che incomincia a vivere
proprio quel giorno.
(E. Dickinson)
Una riflessione su queste poesie ha portato i partecpanti a condividere alcune loro creazioni a partire dalle stesse lettere che scrivevano ai familiari e quindi il gruppo di lavoro ha proposto di stimolare la creatività tramite alcuni giochi di parole: ad esempio, la creazione di acrostici o di calligrammi – poesie figurate (scrivere una poesia d’amore con le parole in forma di cuore, per esempio), partendo dalla riflessione su una lirica di Roberto Piumini (1980):
Per fare la poesia
Per fare la poesia
Si prende una p
come pialla, piastra, pietra;
poi si prende una o
come ombra, oro, orizzonte;
poi si prende una e
come erba, edera, esilio;
poi si prende una s
come sole, sale, silenzio;
poi si prende una i
come io, isola, Icaro;
poi si prende una a
come acqua, arancia, ala;
poi si mettono insieme
senza odio, senza noia,
senza fretta, senza rabbia,
senza malinconia,
e si fa la poesia.
(R. Piumini)
Questi esercizi hanno contribuito a rendere il clima del gruppo più armonioso e sereno e talvolta ad alleggerirlo: i corsisti sono stati invitati a non sentire la poesia (e la creazione poetica) come qualcosa di inaccessibile o di esclusivo per addetti ai lavori, ma come una forma espressiva alla quale ciascuno può avvicinarsi. Niente di inarrivabile. Ecco il punto cruciale di tutta la questione. Un laboratorio di scrittura che propone il sé come autoanalisi e cura per scostarsi un passo da quello che viviamo, dai pensieri, dalle emozioni per guardarci agire, vivere. A volte si vivono esperienze importanti che non hanno trovato parole, sono lì nei ricordi in maniera confusa e indecifrabile. O si vive un presente che potrebbe diventare insopportabile. Ecco dunque il vento delle parole e delle parole della poesia che riesce a trascinare tutto non dentro un vortice ma in una limpida riflessione. Anche perchè noi non ce ne accorgiamo ma scriviamo continuamente. Sui social, con i nostri telefonini, con i gesti e e i modi di fare. Un nostro linguaggio così eterogeneo che forse fa nascere delle difficoltà proprio nell’orientarci. Il recupero di una scrittura dunque con solo le parole ci permette di riprendere la direzione e di camminare di nuovo senza pesi. Le parole sono dei fardelli ma ci permettono anche di depositare i fardelli. Quelli che ci trasciniamo dietro e che ostacolano un percorso. Possiamo permetterci di non essere eleganti nella forma e abbiamo la possibilità di ritrovarci come in una foto antica, però in forma scritta. Dice Duccio Demetrio fondatore della libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, “La scrittura autobiografica rappresenta un mezzo e un metodo insostituibile per la valorizzazione di se stessi”. Scrive lo psicologo e psicoterapeuta Nicolò Terminio: “La narrazione di sé non è automaticamente autentica e sebbene possa far riferimento a fatti realmente accaduti può darci la sensazione di un esercizio artificioso. In questi casi il linguaggio sembra piegato a un virtuosismo stilistico che mostra le capacità dell’Io senza lasciar risuonare però lo spiazzamento soggettivo a cui si va incontro quando si dà voce all’inconscio. Se la tecnica retorica non è messa al servizio della verità dell’inconscio, e questo vale tanto per il linguaggio parlato quanto per quello scritto, allora la narrazione non risulterà efficace, sia per chi parla o scrive sia per chi ascolta o legge.”
E dunque è il silenzio che spinge a scrivere,che non si lascia addomesticare dalla concatenazione delle parole perché nel silenzio non c’è alcun rimando ulteriore alla significazione . Il silenzio ci confronta con quella parte della vita che non si lascia acciuffare mai pienamente dalla trama del linguaggio.Il silenzio è un trauma nella trama del linguaggio e mostra quei vissuti mai del tutto riassorbili nell’orizzonte della narrazione ma da cui ogni vera narrazione prende avvio.
Ecco dunque le trame delle vite di persone che in una condizione di costrizone o meglio di perdita della libertà si siedono attorno ad un tavolo per ritrovare proprio quella libertà che hanno perduto.
D’altra parte questo tipo di esperienze di recupero e narrazione del sé possono essere fatte anche fuori dal carcere , in normali contesti di vita. Esistono molte associazioni che attraverso diverse forme artistiche offrono l’opportunità di riflettere sui propri vissuti. Ne cito una per tutti . L’Associazione “ La cura di sè” è nata nel febbraio 2012 a seguito di un percorso comune di narrazione e di sviluppo teatrale con la precedente Associazione Le Griots, le narratrici di vita .Una delle prime associazioni che si sono registrate al Portale Cultura è Salute presieduta da Sonia Scarpante, scrittrice e studiosa del legame fra psiche e fisicità. Dice Sonia Scarpanti: “La cura di sé”, che vanta come soci onorari lo psichiatra Eugenio Borgna e psicoterapeuta Massimo Recalcati, persegue finalità culturali ed educative di sostegno alle persone che vivono esperienze di fragilità, di dolore, di sofferenza e disagio psichico, o che comunque intendano intraprendere un percorso di conoscenza di sé. L’Associazione annette a queste finalità il senso di utilità sociale, nella convinzione che buone pratiche, volte alla conoscenza e alla cura di sé, possano sostenere il benessere psicologico e fisico e siano utili a prevenire stati di malessere e di patologia. L’Associazione contribuisce alla realizzazione di progetti di aiuto e di appoggio, anche in collaborazione con altre associazioni, attraverso corsi di scrittura terapeutica autobiografica, attività di counseling, consulenza psicologica. Tali attività sono comunicate con ogni mezzo sia via web, che con produzione editoriale cartacea e partecipando ad eventi culturali e sociali (es. Book city). Inoltre La cura di sè ha aperto collaborazioni con Istituzioni, Associazioni di Cura e servizi alla persona, Strutture Sanitarie e Scolastiche, Donne in difficoltà con elevati situazioni di stress e situazioni di disagio esistenziale, con Aziende/ Enti sostenitrici. E in definitiva anche per il tema che ho affrontato in questa riflessione dice a proposito della scrittura di sé: “La scrittura diviene terapeutica nel momento in cui con coraggio affrontiamo noi stessi, nel momento in cui intraprendiamo questo viaggio della conoscenza avulsi da qualsiasi pregiudizio o giudizio su noi stessi e sugli altri che desiderano fare questo cammino con noi, incoraggiando la fiducia, l’apertura verso la sofferenza e la fragilità che è sempre valore aggiunto alla persona e non mancanza. Da una mancanza, da una fatica, tutti noi possiamo crescere in forza interiore, imparando a diventare più resilienti a contatto con le durezze della vita. La parola è una sorta di medicina e il condividerla ci arricchisce e ci rende più simili gli uni agli altri. Da un rispecchiamento si genera un nuovo svelamento del sé. Conosciamo parti di noi attraverso il disvelamento dell’altro, maturiamo la nostra fiducia attraverso questo sdoppiamento dell’altro dove “lo sconosciuto” diviene nostro conosciuto. E l’altro diviene forza per noi e terra di conquista da rivalutare e umanizzare. Ecco l’empatia che sgorga come pietra miliare di questo percorso che tende a renderci più umani e solidali.”