Iran, quarant’anni di lotta: “Se si liberano le donne, si libera tutto il Paese”

6 marzo 2023 | 07:00
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Iran, quarant’anni di lotta: “Se si liberano le donne, si libera tutto il Paese”

L’intervista all’ingegner Esmail Mohades, autore del libro “Non si può incatenare il sole” sulla lotta delle donne in Iran.

“Se dovessi descrivere in una sola parola il regime iraniano, direi che è misogino”. L’intervista all’ingegner Esmail Mohades, autore del libro “Non si può incatenare il sole”: “Accanimento contro le donne: il regime sa che se si liberano loro, si libera tutto l’Iran”.

Esmail Mohades, ha 65 anni, di cui oltre 40 a L’Aquila, città in cui si è laureato in Ingegneria e da cui è stato “adottato” dopo le rivolte in Iran del 1978/1979 che lo hanno visto tra i protagonisti. Per “motivi di sicurezza” l’ingegner Mohades ovviamente non può far ritorno in Iran, ancora soffocato da un regime “incapace, misogino, corrotto e violento”. Nel frattempo si è sposato e il capoluogo abruzzese è diventato l’altra sua casa: “L’Aquila è uno di quei posti che se vedi poi non vuoi lasciare più”. La lotta contro il regime, però, continua anche a distanza con le armi che ha: i libri e la cultura. “A volte mi sento dire che sono coraggioso e questo mi fa capire che allora si sa davvero poco di quello che accade in Iran, perché certamente io ho dovuto pagare un prezzo per questa lotta, ma ci sono ragazze e ragazzi che tutti i santi giorni si battono per strada contro un regime che li uccide e li tortura, spesso nell’indifferenza generale dell’Occidente. Sono loro gli eroi autentici di questa rivoluzione”. Ma sia chiaro: “Ai Governi occidentali non chiediamo di abbattere il regime, sappiamo che questo è un onere che tocca a noi iraniani, ma da parte loro occorre fermezza. Quando l’Occidente fa finta di niente, infatti, è in quel momento che il regime uccide di più. A cominciare dalle donne, simbolo di quella libertà insopportabile per un regime misogino”.
E due giovani donne, Puoran Najafi e Hengameh Hajhassan, sono le protagoniste del suo libro, “Non si può incatenare il sole”, che verrà presentato l’8 marzo presso la Libreria Colacchi: “Erano due semplici ragazze arrestate nel 1981 – spiega l’Autore – una di loro faceva l’infermiera, ma aveva la ‘colpa’ di curare i feriti della repressione, l’altra distribuiva volantini”. Nel 1985, poi, la guerra con Iraq e le proteste che arrivavano anche dalle fazioni interne, così il regime ha allentato la presa, liberando alcuni prigionieri, tra cui proprio Puoran Najafi e Hengameh Hajhassan. “Come è avvenuto anche per i prigionieri dei campi di concentramento nazisti – sottolinea l’ingegner Mohades – coloro i quali hanno subito le atrocità più pesanti, una volta fuori non avevano la forza di raccontare. Puoran Najafi e Hengameh Hajhassan hanno visto il carcere e conosciuto la durezza del regime, ma quando sono uscite hanno anche trovato la forza di raccontare“. Da qui nasce il libro “Non si può incatenare il sole”, che racconta la storia delle due giovani dell’Iran, che dopo la liberazione hanno raggiunto i campi della resistenza iraniana in Iraq. Qui, però, una delle due è stata uccisa da guerriglieri al soldo del regime, mentre l’altra ha raggiunto i campi della resistenza in Albania, da dove conduce ancora la sua lotta.
Due simboli della lotta per la libertà che riprendono luce con la seconda edizione del libro, con un’introduzione aggiornata alla nuova rivolta seguita all’uccisione di Mahsa Amini, giovane curda iraniana di 22 anni in vacanza a Teheran, arrestata e picchiata a morte in un commissariato perché “mal velata”. Una rivolta che l’ingegner Mohades spiega così: “Nulla accade per caso, la società iraniana non ne può più di un regime incapace, misogino, corrotto e violento. Però una rivoluzione non è una corsa sui 100 metri, è piuttosto una maratona. Oggi in prima fila ci sono le donne, tante giovani consapevoli che non si battono per ragioni politiche, ma solo perché vogliono una vita normale. La loro non è una rivolta contro gli uomini, ma per la libertà di tutti. E il regime lo sa bene che la libertà della donna significa poi libertà per tutti, perciò si accanisce contro di esse”.

Una “maratona” che dura da troppo tempo. Prima le rivolte di fine anni Settanta soffocate nel sangue, con cento/duecento fucilazioni al giorno: “Per salvare il suo potere, il regime ha ucciso 50mila persone, mentre l’Occidente faceva finta di niente”. Poi la guerra contro Iraq allentò la morsa della dittatura, ma solo fino al 1988: “Con la fine della guerra in cinque settimane furono impiccati oltre 30mila prigionieri politici“. Nuove proteste scossero il Paese, tra la metà degli anni ’80 e ’90, fino alla cosiddetta “Onda Verde” del 2009, una “rivolta destinata alla sconfitta, perché aveva a capo parte dello stesso corpus del regime”. Ma per capire bene le proteste degli ultimi mesi, bisogna arrivare al 2017: “Ci furono manifestazioni contro il caro vita che coinvolsero 150 città, anche allora tutto fu sedato nel sangue. Poi nel 2019 una nuova rivolta, più decisa e organizzata, con il regime che uccide circa 1500 persone in due giorni. Quindi è arrivata la pandemia e lo stesso regime ne ha approfittato per coprire le altre proteste”. E si arriva ai giorni nostri, con uccisione di Mahsa Amini, giovane curda iraniana di 22 anni in vacanza a Teheran, arrestata e picchiata a morte in un commissariato perché “mal velata”, episodio avvenuto nel settembre 2022: “In poco tempo le proteste hanno coinvolto almeno 280 città. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, perché a fronte di 15 milioni di laureati in Iran, il regime rappresenta la fascia più bassa anche da questo punto di vista. Mentre il 75% della popolazione è sotto la soglia di povertà e il 35% in povertà assoluta, il regime spende tutto a sedare le proteste, a finanziare il terrorismo e per esportare l’integralismo in Iraq, Siria e Libano. E dire che l’Iran è un Paese ricco, detiene il 9% delle risorse naturali a fronte dell’1% di popolazione. Vuol dire che un iraniano dovrebbe essere 9 volte più ricco, eppure il regime ha distrutto l’economia, perché è costituito da incapaci e corrotti”.

Un regime che “definirei misogino“, visto l’accanimento contro le donne, evidentemente considerate simbolo di quella libertà che si nega a tutti: “In Iran le donne possono accedere alla metà dell’eredità rispetto agli uomini, non hanno diritti in caso di divorzio, e perfino la loro testimonianza vale la metà. Ma non sono in rivolta contro gli uomini, combattono per la libertà di tutti. Quando nel ’79 scoppiarono le proteste contro il velo obbligatorio eravamo in buona fede, ma forse non capivamo molto di quello che succedeva sopra le nostre teste. Oggi, invece, i giovani sono consapevoli e preparati, sono persone nate nel 2000, che sanno perfettamente quello che accade nel mondo e chiedono semplicemente di vivere come le altre ragazze e gli altri ragazzi”.
Ma il regime reagisce con torture e omicidi, soprattutto contro le donne: “Sanno bene che se si libera la donna, si libera tutto l’Iran“. E con il Paese libero si aprono due questioni fondamentali: “Se l’Iran diventa uno stato democratico, ci sarà la separazione tra lo stato e il potere religioso, il che toglie il terreno fertile ai fondamentalisti. Inoltre con l’Iran libero e democratico può cambiare tutto lo scenario nel Medioriente, ma non so se l’Occidente è pronto ad affrontare una nuova fase di questo genere”.

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