8 marzo

Maria Kristina e le donne di Ucraina: otto marzo in guerra, per difendere “la nostra casa”

Maria Kristina è in Italia da quando aveva otto anni: ma il suo legame con l'Ucraina - "la nostra casa" - non si è mai interrotto. Chi cuce maglioni caldi e chi reti militari: il racconto della vita delle donne ucraine da quando è scoppiata la guerra.

Maria Kristina Ilnytska è nata in Ucraina, a Leopoli: è arrivata in Italia, all’Aquila, quando aveva 8 anni. Qui si è laureata brillantemente in Economia e Commercio, qui ha messo su famiglia. Ma il legame e il contatto con la sua terra, la sua Ucraina, non si è mai interrotto: e ora che c’è bisogno di aiuto, anche da fuori, lei e sua mamma Natali, insieme a tanti altri volontari italiani e ucraini, non si sono tirati indietro.

L’associazione 24 febbraio si è costituita ufficialmente pochi mesi dopo lo scoppio della guerra. Ma alla prima raccolta materiali, organizzata in Piazza Duomo il 6 marzo dell’anno scorso, L’Aquila ha risposto presente: due tir da 24 tonnellate pieni zeppi di cibo, vestiario, coperte destinati a chi era rimasto in Ucraina. Tanti bambini, famiglie: ma anche uomini al fronte, per dar loro qualche pantalone o qualche giacca più pesante per le fredde nottate di guerra, visto che l’equipaggiamento iniziale era piuttosto scarno. E il pensiero, in questo otto marzo, va alla madre terra in cui si combatte, e alle donne rimaste in Ucraina che hanno un ruolo fondamentale.

“Nonostante al fronte ci siano gli uomini, le donne rimaste in Ucraina sono tantissime” ci racconta Maria Kristina. “Da quelle che fanno parte dell’esercito come medici, infermiere, e quindi vivono da vicino questa guerra, alle mamme rimaste per dare una mano, sia a livello logistico sia morale”. Tante guidano gli autobus ed è grazie a loro che milioni di persone sono riusciti a mettersi in salvo, arrivando alla frontiera su questi bus guidati da donne ucraine. “Anche se non combattono direttamente, vivono come un dovere essere presenti ed aiutare”. Fin dai primi giorni del conflitto, tutte si sono messe a disposizione: chi andando al fronte a cucinare, chi prendendo ago e filo e trasformando scampoli di tessuto o materiali in oggetti utili per chi è in guerra. È così che sono state cucite centinaia di reti militari di copertura, o sono stati creati maglioni e felpe pesanti semplicemente tagliando e cucendo coperte calde. Ci si arrangia, e non si molla.

È un otto marzo di guerra, questo. “Molti uomini si sono arruolati e sono andati al fronte, lasciando alle mogli tutta la responsabilità di gestire i figli. Non è facile anche a livello psicologico” osserva Maria Kristina “spiegare il perché il papà non c’è o perché non lo si vede per tanto tempo. I bambini, anche se piccoli, capiscono e chiedono. Come in tutte le guerre, la donna ha un ruolo primario: senza di loro che aiutano e supportano, non si andrebbe avanti”.

Il cuore a pezzi ma devi andare avanti
“Le donne sentono il dovere morale di supportare e dare forza e coraggio, essere vicine. È in queste occasioni che non puoi piangere: il cuore si spezza ma devi andare avanti. Anche io, quando ho saputo della guerra, ho pianto per giorni, con mia figlia di 9 mesi in braccio. Ma poi ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo fatto qualcosa”.
Quel “qualcosa” sono tir su tir di vestiti, cibo, coperte, medicinali. E ora, anche gruppi elettrogeni: i blackout in Ucraina sono tanti e frequenti e allora, per consentire lo svolgimento delle attività giornaliere, si ha bisogno di generatori. Tutti i progetti, le raccolte fondi dell’associazione 24 febbraio sono destinate ora ad acquistare e inviare sul territorio questi generatori. Finora ne sono stati spediti 9 a Leopoli per i poliambulatori, 4 a Bucha e Zaporizhzhya, altri 14 sempre a Zaporizhzhya e Dnipro, insieme a scatole di farmaci, ospedalieri e non, cibo e coperte. Tanti i progetti a lungo termine, di cui ci aveva parlato la madre di Maria Kristina, Natali, nello speciale di Grandangolo dedicato al primo anno di guerra in Ucraina.

maria kristina ucraina

Essere madri in tempo di guerra
Il 25 febbraio scorso tante persone di nazionalità ucraina hanno partecipato al presidio in piazza Duomo. Erano tante le donne presenti: “Tante sono arrivate come rifugiate, perché solo le donne e i bambini potevano lasciare il paese, soprattutto all’inizio, appena firmata la legge marziale che imponeva agli uomini arruolabili di non lasciare l’Ucraina”. E la solidarietà diventa fratellanza: non sono rari i casi in cui si affidano i propri figli ad amici, conoscenti, pur di metterli al sicuro. Anche se a centinaia di chilometri di distanza.
“Sì, è il caso di una signora arrivata qui in Abruzzo con i suoi due bimbi: a lei sono stati affidati altri due bambini, figli di una sua amica che è dovuta rimanere in patria perché nell’esercito” dice Maria Kristina. Un po’ come i ragazzi arrivati dalle squadre di calcio della Dinamo Kiev e dall’Orion qui all’Aquila. Vi abbiamo raccontato qui la storia di Vlad e Yari, tesserati con L’Aquila 1927, e del loro sogno di esordire in prima squadra.

Ucraina, un calcio alla guerra: L’Aquila 1927 e il sogno di esordire in prima squadra di Vlad e Yari

Il fatto è che, quando sei madre, cerchi di salvare a tutti i costi tuo figlio, di dargli una prospettiva di vita migliore: e Maria Kristina, madre da poco meno di due anni, ha particolarmente a cuore questo aspetto. “Il pensiero va al recente naufragio di Cutro, ai bambini morti in mare, o ancora, alle madri afghane che passavano, sopra i fili spinati, i loro figli ai militari pur di metterli in salvo. Tu ti rendi conto che in quel paese non sopravviverai, ma vuoi dare un futuro a tuo figlio, in qualsiasi modo: anche a costo di perderlo. È successo anche a noi: mia madre è partita quando avevo poco più di un anno, lasciandomi con mia nonna che per me è stata fondamentale. Quando si è stabilizzata con il lavoro e con la casa, l’abbiamo raggiunta. E ora dobbiamo a lei una vita sicuramente diversa, migliore rispetto a quella che, quando abbiamo lasciato l’Ucraina, avremmo potuto vivere lì”.

maria kristina ucraina

Il futuro
“Quando è iniziata la guerra, il primo pensiero che ho avuto è stato: “Faccio le valigie, torno a casa e mi arruolo anche io”. Perché noi siamo molto legati alla nostra casa. Anche se ho trascorso più della metà della mia vita in Italia, casa mia rimane sempre in Ucraina: le radici sono quelle e farei di tutto per salvarle. La prima cosa che farò quando sarà finita la guerra? Festeggiare! Ho già le bottiglie pronte per brindare. E poi partiremo, io, il mio compagno e mia figlia, per far loro visitare Leopoli. Quando vedo i video sui social network della mia città penso ancora che sia bellissima e, soprattutto, che non vedo l’ora di tornare a casa.”

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