Rasha Youssef, una siriana a L’Aquila: “Aiutiamo la Siria: donne, non perdete la speranza”

Rasha Youssef, giovane siriana a L’Aquila, dove lavora come ingegnere chimico industriale. Si trovava in Siria quando c’è stato il terremoto distruttivo. Oggi racconta la sua lotta di donna in un Paese in guerra e lancia un messaggio di speranza.
“Ero al confine tra Siria e Libano quando c’è stata la scossa. I miei genitori non sapevano cosa fare. Oggi c’è bisogno di aiuti di ogni genere e c’è bisogno di speranza”.
Nella Giornata internazionale dedicata alle Donne, la storia e il messaggio di Rasha Youssef, siriana, ingegnere chimico industriale che lavora a L’Aquila, dove è arrivata otto anni fa grazie a una borsa di studio.
È arrivata in Italia, a L’Aquila, qualche anno dopo il sisma del 2009. L’ingegnere Rasha Youssef era tornata nella sua Siria quando, la notte tra il 5 e il 6 febbraio, un disastroso terremoto ha colpito l’area meridionale della Turchia e le regioni più a nord della Siria. In quel momento Rasha era in taxi e all’improvviso le è tremata la terra sotto ai piedi. Subito dopo la voce dei suoi genitori al telefono. Li aveva appena lasciati. Piangevano, ma stavano bene.
Rasha ha così fatto rientro in Italia, per tornare al lavoro a L’Aquila, e si è subito rimboccata le maniche per non lasciare soli quanti, in Siria, ora hanno un disperato bisogno d’aiuto. Non bastava la guerra, no. Ai 12 anni di conflitto si è aggiunto il terremoto.
Allora, oltre al dolore, alla distruzione, alle migliaia e migliaia di vittime, c’è poco altro da raccontare. Perché ciò che serve, oggi più che mai, è aiutare: in qualsiasi modo. Rasha è stata tra i primi a mobilitarsi per il popolo siriano – il suo popolo – ed oggi ha un messaggio per la sua gente e, soprattutto, per tutte le donne che, come lei, hanno sempre combattuto in un Paese ostaggio di una guerra civile che va avanti dal 2012.
Un Paese dimenticato,in cui le donne non solo si ritrovano a subire le condizioni e le conseguenze di un conflitto tra il regime, i gruppi armati e gli estremisti, ma al contempo sono vittime di una società patriarcale e, spesso, usate come strumento di guerra.

Rasha è in Italia “da quasi otto anni. A portarmi a L’Aquila è stato lo studio. Ero già Ingegnere quando sono arrivata qui, dopo aver vinto una borsa di studio per la Laurea Magistrale all’Università dell’Aquila, in Ingegneria Chimica Industriale“. E non si è fermata qui. Anzi: alla laurea specialistica è seguito il Dottorato. “Ora lavoro sia all’Università che come libero professionista”, ci racconta.
Rasha Youssef è un esempio di costanza e speranza: una giovane donna caparbia, determinata, che ha sempre faticato per raggiungere i suoi obiettivi formativi e professionali. “Ho studiato davvero molto – sottolinea alla nostra redazione – Non è stato facile, ma ero sicura di ciò che volevo. E oggi vedo L’Aquila nel mio presente e futuro, senza però dimenticare la mia terra: soprattutto in un momento difficile come questo”.
Già. Ed è proprio nella sua terra che Rasha aveva fatto ritorno quando il terremoto è arrivato a mettere in ginocchio due Paesi, uccidendo migliaia e migliaia di vite.
Dov’eri quando c’è stata la scossa? Chiediamo.
“Ero per strada, stavo rientrando in Italia dalla Siria, dove ero andata a trovare i miei genitori. Quando si è verificata la scossa ero in taxi, al confine tra Siria e Libano, poiché non ci sono voli diretti dalla Siria: quindi tramite taxi si può raggiungere l’aeroporto di Beirut.
Quella notte era strana – ricorda – pioveva e c’era un vento forte. Ho sentito chiaramente la scossa, ma lì per lì non riuscivo a rendermi conto di cosa stesse succedendo. Ho telefonato ai miei genitori…loro piangevano. Mi hanno detto «È successo il finimondo». Dopo aver realizzato l’accaduto, ho dovuto dire io loro di uscire fuori. Da noi non si conosce nulla in fatto di terremoti: per questo non c’è la mentalità italiana, quella cultura che ti porta ad uscire fuori per metterti al riparo. E loro non avevano la minima idea di cosa fare, erano completamente disorientati. Tutti lo erano”.
I tuoi familiari stanno bene?
“Grazie a Dio sì, stanno tutti bene. Io qui in Italia sono sola: in Siria c’è tutta la mia famiglia. Mio padre, mia madre, i miei fratelli, mia sorella. Ora si sono dovuti spostare in una zona di campagna, dove ci sono piccole case e non palazzi. Hanno dormito per due notti in una tenda, poi si sono trasferiti in questa località. Purtroppo ancora ci sono scosse e, adesso, appena sentono tremare la terra escono subito fuori”.
Tornata in Italia, a L’Aquila, il tuo primo pensiero è stato capire come aiutare il tuo Paese. Così è nata un’associazione. Ce ne parli?
“Il popolo siriano è tagliato fuori dagli aiuti internazionali, anche per questo Mimmo Srour ha voluto creare un’associazione che potesse fornire un sostegno immediato e concreto alla Siria. È nata, quindi, un’Associazione senza scopo di lucro che ha l’obiettivo di aiutare il popolo siriano”.
Rasha, presidente dell’associazione, ricorda: “Si possono fare donazioni in denaro, inoltre c’è un Centro di Raccolta, in Via Rocco Carabba a L’Aquila, dal quale è già partito un container di aiuti, da 40 metri cubi, sabato scorso. Abbiamo spedito, grazie alla generosità di tutti gli abruzzesi: vestiario, medicinali, scarpe, pannolini, prodotti di igiene personale, alimenti. Stiamo cercando di fare il possibile, invito tutti – se ne hanno possibilità – a dare anche solo un piccolo aiuto”.
Le donazioni in denaro possono essere effettuate attraverso bonifico sul conto corrente IT30O0832703602000000005374, BCC di Roma Agenzia 99 intestato all’ “Associazione di solidarietà con il popolo siriano” – causale – Donazione Terremoto Siria-Turchia 2023. I riferimenti dell’associazione sul posto sono: Mezzaluna rossa siriana; Arcivescovado greco ortodosso di Tartous; fondazione umanitaria Al Areen.
Il terremoto è arrivato in una terra profondamente ferita da anni di guerra. Già prima del sisma cosa significava crescere in Siria?
“Non è semplice spiegare cosa significa vivere in un Paese che arriva da 12 anni di guerra. Tuttavia, vorrei fare un esempio. In quest’ultimo viaggio che ho fatto in Siria sono rimasta per due settimane. Pensate che mentre mi trovavo lì non ho mai potuto lavare i capelli, poiché non c’è acqua calda sanitaria. Ogni volta che torno in Italia arrivo con i capelli legati. Ma lì non manca solo acqua calda: manca elettricità, manca il cibo, manca la benzina. Vi lascio immaginare ora cosa significhi rialzarsi dopo un evento disastroso come il terremoto che c’è stato, in un paese dove la quotidianità era stravolta da tempo e che già da anni raccoglie cocci, macerie e dolore”.
“Sono cresciuta e vissuta a Homs – continua – la terza città più grande della Siria, al confine con il Libano. Per farvi capire la vicinanza alla guerra, potrei dire che ‘ero sotto la guerra’. Pensate che l’altro giorno ero da una mia amica aquilana e in tv hanno trasmesso un servizio in cui una ragazza ucraina stava raccontando ciò che sta vivendo a causa della guerra. È bastato sentirla parlare per rivivere tutto: tutto in un attimo. La paura, le bombe, il sangue”. Qui la voce si spezza, prima che Rasha aggiunga, “Speriamo che finisca, ovunque, al più presto possibile”.
In occasione della Giornata internazionale dedicata alla Donna, Il Capoluogo ha scelto di intervistare l’ingegnere Rasha Youssef proprio perché la sua storia è anche un messaggio di speranza, come quello che lei stessa vuole dare alle donne siriane: che oggi si trovano tra le difficoltà di un terremoto distruttivo e quelle di una guerra che non conosce fine.
“Io sono arrivata in Italia otto anni fa per continuare i miei studi. Non starò qui a dire che basta la forza di volontà per raggiungere i propri obiettivi, perché ogni situazione è diversa e ognuno ha la sua storia. Posso dire, oggi, che arrivare fin dove sono arrivata non è stato affatto facile. Sono arrivata da un altro Paese, con una cultura e una lingua diverse. È stata tosta e ho dovuto studiare tantissimo. Inoltre, provenivo da un contesto in guerra, che mi aveva abituato a lottare. Oggi sto bene e ho un lavoro. A L’Aquila conosco molte persone…persone bellissime. Quello che voglio, oggi, è poter aiutare la Siria e tutte quelle donne che in questo momento stanno perdendo la speranza per il domani. Non arrendetevi, il primo passo per andare avanti è questo, il coraggio. Ci rimetteremo in piedi”.