Le nuove stanze della poesia, Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli: pensiero, poetica e opere più importanti dell’autore di Myricae, una delle raccolte di poesie più importanti del ‘900, per l’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.
E’ innegabile il tributo che dobbiamo a Giovanni Pascoli e alla sua poesia. Un mondo antico e sempre nuovo allo stesso tempo pieno di paesaggi campestri, memorie personali, suggestioni e visioni che vivono in particolare in Myricae, del 1891, nei Poemetti del 1897 e nei Canti di Castelvecchio del 1903. Un respiro quello dei suoi versi che fa convivere la forte tensione della vecchia tradizione classicista e le nuove tematiche decadenti.
I Poemi Conviviali del 1904 e i Carmina in latino scritti da Giovanni Pascoli dal 1891 al 1912 ne sono una testimonianza. Tra le ultime raccolte ricordiamo Odi e Inni del 1906, i Poemi Italici del 1911, e i Poemi del Risorgimento pubblicati postumi nel 1913. La sua poetica e per così dire la sua “pedagogia” viene ricordata citando e studiando un suo saggio in prosa “Il fanciullino “in cui esprime approfonditamente il suo pensiero sulla poesia che non è esente da una introspezione lirica dell’io creativo più profondo, Pascoli esplora e analizza il cuore stesso dell’animo umano. Cosi’ che i lettori , anche quelli di oggi, trovano in quelle introspezioni , una parte della loro vita .
La sua idea di poesia è l’idea di una terra in cui il fanciullino, una creatura ancora pura, sensibile, vitale, non ancora creatura razionale può realizzare pienamente se stesso e improntare di sé il mondo che lo circonda. Per questa sua naturalezza nell’essere, il fanciullino entra in contatto col mondo attraverso l’immaginazione, l’intuizione, e può dunque conoscere il mondo che lo circonda in modo autentico, genuino.
La poesia secondo Pascoli, si esprime quindi attraverso un linguaggio tutto suo rifacendosi ai sogni e alle esperienze del fanciullino che è dentro il poeta. Una poesia capace di creare appunto un suo linguaggio pieno di emozioni universali, simboli e immagini potenti.
La missione fondamentale della poesia diventa allora quella di creare una comunità, un incontro, tra gli individui senza alcuna pretesa educativa o divulgativa. Tutto questo è permesso dalla voce interiore del fanciullino. La poesia dunque ha un compito importantissimo, quello di risvegliare il fanciullino che è in ogni uomo.
Giovanni Pascoli nacque nella casa materna di San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Nel 1862, all’età di sette anni, cominciò a frequentare, insieme ai fratelli maggiori Giacomo e Luigi, il collegio dei Padri Scolopi di Urbino, dove resterà fino ai sedici anni. Il 10 agosto 1867, il padre venne ucciso in un agguato (il mandante non verrà mai trovato e incriminato) mentre ritornava da Cesena col suo calesse trainato dalla “fedele cavallina storna”. Questo avvenimento luttuoso ed altre disgrazie familiari lasciarono profondamente il segno nella vita e nell’opera del poeta .Nel 1873 vinse una Borsa di studio presso l’Università di Bologna, guadagnandosi la stima e la protezione del Carducci. Ebbe alcune disavventure politiche, scontò una pena in carcere. Nel 1876, dopo la morte del fratello Giacomo, conobbe Andrea Costa e si avvicinò al Socialismo. Nel 1882 si laureò con una tesi su Alceo. Iniziò quindi la sua carriera di insegnante e di letterato. Insegnò ai licei di Matera, Massa e Livorno; ebbe un incarico straordinario all’Università di Bologna succedendo poi, nella stessa università ,alla cattedra che fu del suo maestro Giosuè Carducci,. Fu professore alle Università di Messina, Pisa e di nuovo Bologna. ,Nel 1892 partecipò al concorso di poesia latina di Amsterdam con il poemetto Veianius, vincendo il primo premio (una medaglia d’oro massiccio): la prima di altre dodici, sempre dello stesso premio olandese. Visse con la sorella Maria nella Villa di Castelvecchio Barga fino alla morte avvenuta a Bologna il 6 aprile 1912 .
La grande proletaria s’è mossa, Minerva oscura e La mirabile visione sono soltanto alcune delle opere in prosa più note di Giovanni Pascoli, che viene però maggiormente ricordato per aver scritto il saggio Il fanciullino e per le sue raccolte di poesia .
Il fanciullino è un’opera divisa in venti capitoli, pubblicata per la prima volta nel 1897 sulla rivista fiorentina Marzocco. La sua versione più nota è quella contenuta nella raccolta Pensieri e discorsi. La prima raccolta di poesie Miyricae si arricchirà di componimenti nelle edizioni successive ; da appena ventidue poesia arriverà alle centocinquantasei dell’ultima edizione .
Il titolo, in latino, è una citazione dalla quarta bucolica di Virgilio , in cui le piccole tamerici (myricae in latino) indicano una poesia umile perchè al centro delle poesie di Pascoli in questa raccolta ci sono le piccole cose. Myricae raccoglie in prevalenza componimenti brevi, che parlano della vita dei campi e il mondo della natura attraverso immagini, suoni, colori e impressioni. Gli oggetti che animano questi versi hanno così un valore simbolico dentro un mondo di affetti familiari con il ricordo frequente delle persone scomparse. Più ampi e forse più narrativi, meno lirici di quelli di Miricae sono i componimenti contenuti nei Poemetti, racconti in versi in cui il poeta, attraverso le vicende di una famiglia contadina, celebra la piccola borghesia campestre, in cui vivono valori come la solidarietà, la laboriosità, la saggezza, la bontà e la purezza morale. Nei Canti di Castelvecchio del 1903,il paese toscano dove era andato a vivere con la sorella Mariù, tornano le scene della vita dei campi come in Myricae e si risente quel lirismo abbandonato nei Poemetti. La consolazione al poeta viene offerta dalla natura e il dolore del lutto e della morte si stempera dentro un ambiente naturale tra l’altro primigenio. Non mancano anche qui i temi più morbosi, che rimandano alle segrete ossessioni del poeta: il sesso , vissuto col turbamento di un fanciullo, e la morte, come rifugio ultimo. Poemi conviviali del 1904 sono composizioni il cui titolo deriva dal fatto che la maggior parte di queste poesie furono pubblicate sulla rivista «Il Convito». Si tratta di poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito e della storia antica in un percorso che va dalla storia greca al cristianesimo delle origini: vi compaiono personaggi come Achille, Ulisse, Elena, Solone, Socrate, Alessandro Magno.
Ho brevemente ricordato la vita e le opere di Giovanni Pascoli perchè l’amministrazione comunale di San Mauro ha promosso un progetto culturale partecipato che ha come obiettivo la valorizzazione della poesia di Giovanni Pascoli legata a San Mauro, paese natio del Poeta, e di tutto un territorio e delle sue eccellenze. Il Parco Poesia Pascoli unisce idealmente i due luoghi del ricordo e della poesia di Giovanni Pascoli: Villa Torlonia (la Torre) e la casa natale del poeta, oggi La poesia di Giovanni Pascoli rappresenta il punto di partenza per la creazione di un percorso turistico-culturale che collega i due luoghi della memoria pascoliana: dal ‘nido’ di San Mauro, la casa materna, per arrivare a Villa Torlonia, luogo di lavoro del padre Ruggero Pascoli, che amministrava la Tenuta per conto del Principe Torlonia, nonché luogo immediatamente rinviante alla cavalla storna, unica testimone del delitto impunito del padre di Giovanni Pascoli. Dal piccolo paese di San Mauro, luogo del ricordo che ha profondamente ispirato la poetica pascoliana, la sua poesia arriva ad abbracciare tutta la Romagna, rappresentandola in tutta la sua complessità, fino a divenire poesia universale e cosmica: una poesia che non solo emoziona ma che può, allo stesso tempo, costituire la chiave di lettura per tratteggiare l’identità di un intero territorio.
Sul sito del Parco Pascoli si legge Infatti : “ La casa natale di Giovanni Pascoli è il luogo dell’infanzia spensierata, del calore famigliare, il nido improvvisamente infranto dalla fucilata che il 10 agosto 1867 colpiva a morte il padre del poeta, Ruggero Pascoli. La casa conserva ancora strutture ed arredi originali, cimeli e fotografie della famiglia Pascoli, manoscritti e documenti preziosi ad illustrare la vita e la storia della famiglia Pascoli e della giovinezza del poeta. Nell’ampio giardino il visitatore è accompagnato dalle specie botaniche ricordate da Giovanni Pascoli nelle sue poesie.
Nei suggestivi spazi di Villa Torlonia, cultura, innovazione e tecnologia si incontrano per valorizzare la poesia di Giovanni Pascoli con un percorso sensoriale ed emozionante: dai sotterranei del palazzo, dove grazie a scenografie digitali, videomapping, giochi di suoni e parole, il visitatore potrà immergersi nella poesia, fino al piano terra della Villa. Qui alcune sale, allestite con postazioni interattive, consentiranno di esplorare i luoghi del cuore del poeta, approfondirne aspetti storici, artistici e gastronomici, ripercorrendo il legame indissolubile tra Pascoli e la Romagna.
Dal piccolo paese di San Mauro, luogo del ricordo che ha profondamente ispirato la poetica pascoliana, la sua poesia arriva ad abbracciare tutta la Romagna, rappresentandola in tutta la sua complessità, fino a divenire poesia universale e cosmica: una poesia che non solo emoziona ma che può, allo stesso tempo, costituire la chiave di lettura per tratteggiare l’identità di un intero territorio.”
Pascoli vive in questa casa stabilmente fino a sette anni di età, per poi trasferirsi coi fratelli maggiori al collegio di Urbino, trascorrendo a San Mauro l’estate. Prima di essere venduta a privati, nel 1880, essa appartiene ai fratelli Pascoli e il poeta, durante gli anni universitari di Bologna, vi fa spesso ritorno. È proprio in uno dei tanti suoi rientri a casa, che Giovanni scrive la prima stesura della celebre lirica Romagna, oggi conservata presso il Museo. Il percorso di visita è arricchito da due postazioni multimediali che, oltre a consentire l’approfondimento della vita e della poetica di Giovanni Pascoli, creano un’atmosfera fortemente suggestiva attraverso l’ascolto di testi poetici e ricordi interpretati dal noto attore Lino Guanciale.
Nel 1895 il poeta si allontanò dalla sua Romagna e insieme alla sorella Maria detta Mariù si trasferì in Toscana, a Castelvecchio, nel comune di Barga, in provincia di Lucca. Solo due anni dopo, il 10 maggio 1897, firmerà una lettera per i concittadini di San Mauro «Vi ripeto che io ho una speranza: quando sarò morto, quando riposerò in codesto camposanto, presso mio padre e mia madre, verrà qualcuno (io spero) a visitare il luogo dove sarò sepolto e dove nacqui; verrà qualcuno, perché la mia poesia, tenue e umile, ha pure una vena di profumo, ora appena sensibile, pur crescerà e si farà distinta nell’ombra della notte. All’ignoto ospite direte che quella poesia io la derivai dall’amore verso il mio piccolo e ridente paese. E l’ospite saluterà allora commosso il mio mondo ideale che ha per confini il Luso e il Rio Salto, e per centri la chiesuola della Madonna dell’Acqua e il camposanto fosco di cipressi»
Romagna
Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra vision di San Marino:
sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
Là nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l’altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti, quando
lenta vi guazza l’anatra iridata,
oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarci l’urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio dell’aie;
mentre il villano pone dalle spalle
gobbe la ronca e afferra la scodella,
e ‘l bue rumina nelle opache stalle
la sua laboriosa lupinella.
Da’ borghi sparsi le campane in tanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d’occhi di bambini.
Già m’accoglieva in quelle ore bruciate
sotto ombrello di trine una mimosa,
che fioria la mia casa ai dì d’estate
co’ suoi pennacchi di color di rosa;
e s’abbracciava per lo sgretolato
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un birichino.
Era il mio nido: dove, immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l’imperatore nell’eremitaggio.
E mentre aereo mi poneva in via
con l’ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;
udia tra i fieni allor falciati
de’ grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema.
E lunghi, e interminati, erano quelli
ch’io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettio d’uccelli,
risa di donne, strepito di mare.
Ma da quel nido, rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or è dove si vive:
gli altri son poco lungi; in cimitero.
Così più non verrò per la calura
tra que’ tuoi polverosi biancospini,
ch’io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozioso i piccolini,
Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.