Iran, la voce della rivoluzione nelle parole di Shahed Sholeh: non ci siamo mai fermati a piangere

Iran. Dalla morte di Masha Amini ad oggi, 750 manifestanti sono stati uccisi, 30mila arrestati. “Ma non smettiamo di combattere, non ci siamo mai fermati a piangere”: parla Shahed Sholeh, attivista Addi.
Iran. Dalla morte di Masha Amini ad oggi, 750 manifestanti sono stati uccisi, 30mila arrestati. “Ma non smettiamo di combattere, non ci siamo mai fermati a piangere”: parla Shahed Sholeh, attivista Addi.
Iran. Dal 16 settembre, giorno in cui morì Masha Amini, sono decine le manifestazioni che vedono scendere in piazza donne, giovani e tutta la popolazione iraniana. In sette mesi, in migliaia hanno manifestato – e continuano a farlo – contro il regime oppressivo e misogino attuale e per chiedere libertà e democrazia.
Scendere in piazza in Iran significa sapere di uscire di casa e poter andare incontro a torture, arresti: alla morte, come successo per 750 manifestanti in questi sette mesi (dati diffusi dalle associazioni, ma che probabilmente sono al ribasso).
Li chiamano “i martiri della rivoluzione” e i volti di alcuni di loro campeggiano sui cartelloni che ieri mattina sono stati portati nelle scuole di Sulmona per un incontro con gli studenti e che, nel pomeriggio, sono stati collocati nell’aula consiliare di Sulmona: una giornata organizzata dalla Diosa Onlus che, con la sua presidente Gianna Tollis, ha voluto portare la voce della rivoluzione iraniana a Sulmona.
È qui che Shahed Sholeh, attivista dell’Associazione Donne Democratiche Iraniane, ha parlato per due ore di cosa significhi vivere in Iran oggi, dell’importanza di questa protesta, della mancanza dei diritti più essenziali, della violenza perpetrata giornalmente e soprattutto contro le donne, trattate come cittadine di serie B. Ma anche della speranza, dei giovani che non si tirano indietro perchè “non abbiamo più niente da perdere”.
“Sono 40 anni che aspettavamo questo momento”, dice Shahed Sholeh, andata via dall’Iran 30 anni fa: non vi ha fatto più ritorno. E se lo facesse, oggi, sarebbe condannata a morte. Da anni si trova a Pescara, è sposata, ha una attività di ristorazione: una vita normale, che ha potuto avere solo andando via dal suo Paese.
“Sono andata via ma ho deciso di non restare ferma e di sensibilizzare l’opinione pubblica e internazionale”. E racconta la storia di Sarina, morta a 16 anni, che nei video sui social descriveva la vita prima di questa feroce spirale di repressione; quella di Nika, uccisa durante una manifestazione. Ma di storie che raccontano di violenze e barbarie se ne potrebbero raccontare centinaia: ragazzi impiccati in pubblica piazza, appesi ad una gru. Studenti avvelenati nelle loro scuole. E così via, in un vortice di torture e tentativi di repressione.

“Quello che sta succedendo in questi sette mesi è molto importante per noi”, sottolinea Shahed. “Dalla prima rivolta popolare alla seconda, sono passati dieci anni. Dalla morte di Masha Amini a oggi, pochissimi mesi. È una rivolta prolungata e lunghissima cui partecipano le donne in prima fila”. La mancanza di diritti tocca tutti: ma se non si ha più nulla da perdere, si può cambiare per il futuro dei nostri figli. Perlomeno, per dar loro un futuro.
Le voci delle donne che gridano “Donna, vita, libertà”, ma anche “Libertà, libertà, libertà”, sono rimbalzate attraverso i social anche in occidente: la loro è una estrema richiesta di un diritto mai così tanto desiderato. “Le leggi hanno istituzionalizzato la misoginia”, spiega Shahed Sholeh, cui chiediamo, nello specifico, a cosa faccia riferimento: “Sono le stesse leggi che sanciscono che le donne non sono uguali gli uomini. Nel divorzio, i figli vengono affidati solo ai padri. Nei processi, due testimonianze di due donne valgono come quella di un uomo. Serve il permesso di un uomo per fare qualsiasi cosa: anche – ed è successo ultimamente – per partecipare a competizioni sportive a livello mondiale. La lapidazione è legale” sottolinea. “E se non viene eseguita è perchè ci sono pressioni internazionali”.
E ancora: lo stupro come una vera e propria arma di guerra. “Nel 1988, con il massacro di 30mila prigionieri, lo stupro di donne vergini, prima di ucciderle, era un obbligo. Perchè, altrimenti, da vergini sarebbero potute andare in Paradiso. Oggi, la violenza e la tortura sessuale sono molto usate: ma qualcuno inizia a denunciare“.

Violazioni quotidiane e costanti dei diritti umani, con un accanimento particolare nei confronti delle donne in quello che, come lo descrive Shahed Sholeh, è un Paese ricco, a livello economico: ma profondamente corrotto, dove solo chi ha una buona istruzione può pensare di uscire dal Paese e avere, così, un futuro. “Ma non è un problema culturale. Noi non ci siamo mai fermati a piangere: continuiamo a combattere“. Per questo, le manifestazioni in patria e quelle all’estero sono così importanti: per far capire che “questo regime non rappresenta il popolo, perchè vogliamo venga riconosciuto il diritto all’autodifesa e perchè a livello internazionale si smetta di fare affari con questo regime”.
Una richiesta, in particolare, è quella che viene avanzata dai manifestanti iraniani: “La comunità internazionale deve fare pressione affinchè la Guardia rivoluzionaria (comunemente conosciuti come pasdaran) venga inserita all’interno di una lista terroristica: così si potranno prevenire anche abusi ed aiutare il popolo iraniano nella realizzazione di un Iran libero e democratico”.
Una ferma condanna di quanto sta succedendo in Iran e solidarietà è giunta anche dal Consiglio regionale abruzzese che, nella seduta dello scorso 2 marzo, ha approvato la mozione che condanna ogni forma di violenza contro le donne iraniane e i soprusi nei confronti dei più deboli. Una copia di questo atto è stata consegnata da Gianna Tollis– anche coordinatrice Pari opportunità Uil Abruzzo – a Shahed come testimonianza di una battaglia comune. Perchè informare e condividere è una delle armi che si hanno per scuotere l’opinione pubblica e non far calare il silenzio su queste manifestazioni: va in questa direzione, anche, l’iniziativa del comune di Secinaro che, lo scorso 8 marzo, aveva consegnato alle donne del paese una mimosa e una lettera nella quale venivano indicati tutti i diritti negati alle donne afghane e iraniane. Una lettera che è stata consegnata ieri dal sindaco Noemi Silveri all’attivista iraniana, in segno di solidarietà e vicinanza.

Con l’invito a guardare gli occhi di quei ragazzi, morti perchè manifestavano: di guardarli in quelle fotografie nelle quali gli occhi brillavano, perchè avevano la speranza di un Iran diverso. Libero.