La guerra moderna e la morte della poesia

Componenti di guerra, dall’Iliade a Ungaretti, per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.
A morire per prima in una guerra è la poesia. Almeno nella guerra moderna. Dove manca la “parola poetica” quella che nei secoli scorsi e per secoli accoglieva le guerre d’altri tempi e le raccontava. Un racconto che aveva parole per il dramma, la tragedia, l’amore, la sublimazione della morte, il dolore, la pietà.
Oggi tra le bombe c’è silenzio, un silenzio di devastazione, morte. Non si sentono più quelle parole che cantavano ad una o più voci a volte il segno di una barbarie, altre volte l’ignominia proprio per la guerra e quasi sempre il desiderio di pace. Mi riferisco ad opere come l’Iliade, prima di tutte, che raccontando la guerra innalza un canto di pace. Nell’ottavo secolo a.C. Omero scrisse l’Iliade, un poema epico in cui narrò la terribile guerra che contrappose greci e troiani. Il poema non esalta però le virtù della guerra, piuttosto evoca l’orrore e la distruzione,diventando nel tempo successivo un monito contro la guerra . Lurgrós, polúdakros, dusêlegês, ainós. Miserabile, lacrimosa, dolorosa, raccapricciante. Così viene descritta la guerra nell’Iliade.
Quando Paride rivolgendosi al fratello Ettore propone la sfida in duello con Menelao ,mentre il resto dei loro eserciti, gli achei e i troiani, «giurando fedelmente patti d’amicizia» rimarranno a Troia «dove il suolo è ricco, o ritorneranno a pascolare i cavalli ad Argo e Acaia, che ha vanto di femmine belle», Ettore fa immediatamente quest’offerta agli achei.
Menelao accetta e viene stipulato un trattato per consacrare l’esito del duello. Sono parole di una forza indicibile, che non hanno bisogno di alcun commento quelle che si leggono nel poema . E’ veramente un canto poetico :i soldati di entrambi gli eserciti che innalzano una furiosa preghiera per tornare a casa in pace. E poi il pathos per il nemico umanizzato e sconfitto.
E’ questa una delle più grandi pagine della letteratura di ogni tempo . Una scena corale, ampia, che coinvolge ed emoziona fino a al momento in cui Ettore si separa dalla moglie Andromaca e dal loro figlio con le strazianti parole della stessa Andromaca che lo prega di “ non tornare” in battaglia:
Ad incontrarlo; e seco iva l’ancella
Tra le braccia portando il pargoletto
Unico figlio dell’eroe troiano,
Bambino leggiadro come stella. […]
Sorrise Ettore nel vederlo, e tacque.
Ma di gran pianto Andromaca bagnata
Accostossi al marito, e per la mano
Stringendolo, e per nome in dolce suono
Chiamandolo, proruppe: […] Il tuo valore ti perderà: nessuna
Pietà del figlio né di me tu senti
Crudele, di me che vedova infelice
Rimarrò tra poco, perché tutti
Di conserto gli Achei contro te solo
Si scaglieranno a trucidarti intesi;
E a me sia meglio allor, se mi sei tolto
L’andar sotterra.
(Libro VI)
Il tuo valore ti perderà; nessuna pietà tu senti per me e nostro figlio: E’ come un rovesciare addosso ad un uomo tutti i mali del mondo e chiedergli di scegliere, di rinunciare alla battaglia contro questi mali mettendo in atto un valore e un eroismo sconfinato in nome di un affetto, uno solo, quello familiare che è più potente di tutti quei mali.
Ho ricordato l’Iliade e alcuni passi per tutte quelle memorabili scene c0ntenute nelle opere letterarie dei secoli successivi perchè sarebbe difficile fare una sintesi . In tutte quelle opere fiorisce una parola poetica che è capace, come nell’Iliade di trasformare il racconto di una guerra nella evocazione di tutti i mali che la guerra procura ,tutte le guerre e in qualsiasi tempo esse siano combattute .
In questa rubrica ho alcune volte scritto di Giuseppe Ungaretti e della sua esperienza di guerra, la prima guerra mondiale. Versi brevi, taglienti di una profondità inversamente proporzionale allo loro brevità . Poche parole ,essenziali ,uniche, irripetibili. Una sferzata poer l’anima ma anche un appello indimenticabile a considerare la guerra come il male peggiore, il più grande , irreparabile nelle conseguenze.
Mi limito dunque qui, per il tema che ho scelto a ricordarlo,uno per tutti, ancora una volta a ricordare le sue poesie sulla guerra. Undici componimenti costituiscono il piccolo patrimonio che Giuseppe Ungaretti dedica, nella raccolta L’Allegria ai temi della guerra Poesie che ci mettono di fronte alla morte, alla quotidiana convivenza con i morti e con i feriti, giorno e notte a contatto con la violenza e con l’odio che si contrappongono sui due fronti. Ma è lo stesso poeta che ci racconta con parole che sono poi in realtà simili a quelle dei suoi versi l’orrore di quella guerra:
«Ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo terribile. Dal momento che arrivo ad essere un uomo che fa la guerra, non è l’idea di uccidere o di essere ucciso che mi tormenta: ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che era rappresentato dalla morte. Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno; c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, nel Porto sepolto, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione. Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono anzi un uomo della pace. Non l’amavo neanche allora, ma pareva che la guerra s’imponesse per eliminare la guerra. Erano bubbole, ma gli uomini a volte si illudono e si mettono dietro alle bubbole». (Giuseppe Ungaretti in L’allegria pag. 520 – 521).
Parole che diventano questi versi:
VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la bocca
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d’amore
Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.
FRATELLI
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
SAN MARTINO DEL CARSO
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
Parole che da sole rappresentano una lettera d’amore, attaccato alla vita come non mai. Nella drammaticità della situazione, percepisce solo la propria volontà di vivere, che prevale su tutto. Anche questa consuetudine con la tragedia induce una riflessione sull’umanità/disumanità della guerra e come questo dualismo sia stato affrontato tante volte nelle opere letterarie che parlano della guerra .
A questo proposito Maria Pellegrini su UmbriaLeft.it per esempio scrive sul De Rerum natura di Lucrezio “Sulla disumanità della guerra Lucrezio scrive versi mirabili capaci di offrirci un quadro agghiacciante del progresso applicato agli scontri bellici. I nuovi ritrovati e le nuove tecniche di combattimento sono naturalmente quelli dell’antichità, cioè dell’epoca in cui il poeta vive e agisce. L’uso degli elefanti, delle tigri, dei cinghiali, ma oltre alle belve anche carri falcati, bàliste, catapulte e numerose altre macchine da guerra sono ricordati dal poeta come esempio dell’intelligenza umana stoltamente e barbaramente impiegata per distruggere anziché costruire una società più giusta. Quella di Lucrezio è una denuncia risoluta della brutalità della guerra condotta con armi sempre più distruttive di vite umane. “
Basta sostituire a quelle “ macchine da guerra “ di allora quelle di oggi arrivati ad armare con ogive all’uranio impoverito, al fosforo se non addirittura con testate nucleari missili intercontinentali, anche invisibili ai radar, per capire come la disumanità della guerra abbia raggiunto un livello altissimo, insopportabile all’interno di una escalation che non accenna a fermarsi. .
I temi che sto affrontando sono solo una carrellata forse disomogenea all’interno dell’idea iniziale della morte della poesia nella guerra moderna. Per ragioni di spazio mi limito qui solo ad un ultimo esempio. Parlo qui di una delle conseguenze che molte guerre portano , ovvero lo sterminio di massa di certe etnie come è capitato nella ex Jugoslavia nella guerra del Kossovo, agli armeni, agli ebrei, ai curdi, solo per citarne alcune. E a questo proposito ricordo un autore per tutti: Primo Levi .
“Ancora oggi i campi di detenzione in regimi dittatoriali si trasformano in campi di sterminio, in cui i diritti umani vengono soppressi. Però anche in certe forme attuali di violenza sociale negli stadi, nelle carceri e perfino in certi luoghi di divertimento, l’autore vede presente e non ancora vinto questo grave male del nostro tempo, che si considera civilizzato. Un Primo Levi che con la sua raccolta di poesie ci ricorda dall’inizio della lirica all’inizio dell’opera :
“Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando a casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli”