#nonsolocalcio

25 aprile, da Bartali alla nazionale di calcio iraniana: lo sport che resiste e dà voce a chi non ce l’ha

A #nonsolocalcio abbiamo celebrato il 25 aprile in chiave sportiva, onorando la memoria di tanti atleti campioni nel campo e fuori: in studio Fulvio Angelini e William Giordano dell'Anpi L'Aquila

Gino Bartali campione sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France: ma anche fuori dalle competizioni, visto che salvò oltre 800 ebrei trasportando nel telaio della sua bicicletta documenti necessari per fornire una nuova identità ai perseguitati e per consentire loro di espatriare.

La sua bicicletta era sempre pulitia e splendente, amava fosse perfetta: eppure, nel periodo fra il 43 e il 44, quando trasportava documenti, la ricopriva di fango e terra affinchè non attirasse l’attenzione: e anche quando lo catturarono, non gli trovarono addosso nulla, proprio perchè la bicicletta non venne smontata.
È questo solo uno degli episodi che, nella giornata del 25 aprile, festa della Liberazione dal nazifascismo, abbiamo voljuto ricordare a #nonsolocalcio, in onda sui canali social del Capoluogo e su LAqTv. Un 25 aprile dove lo sport diventa resistente, solidale, capace di dare voce a chi non ce l’ha. Dove le storie di sport si trasformano in storie di vita ed esempi da seguire.

Con Eleonora Falci, ospiti in studio Fulvio Angelini e William Giordano dell’Anpi L’Aquila.
Il legame fra bicicletta e lotta partigiana è da sempre indissolubile: in bici si muovevano le staffette dei Gap, fra le quali vi erano moltissime donne. E Gino Bartali, con i suoi oltre 150 chilometri al giorno fra Firenze e Cassino che hanno consentito di salvare migliaia di vite, è stato insignito, post mortem, del riconoscimento di Giusto fra le Nazioni, nel 2013.
Ma di storie ce ne sono tante: come quella di Alfredo Martini, ct della nazionale di ciclismo dagli anni ‘70 agli anni ‘90. E’ considerato il padre partigiano del ciclismo italiano: tra il 1941 e il 1957 è stato anche un corridore professionista ma nel periodo della guerra andava in soccorso dei partigiani sull’Appennino Toscano, portando carichi di molotov. “Solo ora penso che se fossi caduto sarei saltato in aria”.

E da altri sport, come il calcio, ci vengono altri esempi: Bruno Neri, mediano della Fiorentina, fra le altre squadre. La stessa squadra nella quale militava nel 1931. Era la fine dell’estate e tutti i giocatori si schierarono, a inizio partita, facendo l’usuale saluto fascista. Bruno Neri rimase con le braccia lungo i fianchi: un affronto. Ma anche una presa di posizione netta, che farà parte della sua vita: si arruolò fra i partigiani della brigata Ravenna e perse la vita, nel 1944, catturato dai tedeschi a Marradi, vicino Firenze. Quella fotografia, di una intera squadra con il braccio destro teso e lui, fermo sul posto, è diventata emblematica: tanto da diventare l’immaigne di copertina di “Cuori partigiani”, il bel libro di Edoardo Molinelli edito nel 2019 e che fu presentato, nello stesso anno, proprio in occasione di una iniziativa dell’Anpi L’Aquila.

Cambia sport, non cambia la voglia di combattere per liberare l’Italia dall’occupazione nazifascista. Parliamo di Manlio Gelsomini. Velocista, campione italiano dei 100 metri e anche medico: dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 entrò nella Resistenza. Il regime fascista lo ripudiò, depennandolo dalla “Guida Monaci” dei medici abilitati. “Ruggiero Fiamma”, questo il suo nome di battaglia, entrò in clandestinità e diede la vita per la libertà: fun ouno dei 335 martiri delle Fosse Ardeatine.

Ma uscendo dal periodo bellico, sono tante altre le storie di sportivi che hanno dato un segnale, importante e fermo, a favore di diritti civili o di persone che non avevano voce. Pensiamo a Peter Norman, atleta australiano che, sul podio delle Olimpiadi di Messico 68, espresse solidarietà agli statunitensi Smith e Carlos: la famosa fotografia degli atleti con il pugno, guantato, in alto. Fu forse lui quello che pagò  maggiormente la “colpa “di essersi schierato a favore di una causa importante, quella che voleva combattere le discriminazioni razziali. Cancellato dalla memoria collettiva, morì in solitudine, ignorato dalla Federazione e dal suo Stato: al suo funerale, Smith e Carlos c’erano e portarono la sua bara.

calciatori iraniani in Qatar

E infine, torniamo a casa nostra: Panatta e Bertolucci con la maglietta rossa per protestare contro il regime di Pinochet, nella coppa Davis che si disputava proprio in Cile. Rosso, colore del sangue. E della battaglia dei partigiani.

21′ puntata di #nonsolocalcio: lo sport resistente e partigiano. Conduce Eleonora Falci

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