Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, Rocco Scotellaro

Sono passati 100 anni dalla nascita di Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e politico lucano. Lo ricordiamo nell'appuntamento con la rubrica settimanale a cura di Valter Marcone.

Rocco Scotellaro: 100 anni dalla nascita 70 anni dalla morte. Una figura centrale della cultura lucana del Novecento, lo ricorda Valter Marcone nell’appuntamento con la rubrica settimanale del Capoluogo, “Le nuove stanze della poesia”.

Di Rocco Scotellaro ricordiamo “L’uva puttanella”, il romanzo autobiografico al quale Scotellaro lavorò dal 1950 alla morte, nel 1953 e comunque rimasto incompiuto e l’inchiesta agraria “Contadini del Sud”, ripubblicati in un unico volume da Laterza. Entrambi compongono un mosaico sulla vita contadina del sud e sono il primo risultato di un vasto programma di esplorazione del comportamento culturale, religioso, sociale dei contadini meridionali. Sono inoltre una personale testimonianza di una sofferta partecipazione civile. Rocco Scotellaro nel 1944 fondò la sezione del Partito socialista a Tricarico, di cui divenne sindaco a soli 23 anni. Partecipò con i braccianti alle occupazioni delle terre degli anni ’49-’50 e fu incarcerato sotto la falsa accusa di peculato. in seguito, grazie all’intervento di C. Levi, ottenne un impiego presso l’Istituto agrario di Portici diretto da M.Rossi Doria. Divideva i suoi pasti e i suoi proventi con chi stava peggio di lui, prestava aiuto ai contadini in maggiore difficoltà, subì persecuzioni e calunnie dalla vecchia classe dirigente che non tollerava il suo nuovo modo di amministrare.

Nel 1954, un anno dopo la sua morte, esce, con la prefazione di Carlo Levi, il suo libro di poesie “È fatto giorno” (Premio Viareggio), nello stesso anno “Contadini del Sud”, con la prefazione di Manlio Rossi-Doria, opera incompiuta che prefigura un progetto ambizioso di analisi delle condizioni dei contadini meridionali delle regioni di Puglia, Campania, Calabria e Basilicata; nel 1955, anch’essa incompiuta, e ancora con la prefazione di Carlo Levi, esce “L’uva puttanella”. In seguito sono stati pubblicati il volume di racconti Uno si distrae al bivio (1974)Più tardi, nel 1978, uscirà un altro libro di poesie, “Margherite e rosolacci”, a cura di Franco Vitelli.. Nel 2019 la sua intera produzione letteraria è stata raccolta nel volume Tutte le opere.

Scrive Bartolomeo Di Monaco su Pagina 3 .it nel 2019: “L’uva puttanella” va così configurandosi come uno scrigno colmo di tesori legati alla civiltà contadina e agli uomini che la rappresentavano in quegli anni, così che si può dire che l’autore abbia voluto con la sua scrittura fare a meno di una intermediazione letteraria, avvicinandola il più possibile all’essenza stessa della sua terra e della sua gente.
La storia del brigante Brancaccio e della vedova Maria, che incontriamo al capitolo IX, e quella dei braccianti che hanno occupato la terra dei padroni e sono menati in carcere, si consumano a poco a poco come la fame del Sud: “venivano altri occupatori di terra dai paesi più lontani.”; “Allora pensai, guardando Fiore rotolarsi e sentendolo parlare, al dolore dei contadini di Montescaglioso, chiusi da un anno, presi all’alba di una giornata eccezionale della loro fatica, gialli e malati, che erano i più stanchi di tutto il carcere, con gli occhi dilatati.” Si avvertono malinconia e dolore perché Scotellaro si sente sconfitto e tradito, proprio come quei contadini, ma non si arrende. La sua testimonianza è denuncia, lotta, grido, rivendicazione: “I compagni avvocati dicevano di resistere, e i mesi passavano uno sull’altro.” Non è facile: “E se anche la mia fede non era quella vera?” Ma: “Nel dubbio e nella fede di tutte le religioni che s’insinuavano anche in me, era l’unica religione dei poveri.” Giappone (“era corto e grigio, ma duro nella stessa pingue pancetta e nelle grosse natiche, con molto pelo pizzuto in capo e sugli occhi.”, diventa per lui l’uomo che, una volta uscito dal carcere, non si sarebbe piegato, “sarebbe andato avanti per la sua strada […] sarebbe ritornato alla sua terra, alle avventure di sempre tra i boschi e le pietre del suo paese, dove avrebbe aspettato il regno della morte, solenne, come gli si doveva”. Sarebbe diventato, ossia, un eroe.

Nel 2013 sono stati pubblicati due studi sulla sua figura e sulla sua opera : il saggio di Nicola De Blasi, “Infilo le parole come insetti”. Poesia e racconto in Scotellaro (Venosa, Ed. Osanna 2013) e Your call keeps us awake, Selected Poems of Rocco Scotellaro, Translated by Caroline Maldonado and Allen Prowle (Smokestack Books, 2013, Middlesbrough – Regno Unito).

Il 12 ottobre dello stesso anno , si è tenuto un convegno a Tricarico dal titolo “Cultura e lingua nell’opera di Rocco Scotellaro”, iniziativa promossa dal Circolo Culturale “Silvio Spaventa Filippi” – Fondazione Premio Letterario Basilicata di Potenza, e dal Centro di documentazione “Rocco Scotellaro e la Basilicata del secondo dopoguerra”, con la collaborazione dell’Università degli Studi della Basilicata – Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo: Architettura, Ambiente e Patrimoni culturali e della Deputazione di storia patria per la Lucania.A cento anni dalla nascita di Rocco Scotellaro, la Regione Basilicata promuove un programma di iniziative e produzioni culturali di rilievo perchè Scotellaro ha segnato la cultura e la storia del Novecento. Un’esperienza umana e artistica, purtroppo breve, che non smette di suscitare interesse per i contenuti e i valori che ha saputo esprimere, ben oltre la modernità.

Rocco Scotellaro poeta sta tutto nelle raccolte “È fatto giorno” del 1954 e in quella postuma a cura di Franco Vitelli “Margherite e rosolacci “ .

Nell’introduzione a ” Rocco Scotellaro, Tutte le poesie, 1940 – 1953, Oscar Mondadori, 2004″ Maurizio Cucchi scrive: “L’importanza di Scotellaro è nell’aver saputo compiere un decisivo passo avanti, riuscendo positivamente a sostanziare la sua poesia, senza retorica e senza impacci volontaristici, di una materia tratta dal suo pieno coinvolgimento nel reale, che era quanto più di ogni altra cosa si chiedeva in quegli anni all’espressione artistica. E questo, nei risultati più notevoli, che non sono pochi, dando una spinta di rinnovamento che forse non è stata capita e dunque non è stata utilizzata come sarebbe stato certamente possibile. Diciamo che il primo, grande merito della poesia di Rocco Scotellaro, la sua grande virtù, è nella capacità di restituire voce a chi per secoli, storicamente, l’aveva perduta, o non l’aveva mai avuta, o se l’era vista tacitare per le sue asperità scomode“. Nel 1954 Mondadori manda in stampa nella collana Lo Specchio che pubblica anche opere di Ungaretti ,Saba , Quasimodo e Zanzotto la silloge di Scotellaro “ E’ fatto giorno”. È la sua prima raccolta di versi.

L’autore è morto da pochi mesi. Nella sua breve vita ha consumato esperienze importanti nel mondo del lavoro come sindacalista e nella politica come militante socialista , come amministratore pubblico, sindaco di Tricarico il paese natale in provincia di Matera che ha un centro storico arabo noto come Rabatana poeta, saggista e autore di inchieste sociali sul Mezzogiorno.

Il volume, diviso in quattordici sezioni tematiche e che contiene le illustrazioni di Aldo Turchiano – alcune delle quali raffigurano il poeta –, viene ristampato due volte nel giro di sei mesi, dal giugno al dicembre del 1954 e, soprattutto, riporta una prefazione di Carlo Levi – datata “Roma, aprile 1954” –, che aveva fortemente voluto quella operazione editoriale.
Poliitici e intellettuali del PCI come Giorgio Napolitano ne sminuirono l’opera o come Carlo Muscetta ne stroncarono addirittura il valore. Tutto dipese dal fatto che Rocco Scotellaro fu ritenuto troppo libero ma, soprattutto, troppo vicino alle istanze di lotta dei braccianti lucani, non facilmente inquadrabili in politiche partitiche. Scotellaro non prediligeva lo spontaneismo ma cercava di conoscer a fondo di dinamiche e relazioni sociali complesse del Sud Italia.
“E’ fatto giorno” fin dalla prima poesia è “ un vero proclama poetico di ingresso nella Storia di chi, fino ad allora, ne era percepito come escluso, estraneo – “l’affermazione dell’esistenza di un popolo intero”, scrive Levi nella Prefazione – : entrare nelle condizioni date, dal proprio contesto storico e materiale, con il proprio carico di relazioni e costruzioni identitarie e comunitarie. Come tanti nella raccolta, questi sono versi di una potenza disarmante eppure straordinaria che segnano un’apertura, squarciando intere dimensioni spazio-temporali. (Roberto Derobertis Pulp magazine)
Franco Fortini riferendosi alla poesia di Scotellaro, durante un convegno dedicatogli nel 1955, usò l’espressione “margini della storia” per descrivere il luogo dal quale Scotellaro scriveva. Da quei margini, i versi del poeta lucano davano voce a un mondo in transizione: non comunità idilliaca al tramonto – “e là, nell’ombra delle nubi sperduto, / giace in frantumi un paese lucano”, scriveva nella lirica “Lucania” – ma società complessa di soggetti in movimento:
Ognuno solo si preoccupa
proprio oggetto da vendere.
Ognuno fa sentire la sua voce.
Io sono meno di niente
in questa folla di stracci
presa nel gorgo dei propri affanni.
Sono un uomo di passaggio, si vede
dal cuscino che mi porta
le cose della montagna.
Scotellaro fu, anzitutto, uno degli interpreti più lucidi delle trasformazioni sociali che investirono l’Italia post-bellica, in ragione del suo impegno concreto e di un’idea di cultura – di prassi letteraria e politica – mai scissa dalla sua verifica sociale. Del mondo contadino o, per meglio dire, dei gruppi sociali subalterni, ai quali era prossimo senza appartenervi del tutto, fu studioso e gramsciano “persuasore”, convinto che l’impegno meridionalistico non potesse essere L’editore Carocci ha raccolto in una pubblicazione le idee di Scotellaro sulla questione meridionale .Secondo Gatto, l’autore dello studio pubblicato appunto da Carocci ,l’originalità di delle idee del poeta lucano sta nel modo di interpretare le istanze provenienti dallo sfaccettato e composito mondo contadino e subalterno, di mediare la sua esperienza con la conoscenza diretta di quest’ultimo, di avvicinarsi con coerenza di intenti alla realtà sociale degli oppressi, ma anche e soprattutto nello stabilire i termini di quella interlocuzione. Rocco Scotellaro non è stato soltanto il poeta della libertà contadina, ma soprattutto ancora oggi è l’uomo socialista che ci ha lasciato una testimonianza di lotta per difendere e conquistare la libertà, bene prezioso senza il quale non esiste l’uomo nella sua dignità.

Il prossimo 8 luglio a Eboli si terrà una serata poetica in onore di Rocco Scotellaro a cento anni dalla nascita.
Ad organizzarla l’Associazione Migr-Azione in collaborazione con la Pro Loco locale. L’incontro si terrà nei Giardini Vacca De Dominicis e godrà del patrocinio del comune. Parte da Eboli la civiltà contadina per Rocco Scotellaro. A cento anni dalla sua nascita, e 70 anni dalla morte, le nostre associazioni lo vogliono ricordare con una giornata di grande poesia. Sarà una kermesse tutta dedicata al Poeta Sindaco di Trìcarico con alcune figure tra le più significative della poesia contemporanea. Pagine indelebili di Rocco Scotellaro hanno consegnato alla storia le sofferenze e la
solitudine dei bufalari della Piana del Sele. Sofferenze ma anche grande poesia alla quale le Istituzioni non possono sottrarsi.
Hanno già dato la loro adesione i poeti: Milena Cicatiello, Giansalvo Pio Fortunato, Angelo Giarletta, Francesco Iannone, Maria Manzolillo, Vito Merola, Elvira Venosi, Rosario D’Andrea e Lina Rizzo. Testimonial d’eccezione Gino Scartaghiande. Interventi di Vito Merola, Aurelio Pace, Claudio Aprea e Antonella Primavera.

Le nuove stanze della poesia, Giorgio Caproni

Come Corrado Alvaro in Calabria, Danilo Dolci in Sicilia e Ignazio Silone in Abruzzo, Scotellaro fu tra quei narratori e intellettuali che denunciarono le condizioni di vita delle classi subalterne cercando di comprendere il Mezzogiorno, la sua gente, i suoi problemi, spingendoli oltre i confini locali e portandoli alla ribalta nazionale.
La Basilicata era assurta a caso italiano nel 1945 con il Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, lo scrittore piemontese confinato in Lucania durante il fascismo che si legò visceralmente a quel mondo immobile, nello specifico Aliano, tanto da richiedere di esservi seppellito.

Da E’ Fatto giorno

E’ fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre al focolare.

La luna piena

La luna piena riempie i nostri letti,
camminano i muli a dolci ferri
e i cani rosicchiano gli ossi.
Si sente l’asina nel sottoscala,
i suoi brividi, il suo raschiare.
In un altro sottoscala
dorme mia madre da sessant’anni.

I componimenti a carattere espressamente politico sono pieni di invocazioni, chiamando direttamente in causa gli interlocutori: i contadini sfruttati e quelli morti ammazzati. La poesia di lotta in Scotellaro ha i nomi precisi dei contendenti: il “salariato” e i “padroni”. Una riforma agraria controversa e parziale non aveva ancora modificato sostanzialmente i rapporti di forza nelle terre meridionali e la sua poesia è un canto fiero e disperato.

da Neve ( È fatto giorno),1947
Già si sentono le mele odorare
Già si sentono le mele odorare
e puoi dormire i tuoi sonni tranquilli,
non entra farfalla,
a prendere il giro attorno al lume.
Ma non ho mai sentito tante voci
insolite salirmi dalla strada
i giorni ultimi di ottobre,
la sorella mi cuciva le giubbe
ed io dovevo andarmene a studiare
nella città sconosciuta!
E mi sentivo l’anima di latte
alle dolci parole dei compagni
rimasti soli e pudichi alle porte.
Ora forse devo andarmene zitto
senza guardare indietro nessuno,
andrò a cercare un qualunque mestiere.
Qui uno straccio sventola sui fili
e le foglie mi vengono a cadere
dalle mele che odorano sul capo.

Da Marcherite e rosolacci

Ho capito fin troppo
Ho capito fin troppo gli anni e i giorni e le ore
gl’intrecci degli uomini, chi ride e chi urla
giura che Cristo poteva morire a vent’anni
le gru sono passate, le rondini ritorneranno.
Sole d’oro, luna piena, le nevi dell’inverno
le mattine degli uccelli a primavera
le maledizioni e le preghiere.
Noi non ci bagneremo
Noi non ci bagneremo sulle spiagge
a mietere andremo noi
e il sole ci cuocerà come la crosta del pane.
Abbiamo il collo duro, la faccia
di terra abbiamo e le braccia
di legna secca colore di mattoni.
Abbiamo i tozzi da mangiare
insaccati nelle maniche
delle giubbe ad armacollo.
Dormiamo sulle aie
attaccati alle cavezze dei muli.
Non sente la nostra carne
il moscerino che solletica
e succhia il nostro sangue.
Ognuno ha le ossa torte
non sogna di salire sulle donne
che dormono fresche nelle vesti corte.

leggi anche
Le nuove stanze della poesia
Le nuove stanze della poesia, Giorgio Caproni
Le nuove stanze della poesia
Le nuove stanze della poesia, Davide Rondoni
Le nuove stanze della poesia
Le nuove stanze della poesia, lo scorrere del tempo di Vincenzo Cardarelli